India, i cristiani non trovano pace nemmeno ai funerali
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In India la persecuzione dei cristiani, ad opera dei nazionalisti indù, è ancora estrema. La Pasqua si è svolta in un clima di intimidazioni. E anche i funerali di una donna convertita al cristianesimo sono stati interrotti dai nazionalisti per due giorni.
Sono 76 nel mondo i paesi in cui oltre 360 milioni di cristiani rischiano di subire abusi, violenze, discriminazioni, ingiustizie e 50 quelli in cui i cristiani – 312 milioni – vivono nel timore di essere vittime di forme estreme o molto elevate di persecuzione. È in tali condizioni che attendono, con gioia mista ad apprensione, di celebrare i riti della Settimana Santa perché in quei giorni spesso l’ostilità nei loro confronti aumenta e si manifesta con atti violenti e con soprusi dolorosi.
L’India è uno degli 11 paesi in cui la persecuzione è definita estrema da Open Doors, l’Ong internazionale che ogni anno pubblica l’elenco degli Stati in cui essere cristiani è più difficile. Ne sono responsabili gli integralisti indù, divenuti tanto più aggressivi a partire dal 2014, da quando cioè possono contare sul sostegno del governo centrale guidato dal partito nazionalista indù, il Bjp. Quest’anno la diocesi di Jhabua, nello stato del Madhya Pradesh, ha ricevuto minacce tali da indurre le autorità religiose a chiedere la protezione della polizia durante la celebrazione dei riti pasquali. Ma in tutto lo Stato le comunità cattoliche si sono preparate alla Pasqua in un clima di forte tensione soprattutto per l’intensificarsi delle ispezioni ai loro ostelli che ospitano bambini e ragazzi tribali ordinate dalla Commissione nazionale per i diritti dell’infanzia presieduta da Priyank Kanoongo, un ex militante della organizzazione paramilitare nazionalista indù Rashtriya Swayamsevak Sangh.
Nel distretto di Jabalpur a fine marzo è stato arrestato il preside di una scuola e adesso rischia l’arresto il vescovo di Jabalpur, monsignor Gerald Almeida, accusato di truffa insieme al responsabile di un ostello. “Il presidente della Commissione nazionale per la protezione dei diritti dell’infanzia perseguita le istituzioni cristiane con il martello e le tenaglie – ha dichiarato monsignor Leo Cornelius, arcivescovo emerito di Bhopal, intervistato dall’agenzia di stampa AsiaNews – a furia di ispezioni, inevitabilmente trova delle discrepanze e da lì fa nascere casi del tutto inventati su conversioni e presunti abusi sui minori. Gestiamo gli ostelli nel miglior modo possibile e non imponiamo mai la nostra religione né ai bambini né a chiunque altro”. Gli ostelli presi di mira servono a dare ai giovani tribali opportunità di studio altrimenti impossibili nelle aree rurali in cui vivono le loro famiglie, ma nella società indiana ancora profondamente segnata dai pregiudizi e dalle discriminazioni imposti dal sistema indù delle caste la loro emancipazione è mal vista da molti perché sono dei dalit, dei fuori casta, e questo accresce l’ostilità nei confronti dei cristiani. “La Chiesa cattolica in India – ribadisce l’arcivescovo emerito di Bhopal – ha sempre servito in modo disinteressato i più poveri, i più deboli, i più vulnerabili e i più emarginati, senza discriminazioni di casta e di credo. Ma oggi si vuole screditare il lavoro della Chiesa e intimidire e umiliare il nostro personale”.
Persino i funerali in India, su istigazione dei nazionalisti indù, possono diventare l’occasione per infierire sui cristiani, per discriminarli e umiliarli, specialmente se sono dei tribali convertiti. L’ultimo caso di cui si ha notizia si è verificato nello stato del Chattisgarh. Lo scorso 19 marzo nel villaggio di Bhejripadar è morta Mate Bekko, una donna tribale di recente convertitasi con tutta la famiglia al cristianesimo. I parenti ne hanno organizzato le esequie secondo la tradizione cristiana: un corteo per portare la salma al cimitero pubblico per la sepoltura. Ma alcuni membri locali del Bajarang Dal, l’ala giovanile del movimento nazionalista indù Baarang Dal, si sono opposti e hanno convinto gli abitanti del villaggio che invece doveva essere cremata come prevedono le tradizioni tribali.
Insieme hanno quindi raggiunto il corteo funebre lungo la strada che porta al cimitero per bloccarlo e, al rifiuto di tornare indietro, hanno incominciato a lanciare delle pietre contro i presenti e poi anche contro gli agenti di polizia sopraggiunti. Cos0ì il corteo non ha potuto proseguire fino al cimitero, i partecipanti disperati si sono dispersi abbandonando la salma per la strada. Quando la polizia a fatica è riuscita a mettere sotto controllo la situazione, ha chiesto ai famigliari della defunta di tornare a riprendere la salma e con loro ha concordato che fosse sepolta il giorno dopo, ma dietro casa, in un terreno di proprietà del marito Mosu Bekko.
Di nuovo, però, gli abitanti del villaggio guidati dai membri del Baarang Dal sono accorsi per impedirlo, insistendo che fosse cremata. Solo grazie alla presenza di un dispiegamento di forze di polizia le spoglie della donna sono state finalmente sepolte. “Le autorità amministrative hanno assistito senza muovere un dito, senza dire una parola – ha commentato per i mass media locali Narendra Bhavani, fondatore e presidente della Ong Chattisgarh Yuva Manch – la defunta è stata umiliata, protestiamo contro questa ingiustizia che costituisce una violazione della Costituzione indiana, le autorità ci devono ascoltare”.
La polizia ha poi emanato un comunicato in cui si annunciano “severe azioni legali contro coloro che cercano di disturbare l’ordine pubblico”. Il monito si direbbe rivolto tanto ai membri del Baharang Dal quanto agli innocenti famigliari di Mate Bekko.