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I DATI ISTAT

Industria a picco, la decrescita “felice” grillina è servita

La produzione industriale ha fatto segnare un decremento dell’1,3% nel 2019, scendendo di fatto ai livelli di sei anni fa. Crolla il settore auto, con un -13,9%. Si materializza, quindi, lo spettro della decrescita (in)felice di cui i grillini sono alfieri indiscussi.

Attualità 12_02_2020

Se fossimo su un palcoscenico l’incipit sarebbe scontato: signore e signori, ecco a voi la decrescita infelice in salsa grillina. Snocciolare i dati impietosi dell’Istat sulla produzione industriale nel 2019 equivale a intonare il de profundis al sistema produttivo nazionale e a certificare una volta di più il disastro delle politiche di questo governo, che stanno tarpando le ali allo sviluppo imprenditoriale, mettendo a serio rischio quel poco di buono che era stato costruito negli anni precedenti.

Non ci sono alibi per chi è al timone del Paese da settembre. La congiuntura non è così tanto sfavorevole e ci sarebbero davvero le condizioni ideali per promuovere lo sviluppo industriale e rilanciare il sistema produttivo e i consumi. Invece la produzione è tornata indietro dell’1,3% nel 2019, raggiungendo di fatto i livelli di sei anni fa.

La sostanziosa flessione è anche dovuta alla cattiva prestazione del settore automobilistico, che segna un ribasso annuo del 13,9%. I soli settori che registrano incrementi tendenziali sono la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (+5,3%), l’industria alimentare, bevande e tabacco (+2,9%) e le altre industrie (+1,1%). Tra i rimanenti settori le maggiori flessioni si registrano nelle industrie estrattive (-10,4%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-9,3%) e nella fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. [(non classificate in altre categorie) -7,7%].

Nel quarto trimestre del 2019 la produzione industriale è diminuita, in termini congiunturali, dell'1,4%, che corrisponde al calo più significativo dal quarto trimestre del 2012. Neppure il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, riesce a negare le responsabilità dell’esecutivo: «I dati comunicati dall’Istat sulla produzione industriale sono preoccupanti. Serve uno sforzo immediato, da parte del Governo, per invertire la tendenza e stare vicino ai settori imprenditoriali del Paese».

Più duro, come era prevedibile, Matteo Salvini: «Produzione industriale italiana al tracollo, i dati peggiori dal 2013. Basta col governo delle tasse, della burocrazia e dei litigi, la parola torni agli italiani».

Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, «è evidente che il crollo è così sconfortante che diventa difficile immaginare un’inversione di tendenza del Pil per il primo trimestre 2020. L’ Italia, quindi, torna in recessione». Anche il Codacons ha commentato che si tratta di una vera e propria “ecatombe” per l’industria italiana. «Con questi numeri - ha spiegato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi - l’Italia non va da nessuna parte e la crisi dell’industria italiana pesa in modo drastico su Pil e occupazione. Il Governo deve intervenire e in fretta adottando misure specifiche per salvare il settore industriale e rilanciare i consumi interni, perché il calo dell’industria fa perdere competitività al Paese che resta indietro rispetto al resto d’Europa».

Secondo il presidente della Commissione Finanze del Senato, Alberto Bagnai (Lega), «col secondo Governo Conte la subalternità all’Europa e all’economia tedesca si è fatta soffocante» e il tonfo della produzione industriale «si spiega con una legge di bilancio tutta tagli e terrore fiscale, che ha generato incertezza e pessimismo».

Si materializza, quindi, lo spettro della decrescita (in)felice di cui i grillini sono alfieri indiscussi. Per loro l’importante è non inquinare, l’essenziale è controllare, spiare, burocratizzare tutti i processi e le decisioni, affinché la legalità trionfi. Peccato che nel frattempo il Paese stia morendo sotto il peso dell’invidia sociale, dell’odio verso chi produce, della demonizzazione della ricchezza.

La tanto annunciata rivoluzione industriale 4.0, sbandierata ai quattro venti da Luigi Di Maio e soci, non si è vista. Le infrastrutture di rete non ricevono le dovute attenzioni dalla classe politica e quindi l’apporto delle nuove tecnologie alla crescita produttiva e socio-economica non si percepisce affatto.

Le incertezze politiche, con un governo rissoso e approssimativo nelle sue intenzioni e pianificazioni, scoraggiano gli investimenti esteri. Gli imprenditori di altri Stati osservano, infatti, con scetticismo e preoccupazione l’elefantiasi burocratica, le lungaggini della giustizia, il dirigismo industriale e l’assistenzialismo che contraddistinguono l’Italia attuale. Se non si inverte la rotta, con politiche più attente ai bisogni delle imprese, la sorte economica del nostro Paese appare segnata.