India, la tragedia delle bambine non desiderate
L’India, nonostante i progressi compiuti negli ultimi 10-15 anni, resta uno dei paesi in cui essere donna è più difficile. Secondo un rapporto governativo, sono 63 milioni le donne che "mancano", perché abortite, uccise o abbandonate. E sono 21 milioni quelle "indesiderate" spesso destinate a una vita di miseria e violenza.
L’India, nonostante i progressi compiuti negli ultimi 10-15 anni, resta uno dei paesi in cui essere donna è più difficile. Con questa consapevolezza, nel 2015 il governo indiano ha lanciato la campagna “Salva tua figlia, educa tua figlia”, intesa a sensibilizzare la popolazione e indurla ad abbandonare alcune tradizioni. La campagna si propone di migliorare ruolo e status femminili, affrontare il problema dei gravi, frequenti atti di violenza contro le donne – il più recente risale ai giorni scorsi, la vittima è una bambina di otto mesi, quasi in fin di vita per essere stata violentata da un parente – e quello del divario crescente tra maschi e femmine, risultato della preferenza data ai figli maschi dalle famiglie, diffusa, radicata tanto che si riscontra anche negli indiani emigrati, residenti stabilmente all’estero.
Gli indiani accolgono la nascita delle figlie con disappunto prima di tutto perché sono i maschi a ereditare nome, beni e status famigliare. Peggio ancora, le considerano un danno, una maledizione perché per sposarle le dovranno fornire di una dote, un onere che non sempre vogliono e possono accollarsi, ma che la tradizione impone, benché l’istituzione sia stata proibita nel 1961. Per questo l’India, con la Cina, è il paese in cui si verificano più infanticidi di neonate e più aborti, questi ultimi moltiplicatisi, da quando è stato possibile individuare il sesso del feto, al punto che nel 1994 le autorità indiane hanno proibito ai medici di fornire questa informazione ai genitori.
Secondo l’ultimo sondaggio demografico realizzato nel 2011, in India ci sono 940 femmine ogni 1.000 maschi. Il governo indiano, nel suo rapporto economico annuale appena presentato, parla di 63 milioni di donne “mancanti”, abortite, morte o abbandonate subito dopo il parto. Sono invece 21 milioni le bambine “indesiderate”, quelle cioè di cui i genitori sopportano l’esistenza pur avendo sperato nella nascita di un maschio. Molte di queste figlie indesiderate sono destinate a una vita di sofferenze e umiliazioni. Le famiglie cercano infatti di maritare almeno qualcuna delle figlie a buon mercato, offrendo una dote modesta e quindi proponendole, ad esempio, a uomini molto anziani o costringendole a diventare terze o quarte mogli. Succede inoltre che le famiglie concordino un pagamento differito, rateale della dote, da completare entro i primi anni di matrimonio. Può darsi però che si verifichino ritardi nel versamento delle somme pattuite e che il pagamento dopo qualche tempo venga interrotto. Per le figlie mal dotate iniziano allora i maltrattamenti, le violenze che possono culminare nell’omicidio, spesso dissimulato da incidente domestico. Per questo in India è previsto che, quando una donna muore per cause non naturali entro i primi sette anni dalle nozze, si presuma un omicidio a causa della dote e si indaghi in tal senso. Ciononostante la maggior parte degli uxoricidi restano impuniti, a volte neanche denunciati. Non meraviglia l’elevato tasso di suicidi tra le giovani donne che temono il matrimonio a queste condizioni: un fenomeno riscontrato soprattutto nell’India meridionale dove i suicidi femminili sono superiori alla media nazionale e più numerosi di quelli dei coetanei maschi.
Migliorare la condizione femminile è un obiettivo in sé, ma favorisce anche lo sviluppo economico. È sempre più evidente – si legge nel rapporto governativo – che se le donne acquisiscono più indipendenza, potere politico e status sociale e se ottengono pari possibilità di accesso al mercato del lavoro, questo contribuisce in maniera significativa alla crescita economica di un paese. Secondo una ricerca del Fondo monetario internazionale, un maggiore occupazione femminile può far crescere l’economia indiana del 27%.
Ma poi, “lo sviluppo basta a eliminare le discriminazioni di genere e la preferenza per i figli maschi?”. È questa la domanda che da il titolo al 7° capitolo del rapporto, dedicato alla condizione femminile e alle sue ripercussioni sulla società e sull’economia indiane. Forse no, è la risposta, almeno non in India dove gli stati all’avanguardia sono quelli meno ricchi del nord est, con un sensibile distacco rispetto a quelli centrali e, soprattutto, a quelli meridionali più sviluppati.
Per migliorare la condizione femminile, il governo, oltre alla campagna “Salva tua figlia, educa tua figlia”, ha quindi introdotto provvedimenti in favore delle donne che lavorano, tra cui 26 settimane di assenza per maternità e asili nido in ogni impresa con più di 50 dipendenti. Un altro programma governativo, inoltre, incoraggia i genitori a creare dei fondi per gli studi e per le spese matrimoniali delle figlie.
La Chiesa indiana invece pensa a un movimento sociale e politico che aggreghi tutte le donne indiane, “che si batta per i diritti femminili e aumenti la consapevolezza del valore delle donne”. A spiegarlo ad AsiaNews è Monsignor Jacob Mar Barnabas, presidente dell’Ufficio per le donne della Conferenza episcopale. Occorre puntare su iniziative culturali, educative, utili a cambiare la mentalità dominante che considera le donne inferiori agli uomini: “la situazione è difficile – dice Monsignor Barnabas – e il sistema delle caste peggiora il contesto. Organizziamo conferenze, incontri e da quasi 20 anni le nostre diocesi assegnano premi e titoli alle donne – oltre che agli uomini – per riconoscere il loro impegno al servizio della Chiesa e della diffusione della fede”.
La pari dignità, il pari valore, il rispetto per le donne si imparano anche così.