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DOPO IL CASO CROCETTA

Intercettazioni, serve un patto tra magistrati e giornalisti

La battaglia tra forze politiche si gioca ormai sempre più attorno alla pubblicazione di telefonate che non dovrebbero esistere o dovrebbero essere distrutte se irrilevanti ai fini dell'indagine giudiziaria. Il caso Crocetta ne è un ulteriore esempio. Necessario, dunque, che magistrati e giornalisti si diano delle regole.

Politica 18_07_2015
Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta

Il "caso Crocetta" sta creando non poche fibrillazioni nel Pd,anche alla vigilia dell'assemblea di partito che Renzi presiederà oggi in Expo e che si annuncia assai accesa. Se dal punto di vista istituzionale le parole di Matteo Tutino, medico del governatore della Sicilia Rosario Crocetta e chirurgo plastico arrestato per aver utilizzato strutture pubbliche per interventi estetici, hanno scatenato un vero uragano, sul piano degli equilibri politici la vicenda rischia di avere un impatto altrettanto devastante per il centrosinistra. 

Soltanto pochi giorni fa lo stato maggiore dem si era inalberato per la pubblicazione, sul Fatto Quotidiano, di un'intercettazione tra Renzi e il generale Michele Adinolfi (Guardia di Finanza), nella quale l'attuale premier definiva «non capace» il suo predecessore Enrico Letta. Sempre in questi giorni, stanno uscendo intercettazioni non meno imbarazzanti su Claudio De Vincenti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che lo dipingono quale ispiratore di norme per aggirare leggi ambientali e favorire il gruppo De Benedetti. In entrambi i casi, si è prontamente registrata l'indignazione da parte dei vertici Pd per «l'inaccettabile violazione della privacy» del premier e del sottosegretario, ma nessuna spiegazione nel merito. Giovedi il terremoto intercettatorio si è invece abbattuto sul governatore della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, sempre più inviso, peraltro, alla nomenklatura piddina. 

Il settimanale L'Espresso ha pubblicato questa settimana alcune intercettazioni (già anticipate, in verità dal quotidiano La Sicilia), nelle quali il medico di Crocetta pronunciava una frase choc: «Lucia Borsellino va fatta fuori come suo padre». Parole pesanti, quelle di Matteo Tutino, alle quali il governatore della Sicilia, dall'altra parte della cornetta, non replica in alcun modo. Anziché indignarsi, non commenta. Questo emerge dalla telefonata intercettata. Pochi giorni fa c'erano state le dimissioni da assessore regionale alla Sanità della figlia del magistrato ucciso nel luglio 1992 dalla mafia. Il presidente Crocetta prima si è difeso («Non ho sentito quella frase»), poi si è autosospeso dalla carica e ha indicato come reggente Baldo Gucciardi, nominato alcuni giorni fa assessore regionale alla Sanità proprio per sostituire la dimissionaria Borsellino. Mentre il settimanale L'Espresso conferma la veridicità di quella intercettazione, che farebbe parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni d'indagine in corso sull'ospedale Villa Sofia di Palermo, la Procura di Palermo smentisce: «L'intercettazione non esiste agli atti di questo ufficio». Sull’isola, e non solo, si è subito scatenata una bufera di reazioni: in poche ore sono decine le richieste di dimissioni piovute su Palazzo d’Orleans, soprattutto dai vertici del Pd, il partito del presidente siciliano, che, questa volta però, a differenza dei casi Renzi-Letta e De Vincenti, non s'indignano per le intercettazioni, ancora una volta prive di rilevanza penale,uscite sui giornali. 

Sul piano squisitamente politico, le conclusioni appaiono inequivocabili: il Pd scarica Crocetta, e non vedeva l'ora di farlo, punta su nuove elezioni, con tutte le incognite del caso, visto che il Movimento Cinque Stelle sull'isola è fortissimo e perfino Salvini sta facendo proseliti. Per tanti aspetti l'insofferenza dei vertici Pd verso Crocetta è simile a quella verso il sindaco di Roma, Ignazio Marino. Tuttavia, la prudenza e il rischio di consegnare la guida di una Regione o della capitale nelle mani dei grillini per ora frenano del tutto istinti di "cupio dissolvi". Quanto al confine tra cronaca giudiziaria e diritto all'informazione, i tre ultimi casi di intercettazioni non rilevanti sul piano penale, ma spiattellate comunque sui giornali, offrono ulteriori argomenti a chi lamenta l'eccessiva disinvoltura con la quale telefonate private vengono pubblicate dai media. Ormai gli equilibri politici si determinano per una frase sconveniente che qualche personaggio pubblico incautamente pronuncia al telefono e che improvvidamente finisce nel tritacarne mediatico. Il caso dell'ex ministro Maurizio Lupi, costretto a dimettersi dopo la pubblicazione di intercettazioni riguardanti anche suo figlio e prive di elementi penalmente rilevanti, ne è la riprova. 

La battaglia tra forze politiche si gioca ormai sempre più  spesso attorno alla pubblicazione di telefonate che non dovrebbero esistere o dovrebbero essere distrutte una volta accertata la loro irrilevanza ai fini dell'indagine. In moltissimi casi una parte politicizzata della magistratura fa filtrare all'esterno o "dimentica" di stralciare dagli atti d'indagine intercettazioni irrilevanti e per nulla legate all'inchiesta nell'ambito della quale quelle intercettazioni erano state autorizzate. L'autorizzazione agli ascolti appare in alcuni casi troppo estesa (vedi intercettazioni a strascico), e mette i magistrati nelle condizioni di conoscere colloqui riservati durante i quali ciascuno può abbandonarsi a sfoghi, confidenze e tanto altro, nella certezza di non essere ascoltato. In questo modo, la magistratura finisce per interferire nelle vicende istituzionali, condizionandole, con una "giustizia a orologeria" che contraddice i fondamenti della democrazia parlamentare. La sovranità appartiene al popolo e quindi è patologico che chi non ha un mandato elettorale, come i giudici, possa usare armi improprie per entrare a gamba tesa nel recinto dei diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini, anche personaggi noti.

La privacy delle persone è un valore fondamentale, sancito all'art.15 della Costituzione, e merita una tutela puntuale anche nel mondo dell'informazione. Intercettazioni irrilevanti penalmente non dovrebbero uscire sui giornali, ma tale andazzo è ormai consolidato, nell'indifferenza generale e con un patto tacito tra alcune procure e i principali quotidiani nazionali. Va cambiata la norma del codice penale sulla pubblicazione delle intercettazioni per impedirne una propalazione indiscriminata e per limitarne la diffusione ai casi strettamente necessari, quando dall'ascolto delle conversazioni emergano reati e condotte palesemente contrarie alla legge. In tutti gli altri casi, il cittadino non avrebbe il diritto di sapere perché quello che le persone, anche con ruoli pubblici, si raccontano al telefono,deve rimanere assolutamente riservato. É un loro diritto che rimanga riservato e non esca sui giornali. La strada dell'applicazione delle sanzioni disciplinari potrebbe dare i suoi frutti, se percorsa con convinzione e puntualità. 

Il Consiglio superiore della magistratura da un lato, punendo i magistrati che agevolano la diffusione di quei brogliacci, e i Consigli di disciplina dei giornalisti dall'altro, punendo i cronisti che pubblicano scorrettamente quelle intercettazioni, hanno nelle proprie mani la possibilità di ristabilire un sano equilibrio tra diritto all'informazione e tutela della privacy e di recuperare la fiducia dei cittadini. La sfrutteranno? Ci auguriamo di si, ma con un profilo di inattaccabile neutralità, senza usare due pesi e due misure in base alle convenienze del momento.