In un Iraq traumatizzato vincono gli estremisti sciiti
In Iraq perde la coalizione istituzionale del premier Al Abadi. A vincere è soprattutto la coalizione populista guidata dagli sciiti radicali di Al Sadr (leader della guerriglia anti-americana nei primi anni 2000) e comunisti. Va forte anche il partito Fatah delle milizie sciite. E' il voto di un paese traumatizzato da Isis e guerra civile.
L'Iraq che esce dalle urne per le elezioni politiche è ciò che di più vicino si possa immaginare ad un rompicapo. Politico, sociale e confessionale. Con una finestra aperta sulla geopolitica che arriva ad allungare la visuale fino ai palazzi del potere americani. Come il Libano, guardacaso uscito da poco da una tornata elettorale, anche l'Iraq è un caleidoscopio politico e religioso che dimostra essenzialmente tre cose: in primis che la presa dei partiti ''filo-occidentali'', se così possiamo dire, si è notevolmente attenuata, che l'Iran non è più il padrone occulto del Paese e, in secondo luogo, che gli anni di guerra, di divisioni sanguinose e di predominio del jihadismo dell'Isis hanno lasciato un segno che necessiterà decenni per rimarginarsi. A patto che vi si riesca.
Andiamo per ordine e iniziamo col dire chi è il vincitore di questa tornata elettorale irachena: a raggranellare più voti e dunque più seggi la coalizione Sairoon, guidata dall'imam scitta Muqtada al-Sadr, ricordato come il più acerrimo nemico degli americani sin dal 2003 e a capo di una milizia che si rese protagonista di atti spesso di grande ferocia nei confronti degli occupanti e iracheni sunniti o dissidenti. La coalizione che il religioso sciita guida vede al suo interno una serie piuttosto disomogenea di realtà politiche fra cui appunto sciiti, laici di sinistra e attivisti che lottano contro la corruzione; una sorta di 'grande coalizione' che dall'estero e anche dall'interno del Paese è stata etichettata come populista perché profondamente contraria alla presenza di Usa e Iran in Iraq. Al secondo posto arriva la coalizione Fatah, gruppo sciita duro in cui si fa notare la presenza delle milizie che a Teheran fanno riferimento diretto. Al terzo posto arriva, con grande sorpresa di tutti, la Nasr Coalition guidata dal premier attuale Al-Abadi, anch'egli sciita, e sostenuta dall'Occidente.
Ora, chi dovesse leggere questi risultati potrebbe pensare, di primo acchitto, che sia in procinto o comunque più probabile il formarsi di un governo sostanzialmente filo-iraniano, ma la realtà è un po' più complicata di così; Muqtada al-Sadr infatti è detestato dall'Iran, da cui lui e le sue milizie non hanno mai preso ordini né finanziamenti, e la sua figura ha assunto connotati assai differenti da quelli degli anni 2000 dopo quella che è stata chiamata ''la svolta'': ovvero un viaggio in Arabia Saudita, per incontrare il principe sovrano Salman. Dunque se al-Sadr, che non potrà divenire premier perché non candidato, indicherà un nome che ricalca le sue orme (e non c'è da attendersi nulla di diverso) la storia della politica irachena potrebbe svoltare bruscamente in una direzione anti-iraniana. E anti-americana. A meno che le due coalizioni 'perdenti', Fatah e Nasr, non decidano di ingoiare bocconi amari e coalizzarsi per tentare di formare un governo.
Ultimo elemento da analizzare di quelli che si sono messi in evidenza all'inizio. L'affluenza molto bassa, attorno al 44%, testimonia fedelmente quanto il Paese sia ancora profondamente intriso della paura e della devastazione che l'Isis e la sua guerriglia di jihad hanno portato fra la gente; massacri, deportazioni come quelle degli Yazidi, schiavitù di interi villaggi, morte e jihadismo elevato alla massima potenza hanno ferito l'Iraq in maniera pesantissima. Dunque il risultato che oggi vediamo uscire dalle urne è figlio anche di questo clima di timori e di sofferenza, che solo negli ultimi tempi si è leggermente attenuato. Ma nella mente e negli occhi degli iracheni, stremati da quasi quindici anni di occupazione e guerra intestina, il pericolo e la paura dell'estremismo armato rimane. Da qualsiasi dei due filoni possa arrivare.