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SCAMBIO DI LETTERE

Infallibilità: Kung interpreta (a suo modo) il Papa

Lo scorso marzo Hans Kung, teologo tedesco “dissidente”, aveva pubblicato il 5° volume della sua opera omnia e aveva colto l’occasione per fare un appello a papa Francesco. Perché aprisse una “libera discussione” su quello che lui considera «un problema», vale a dire il dogma dell’infallibilità del Papa. Ora la questione di Kung torna di attualità, visto che papa Francesco ha risposto con una lettera al suo appello.

Ecclesia 29_04_2016
Il teologo Hans Kung

Lo scorso marzo Hans Kung, teologo tedesco “dissidente”, aveva pubblicato il 5° volume della sua opera omnia e aveva colto l’occasione per fare un appello a papa Francesco. Perché aprisse una “libera discussione” su quello che lui considera «un problema», vale a dire il dogma dell’infallibilità del Papa. La Nuova Bussola quotidiana ne aveva dato notizia intervistando il teologo domenicano padre Roberto Coggi (vedi qui), il quale aveva messo ben in chiaro che nessun dogma, per definizione, è riformabile. Già discuterne è un problema. Ma, ora la questione di Kung torna di attualità, visto che papa Francesco ha risposto con una lettera al suo appello.

Il testo della lettera del Papa a Kung non è stato divulgato – «per la riservatezza che devo al Papa»– ma il teologo ha diffuso in tutto l’orbe cattolico un comunicato stampa dove rende conto di questa lettera e dice che «Francesco non ha fissato alcun limite alla discussione» e «con evidenza ha letto attentamente l’Appello». «Penso che sia ora indispensabile», aggiunge Kung nel comunicato, «utilizzare questa nuova libertà per portare avanti la riflessione sulle definizioni dogmatiche, che sono motivo di polemica all’interno della Chiesa cattolica e nel suo rapporto con le altre chiese cristiane. Non prevedevo tutta questa nuova libertà che Francesco ha aperto nella sua esortazione post-sinodale Amoris laetitia. (…) Francesco non vuole più essere l’unico portavoce della Chiesa. Questo è il nuovo spirito che ho sempre atteso dal magistero».

Di certo, è ben difficile pensare che il Papa voglia aprire una discussione su ciò che non si può discutere, semmai il tema potrebbe essere un altro. Chi segue nei dettagli il pontificato di Francesco sa bene che la sinodalità/collegialità è al cuore della sua azione di riforma del papato. Lo si può capire fin dalla esortazione Evangelii gaudium, ma anche da molti gesti da lui compiuti. Nessuno pensa che il Papa voglia direttamente cambiare, o peggio abolire, ciò che non si può riformare, ma Bergoglio è il Papa della sinodalità, di un nuovo rapporto tra “centro” (Curia romana) e “periferia” (vescovi e Conferenze espicopali); e tenta di aprire porte senza cambiare dottrina, in quella che chiama «conversione pastorale del papato»(Cfr. EV 32). 

«Non è opportuno che il Papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori»,  scriveva in Evangelii gaudium. «In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”». Va sottolineato che questo “mandato” lo aveva ricevuto anche in Conclave dove la sua elezione era maturata, tra l’altro, in un clima di avversione al lavoro della curia romana sommersa da scandali fortemente mediatizzati (Vatileaks, pedofilia). Inoltre, bisogna evidenziare che la spinta verso la “democratizzazione” della Chiesa in chiave sinodale viene da lontano, dagli anni dell’immediato post-concilio in cui gli ambienti più progressisti della Chiesa, tra cui poi il famoso “Gruppo di San Gallo” che comprendeva anche i cardinali Martini, Kasper e Danneels, portavano avanti un’agenda molto ricca in tal senso. Il teologo Kung era certamente una punta avanzata di questi ambienti.

Nell’ambito di una maggior collegialità/sinodalità nella Chiesa vi sono poi diverse considerazioni che derivano in campo ecumenico. Non a caso papa Francesco nell’intervista concessa alla Civiltà Cattolica nel settembre 2013 ha citato il cosiddetto “Documento di Ravenna”, un testo che ha visto la luce proprio in seno al dialogo tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa nel 2007. Il Papa indica quel testo che «pone la reciproca interdipendenza tra primato e conciliarità a livello locale, regionale e universale, per cui il primato deve essere sempre visto nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato (n.43). Questa visione», chiosava il Papa, «dà una dinamicità al modo di concepire il ministero pontificio in una proiezione verso un futuro che ogni fedele vorrebbe vedere realizzato». Il riferimento indiretto, al di là delle questioni ecumeniche, è ancora una volta alla collegialità episcopale e alla sua articolazione con il primato di Pietro (e quindi anche con l’infallibilità del Papa). 

Proprio la riforma del papato in senso collegiale, che papa Francesco mostra di voler perseguire, potrebbe essere la ragione indiretta della risposta che lo stesso Francesco ha inviato a Kung. Per quanto riguarda Kung, bisogna sottolineare che la sua ecclesiologia è stata già richiamata ufficialmente dalla Congregazione della Dottrina della Fede in un Monitum del 1975. In particolare, si avvertivano i fedeli su alcune opinioni che contrastavano con la dottrina cattolica e che lo stesso Kung aveva manifestato in due suoi libri dai titoli inequivocabili: La Chiesa e Infallibile? Una domanda. L’ecclesiologia che Kung ha sempre caldeggiato convergeva, al netto dei singoli dettagli, su di un primato dottrinale del Papa che avrebbe dovuto presentarsi sotto altra forma e con altra funzione, anche in vista dell’unità ecumenica. 

Il sottofondo era quello di una sostanziale democratizzazione della Chiesa in cui il Papa prima di pronunciarsi, specialmente se ex-cathedra, dovrebbe prima consultarsi con i vescovi e non solo. Papa Francesco, invece, nel suo discorso conclusivo al Sinodo 2014 ha citato con molta chiarezza il Codice di Diritto canonico, per dire che il Successore di Pietro è «il garante dell'ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso - il "Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli" (Can. 749) e pur godendo "della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa" (cf. Cann. 331-334)»