Incontro fra i leader coreani. Prevale la voglia di vivere
Storico incontro fra Kim Jong-un, (Corea del Nord) e Moon Jae-in (Corea del Sud). Promettono un trattato di pace e denuclearizzazione. Come si è passati dai missili alle strette di mano? Merito di Trump, nel ruolo di "poliziotto cattivo". E di Moon, il "poliziotto buono". E della voglia di vivere: l'alternativa era la guerra nucleare.
Stavolta si può realmente parlare di incontro storico. Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord, arriva al confine, nel mezzo della zona demilitarizzata che divide la Corea in due sin dalla fine della Guerra di Corea nel 1953, a Panmunjeom, luogo in cui è stato firmato allora l’armistizio. Il leader comunista sorride, stringe la mano al presidente sudcoreano Moon Jae-in. I due attraversano il confine verso Sud, si stringono la mano, poi tornano nel Nord se la stringono ancora. Accolti da una pattuglia sudcoreana in costume tradizionale, si dirigono alla Tv nazionale del Sud. Kim è accompagnato dall’onnipresente sorella Kim Yo-jong e da un imponente apparato di sicurezza che ispeziona con cura i locali del summit. Prima la trasmissione. Kim scherza, si scusa per aver disturbato il sonno del suo omologo di Seul, con i suoi test missilistici. Moon lo rassicura: ora dorme bene. La sorella di Kim continua a prendere appunti. Come sempre fanno tutti i nordcoreani in presenza del “Brillante Leader”. Dopo pranzi separati, i due leader nemici si incontrano in privato. Poi nella conferenza stampa congiunta promettono: di denuclearizzare la penisola e di firmare un vero trattato di pace entro la fine dell’anno. Infine i due leader hanno piantato un pino, usando terra e acqua delle due Coree.
Potrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) la fine di un conflitto iniziato nel 1950 e mai del tutto terminato. E' infatti in vigore solo un accordo di cessate il fuoco, un armistizio, una linea presidiata dai due eserciti, ma non c’è tuttora né una pace né un vero confine. E la speranza di una riunificazione è sempre viva, specie al Sud dove esiste anche un apposito ministero. Le promesse di Kim e Moon, oltre alla denuclearizzazione e al prossimo trattato di pace, includono anche: fine delle “azioni ostili” fra le due Coree, trasformazione della zona demilitarizzata in una zona di pace (fine di tutte le attività di propaganda al confine), politica di riduzione degli armamenti, impegno a organizzare un nuovo round negoziale a quattro (Corea del Nord e del Sud, Cina, Usa), riunione delle famiglie divise dalla guerra, ristrutturazione delle ferrovie e delle strade fra i due paesi, partecipazione congiunta ai prossimi giochi sportivi internazionali. Questo è l’inizio, non certo la conclusione, di un processo nuovo. E’ però importante chiedersi come ci si è arrivati.
Come ci si è arrivati, prima di tutto? Dagli Stati Uniti hanno declassificato e diffuso, proprio ieri, le foto ufficiali dell’incontro di Kim Jong-un con Mike Pompeo (fresco di nomina di Segretario di Stato). Donald Trump ha immediatamente salutato l’incontro fra i due leader coreani come un successo strategico della propria amministrazione. La Corea del Sud gli ha riconosciuto ufficialmente questo merito. E’ innegabile che anche la Cina abbia giocato un ruolo fondamentale nel persuadere Kim Jong un a cambiare rotta repentinamente. Non a caso i prossimi negoziati prevedono il coinvolgimento di Usa e Cina e nessun altro attore internazionale.
Cosa potrebbe essere successo? Non possiamo sapere ancora quel che si è detto nelle segrete stanze del regime di Pyongyang, possiamo però ipotizzare che la tensione dei mesi scorsi sia realmente arrivata a un punto limite. A quel punto in cui o si fa veramente la guerra o si cambia rotta. Una guerra con armi nucleari non è neppure pensabile. E’ un rischio che nessuno stratega ha mai potuto permettersi il lusso di correre. Per la Corea del Nord è una mossa suicida: Trump lo ha ribadito tante volte, mentre sfotteva il "rocket man" e Kim deve averlo realizzato sin da subito. Contrariamente alle crisi precedenti, è venuto a mancare l’appoggio della Cina, che anche in sede Onu ha votato per sanzioni economiche contro il “regno eremita”. E’ vero che Pechino ha ammorbidito la posizione statunitense in merito, ma comunque ha dimostrato non poter più sopportare le continue provocazioni del suo incontrollabile alleato. La dittatura nordcoreana deve aver scelto il test del suo primo missile balistico intercontinentale, il primo in grado di raggiungere il territorio statunitense, come sua linea di culmine. Ottenuto questo successo per salvare la facce, per dimostrare al mondo di esser diventata una vera potenza nucleare, ha deciso di scendere a patti con la realtà.
E qui, oltre al "poliziotto cattivo" Trump, che ha sempre rifiutato di ammorbidire i toni, è venuto in soccorso, in un perfetto gioco delle parti, il "poliziotto buono", Moon, il presidente pacifista che sin dall’inizio del suo mandato aveva detto di voler incontrare Kim. E’ stato Moon a insistere per la partecipazione nordcoreana alla Olimpiadi invernali sudcoreane, con squadre congiunte. In quell’occasione, gli americani hanno mantenuto il loro atteggiamento intransigente, niente sorrisi, niente strette di mano. Moon, al contrario, mostrava il volto gentile dell’alleanza. Quando, infine, è giunta la prima proposta di dialogo da parte di Kim Jong-un, sia Moon che Trump hanno prontamente dato una risposta positiva.
Deve essere andata così alla fine: bastone e carota, ghiaccio e tepore, ben alternati hanno ammorbidito una dittatura e l'hanno indotta a scendere a patti. Dalle provocazioni militari si è arrivati allo storico incontro di ieri. Ma dietro tutto c’è la convinzione nordcoreana di non potersi spingere oltre. Alla fine ha prevalso la voglia di vivere.