Influencer di Stato (etico). Non si combatte così il virus
Di tutti gli sviluppi della politica ai tempi della pandemia, il più inquietante è il lento scivolamento verso lo Stato etico, cioè la tendenza dei governanti nazionali, regionali e locali, a dettare i comportamenti individuali, stabilendo autoritativamente ciò che è utile e ciò che non lo è. Oltre al ricorso smodato di testimonial e influencer, come Fedez o Ibrahimovic
L’incremento del numero di positivi al Covid, che in moltissimi casi non sono malati ma solo positivi al Covid, sta alimentando il circuito perverso della spettacolarizzazione del virus. I segnali sono tanti, ma il più inquietante è il lento scivolamento verso lo Stato etico, cioè la tendenza dei governanti nazionali, regionali e locali, a dettare i comportamenti individuali, stabilendo autoritativamente ciò che è utile e ciò che non lo è. Dal premier Giuseppe Conte (“Limitare gli spostamenti non necessari”) al Ministro della Salute, Roberto Speranza (“Rimanete a casa”), da alcuni governatori (in particolare quelli delle regioni col maggior numero di contagi, ma non solo loro) a diversi sindaci (quello di Milano in primis), è un susseguirsi di esortazioni ad autosospendere le proprie libertà, come se ormai l’unico pericolo per le esistenze individuali fosse il Covid. Ormai si muore solo di Coronavirus, le altre cause di morte sono come per incanto evaporate. Eppure questa emergenza è mondiale e appare destinata a durare a lungo, il tempo sufficiente per scardinare, avanti di questo passo, il funzionamento delle democrazie e per condizionare permanentemente le vite degli individui e delle comunità.
Una domanda è lecita: chi può stabilire quali siano gli spostamenti utili e quelli inutili? Gli appuntamenti necessari e quelli rimandabili? E’ essenziale o non essenziale fare una visita di controllo se si ha il sospetto di avere qualche problema di salute che non sia il Covid? E’ fondamentale o no andare a cena fuori visto che, se nessuno più ci andasse, fallirebbero centinaia di migliaia di ristoranti, pizzerie e trattorie? Chi ci lavora non ha la stessa dignità umana e sociale di chi è dipendente pubblico e può anche stare a casa percependo regolarmente lo stipendio? E’ necessario, in particolare per chi ha problemi di sovrappeso, andare in palestra o non lo è? E siamo proprio sicuri che questo parametro di indispensabilità delle azioni si possa applicare allo stesso modo a una famiglia di quattro persone che vive nel centro di Milano e a un single che vive in una periferia di un piccolo comune praticamente privo di contagi? E poi perché imporre gli stessi limiti a chi si dimostra ligio al dovere di indossare la mascherina e di mantenere le distanze nell’andare al ristorante e a chi invece trasgredisce quei precetti anche in luoghi affollati? I dubbi affiorano numerosi, ma la strada della lotta al Covid sembra segnata: nuove restrizioni, nuovi divieti, lo spettro di mini o maxi lockdown, locali o addirittura nazionali.
E mentre il Ministro Speranza trova il tempo di scrivere un libro per spiegarci “Perché guariremo” (il titolo del volume) e per illuminarci sulla sanità che verrà, i ristoratori, i baristi, gli artigiani, i piccoli commercianti, i lavoratori autonomi non dormono di notte perché temono di non avere più i soldi per pagare il mutuo, l’affitto, la scuola dei figli e perfino i viveri.
Ma i paradossi non investono solo le decisioni politiche e gli atteggiamenti dei governanti. Sono fondamentalmente paradossi comunicativi. Si moltiplicano le ricerche di università e centri di ricerca sull’utilità della mascherina e del distanziamento per indebolire sensibilmente la carica virale, ma il premier ha preferito contattare nei giorni scorsi i due influencer Fedez e Ferragni chiedendo loro uno spot di sensibilizzazione sul tema.
Ma la comunicazione istituzionale non dovrebbe servire a questo? Le istituzioni, in particolare quelle sanitarie, non dovrebbero veicolare costantemente messaggi di pubblica utilità a beneficio di tutti i cittadini? E i giornalisti, anziché alimentare gli allarmi, non dovrebbero diffondere con equilibrio, rispetto della deontologia e senso di responsabilità, solo le notizie certificate e ancorate alla scienza?
E invece sono proprio loro in molti casi a generare disorientamento. In molti collegamenti televisivi ci sono corrispondenti che all’aperto, e sufficientemente lontani da altre persone, indossano la mascherina, mentre in dirette televisive da studi chiusi e anche piccoli, nei quali peraltro circola personale di servizio, i conduttori, gli opinionisti e gli altri ospiti, sia pure distanziati, non la indossano. La mascherina sta quasi diventando uno status symbol tutte le volte in cui il suo uso appare superfluo. C’è quasi l’ostentazione della mascherina, in moltissimi casi.
Infine, last but not least, la crescente quantità di vip (politici, calciatori e professionisti di altri sport, cantanti e personaggi dello spettacolo) che risultano positivi al Covid e non vedono l’ora di comunicarlo al mondo intero. Molti di loro, con spavalderia, sfidano il virus. E’ stato il caso del calciatore del Milan, Zlatan Ibrahimovic, che ha continuato ad allenarsi anche durante la quarantena e sabato scorso, appena risultato positivo, è sceso in campo nel derby della Madonnina, ha segnato due gol ed è stato il migliore in campo. Altro che virus minaccioso e letale, avrà pensato il 39enne campione rossonero. E come non citare tanti parlamentari, risultati positivi asintomatici o paucisintomatici, che sono andati in tv a raccontare “le atroci sofferenze provocate dal Covid”, ma offrendo subito ai telespettatori l’impressione di essere in perfetta forma o quasi. Qui non si tratta di minimizzare la portata del virus, che in molti casi è risultata devastante e ha determinato, più che altro all’inizio della pandemia, migliaia di morti e di ricoverati. Qui si tratta di affermare il principio di sobrietà e di non omologazione ad un pensiero unico che si sta diffondendo in modo subdolo e strisciante e che rischia di produrre effetti irreversibili sulla psiche delle persone e sugli equilibri relazionali e sociali. Bisogna fermarsi in tempo, prima che sia troppo tardi.