In Vaticano non c'è più Giustizia e Pace
Il Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace non solo è stato assorbito dal nuovo Dicastero dello sviluppo umano integrale, ma ne è stata cancellata l'eredità. Quello che era un fiore all'occhiello di Giovanni Paolo II per promuovere la Dottrina sociale della Chiesa è stato trasformato in una sorte di ente assistenziale.
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Il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace non c’è più. Certo, gli ambienti al Palazzo San Calisto a Trastevere ci sono, il personale ci lavora ancora, il centro di documentazione è consultabile … ma il Pontificio Consiglio non c’è più, assorbito nel vasto – e, per molti, ingestibile – nuovo Dicastero dello sviluppo umano integrale. Il nuovo assembramento voluto da Francesco comprende, oltre a Giustizia e Pace, i Pontifici Consigli della pastorale dei migranti e itineranti, quello della pastorale degli operatori sanitari e il Cor Unum, dedito alla carità del Papa, che sono stati soppressi.
Giustizia e Pace nasce nel 1967, per volontà di Paolo VI, come Commissione pontificia, poi trasformata in Pontificio Consiglio da Giovanni Paolo II nel 1988. Secondo il santo pontefice, il Pontificio Consiglio “approfondisce la dottrina sociale della Chiesa, impegnandosi perché essa sia largamente diffusa e venga tradotta in pratica presso i singoli e le comunità, specialmente per quanto riguarda i rapporti tra operai e datori di lavoro onde siano sempre più permeati dallo spirito del Vangelo”. L’attività del Pontificio Consiglio era certamente di condurre indagini empiriche sui contorni dei diversi problemi sociali, era certo quello di fornire strumenti agli operatori pastorali in un dialogo con i protagonisti reali della vita economica, sociale e politica … ma tutto questo nel chiaro contesto della Dottrina sociale della Chiesa, senza della quale, o con una sua visione ridotta, Giustizia e Pace avrebbe cessato di essere se stesso.
Infatti ai progetti delle encicliche sociali Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II e Caritas in veritate (2009)di Benedetto XVI ha lavorato il Pontificio Consiglio. Ad esso spettava per prassi consolidata di predisporre la bozza dei Messaggi per la Giornata della Pace del 1° gennaio di ogni anno. Al pontificio Consiglio fu affidato il compito di predisporre il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2004), impegno assunto dal cardinale Van Thuân e dal suo successore il cardinale Martino con l’aiuto fattivo del Segretario mons. Crepaldi.
La centralità della Dottrina sociale della Chiesa, intesa come corpus dottrinale, è sempre stata la caratteristica di Giustizia e Pace, anche sotto la presidenza del cardinale Etchegaray, a lungo presidente dal 1984 al 1998, nonostante le sue caratteristiche personali più “spirituali” e “profetiche” che scientifiche o politiche. L’azione degli Osservatori della Santa Sede presso gli organismi internazionali a New York, Ginevra o Vienna traeva spunto dagli indirizzi del Pontificio Consiglio, oltre, naturalmente, che dalla Segreteria di Stato.
I vescovi in visita ad limina da tutto il mondo non mancavano di fare tappa a san Calisto. Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, infatti, fu tradotto in oltre 150 lingue. La convegnistica, sempre di respiro internazionale, organizzata dal Consiglio, era sempre ispirata ai principi della Dottrina sociale della Chiesa e nel 1991 Giovanni Paolo II chiese al Cardinale Etchegaray e al Vicepresidente Mons. Jorge Mejía, di organizzare un convegno per i cento anni della Rerum novarum, dedicandolo al principio della destinazione universale dei beni.
L’azione del Pontificio Consiglio ispirò indirettamente molte iniziative sia della Santa Sede che delle Chiese nazionali nel campo della Dottrina sociale della Chiesa. Presso la Università Lateranense fu creato per la prima volta un corso di laurea in Dottrina sociale, presso l’Angelicum un Master, presso la Cattolica di Milano il Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa e si riuscì perfino a far produrre ai professori della Cattolica di Milano un Dizionario di Dottrina sociale della Chiesa, impresa in seguito mai ripetuta nemmeno in forma analoga.
Con la sua eliminazione in seguito alla nascita del nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, cosa resta del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace? Ha lasciato una eredità che rimanga viva anche se le targhe sui portoni degli uffici al palazzo San Calisto sono cambiate? La svolta non è stata solo organizzativa ma anche di indirizzo. La Dottrina sociale della Chiesa è ormai allontanata sullo sfondo. Nello Statuto essa viene appena nominata di striscio: “Il Dicastero promuove lo sviluppo umano integrale alla luce del Vangelo e nel solco della dottrina sociale della Chiesa”. Gli scopi sono prevalentemente assistenziali nei confronti delle emarginazioni.
Nella Lettera Motu proprio di Francesco che lo istituisce vengono elencate: “… le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura”. Un Dicastero che non lavora più per la fisiologia cristiana e umana della vita comunitaria ma per intervenire sulle sue ferite. Il nuovo intento più pastorale e settoriale e sempre meno dottrinale e globale si vede nelle iniziative, incentrate sull’ecologia, le migrazioni, la biodiversità, il clima, la Giornata mondiale per la salute, l’urgenza della vaccinazione, la transizione energetica, gli obiettivi ONU 2030.
Non ci sono accenni ad iniziative improntate alla vita, alla famiglia, alle biopolitica … e ai principi classici della Dottrina sociale della Chiesa.