In Italia inizia la fobia delle armi chimiche siriane
Nell'opera di smantellamento delle armi chimiche di Assad, l'Italia, contrariamente a Inghilterra e Germania, giocherà un ruolo solo marginale. Ma le giunte locali temono anche solo di essere sfiorate dalle navi con quel carico.
Continuano sempre più feroci gli scontri tra le milizie moderate e islamiche contrapposte ai qaedisti dello Stato Islamico di Iraq e Siria che hanno provocato in pochi giorni almeno un migliaio di morti. Dopo aver subito rovesci iniziali i miliziani di al-Qaeda sono al contrattacco su tutto il fronte settentrionale e nord orientale siriano dove hanno riconquistato al-Bab e Raqqa, nel settore di Aleppo, massacrando con esecuzioni sommarie decine di militanti avversari e civili. Sviluppi bellici che certo non favoriscono la posizione politica degli insorti che hanno annunciato ieri che non parteciperanno alla conferenza internazionale che il 22 gennaio si terrà a Montreux, in Svizzera e che a questo punto rischia di sancire la rinnovata forza del regime di Bashar Assad. Una decisione annunciata prima dai gruppi islamisti e ieri sera dalla Coalizione Nazionale Siriana e che ha fatto infuriare gli anglo-americani che minacciano ora di sospendere ogni aiuto agli insorti.
La crisi siriana sta coinvolgendo direttamente (per la prima volta) anche il dibattito politico italiano, non certo per la recrudescenza degli scontri e le gravi privazioni della popolazione ma per l’ormai certo passaggio sul nostro territorio di parte delle 1.300 tonnellate di armi chimiche e precursori (componenti delle armi) che i tecnici dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) hanno stoccato in 12 depositi in Siria e da lì stanno cominciando a imbarcarli su due mercantili, uno danese e uno norvegese.
I gas più letali, 150 tonnellate di nervini, verranno distrutti in un centro specializzato in Gran Bretagna mentre la Germania ha accettato di distruggere alcune centinaia di tonnellate di prodotti chimici siriani in un centro di combustione gestito dalla società per l'eliminazione di armi chimiche e residui militari Geka, con sede a Munster, in Bassa Sassonia. Il ruolo dell’Italia sarà molto meno impegnativo di quello ricoperto da britannici e tedeschi e soprattutto non comporterà né il trasporto sul territorio nazionale di armi chimiche né la loro distruzione presso impianti industriali italiani.
Roma si è impegnata a mettere a disposizione un porto per il trasferimento dei container imbarcati sulle navi Ark Futura e Taiko a bordo della nave ausiliaria della Marina statunitense Cape Ray che imbarca un sofisticato sistema di distruzione delle armi chimiche tramite idrolisi noto come Field Deployable Hydrolysis System. L’incontro tra i due mercantili che attualmente stanno caricando le armi chimiche nel porto siriano di Latakya (scortate e protette da una flotta internazionale di navi da guerra russe, cinesi, britanniche, statunitensi, danesi e norvegesi) e la nave statunitense proveniente dalla base di Norfolk (Virginia) è previsto a fine mese in un porto dell’Italia meridionale non ancora definito o più probabilmente non ancora reso noto.
I motivi per tanta riservatezza sono comprensibili sul piano della sicurezza, meno sotto il profilo politico. Se infatti pare consigliabile evitare di offrire informazioni utili a gruppi terroristici che potrebbero tentare il colpo spettacolare di attaccare un carico di armi chimiche in un porto di un Paese della Nato, sul fronte della politica interna le esitazioni del governo mettono in difficoltà le amministrazioni locali. Da Brindisi alla Sardegna sindaci e presidenti di Regione hanno detto chiaramente di non voler ospitare le navi sul proprio territorio anche se il trasbordo dei container prevede non più di 24/48 ore come ha spiegato il ministro degli esteri, Emma Bonino.
La titolare della Farnesina ha definito l’operazione di distruzione una delle “pochissime e la più grande mai effettuata” facendo appello a che non ci siano polemiche strumentali. “Spero che tutte le forze politiche sappiano comportarsi con il rispetto e il decoro di un Paese che ha fortemente voluto la distruzione delle armi chimiche” ha aggiunto il ministro annunciando per il 17 gennaio la comunicazione del porto interessato dall’operazione.
Il mese scorso emerse in ambito Ue l’indiscrezione che non sarebbe stato utilizzato un porto militare. Se questa voce trovasse conferma sarebbero da scartare le ipotesi formulate in questi giorni che Ark Futura, Taiko e Cape Ray si incontrino in un molo di Gaeta, Taranto, Augusta oppure Teulada e Santo Stefano (Sardegna). Le ipotesi più probabili restano di conseguenza quelle di Cagliari e Brindisi dove le amministrazioni locali sono sul piede di guerra. Il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, lunedì ha inviato una nuovo diffida al Governo contro il passaggio nei porti sardi delle armi chimiche siriane. Il governo sembra preoccupato di rimediare una brutta figura con gli alleati e soprattutto con gli Stati Uniti, qualora manifestazioni violente (sullo stile “no TAV”) e accese polemiche politiche costringessero Roma a ritirare la disponibilità a ospitare le navi per il trasferimento dei gas siriani.
Una volta imbarcare circa 700 tonnellate di agenti chimici, la Cape Ray si recherà in alto mare per le operazioni di smaltimento da effettuare in acque internazionali ma non è ancora chiaro se resterà nel Mediterraneo o si trasferirà in Atlantico. La data ultima fissata dall’Opac per questa prima fase dell’operazione è il 31 marzo mentre la distruzione completa degli arsenali di Bashar Assad è prevista entro fine giugno. Con o senza il contributo italiano.