In Iran dilaga la rivolta delle donne contro il velo
L'uccisione di Masha Amini, picchiata a morte dalla polizia perché indossava il velo in modo scorretto, ha causato una grande ribellione in tutte le principali città dell'Iran. Il presidente Ebrahim Raisi ha ordinato una stretta sulle regole islamiche.
Casa Bianca e Onu sono gli interlocutori dell’Iran per una partita enorme che riguarda il nuovo accordo sul nucleare e il futuro del Paese. Proprio in queste ore si sperava in un ripristino di quanto tracciato da Obama nel 2015, e invece gli ayatollah sono alle prese con un’emergenza che riguarda le donne, il velo e le ciocche di capelli da tenere nascoste, e la condanna di Biden e Onu non s’è fatta attendere. Perché l’Iran è ancora uno dei pochi Paesi al mondo dove il velo islamico è obbligatorio: non si può andare in giro senza, né lo si può indossare disordinatamente. Proprio come in Afghanistan.
È così che quanto accaduto a Masha Amini ha fatto il giro del mondo in un fuori programma che ha disturbato le mire nucleari della Repubblica islamica: aveva 22 anni ed è stata uccisa perché indossava male il velo. Una ciocca di capelli di troppo in vista, la morte e la rivoluzione per le strade.
Era il 13 settembre, Masha era in visita a Teheran con il fratello quando è stata prelevata dalla polizia, portata fuori da una stazione della metropolitana e caricata su un furgone con l’accusa di non aver rispettato la legge sull’hijab: l’articolo 638 del codice penale islamico afferma che è reato per le donne comparire in strada e in pubblico senza velo. Masha il velo lo indossava, ma non come avrebbe dovuto. Arrestata, è stata picchiata a morte dalla polizia. Nei rapporti ufficiali è scritto che soffrisse di epilessia, ma la famiglia sostiene che la ragazza sia stata massacrata dalla polizia.
«Il video che hanno mostrato dal centro di detenzione è stato contraffatto. Perché non hanno mostrato il filmato di quando hanno fatto uscire mia figlia dal furgone? Perché non hanno mostrato cosa è successo nei corridoi del centro di detenzione?», ha detto il padre della ragazza al quotidiano Ham-Mihan. L’ospedale ha dichiarato che Amini era già cerebralmente morta quando è arrivata lì. Il capo della polizia di Teheran, Hossein Rahimi, ha liquidato la faccenda con un «è stato un brutto incidente».
Trasportata in un furgone al centro di rieducazione è stata picchiata e torturata a morte dalla Polizia Morale, l’unità di forze di sicurezza iraniane responsabile del sistema sharaitico e che manda a morte giovani innocenti. La Repubblica islamica iraniana è una teocrazia, cioè l’ayatollah, Ali Khamenei, è la massima autorità politica, ma anche morale e religiosa. E violenze come quelle riservate a Masha sono all’ordine del giorno, da quando è iniziata la rivoluzione khomeinista islamica. Ogni cosa, però, s’è inasprita da quando, recentemente, il presidente Raisi ha imposto una stretta. Negli ultimi anni la questione "velo" aveva iniziato a esser gestita in maniera un po’ meno severa. Ma nei palazzi del potere, diventare morbidi sul velo islamico vuol dire "decadimento dei costumi", quindi preludio di una rivolta laica e anti élite religiosa, difficilmente contenibile per un potere che governa 80 milioni di persone a colpi di imposizioni, nell’incubo quotidiano di un golpe e ingerenze esterne. E difatti le proteste di questi giorni non lasciano indifferente il governo.
Finora sarebbero 300 i manifestanti arrestati e almeno dieci i morti. Ma è impossibile dare numeri certi vista la censura del regime islamista. Dalla città curda di Saqqez – luogo di nascita di Mahsa – passando per Teheran, Sanandaj, Isfahan, Ilam, Ghazvin, Tabriz, Rahst e persino la città conservatrice di Mashhad, le proteste si sono estese in oltre quindici città del Paese. Traffico bloccato, cassonetti incendiati, lancio di pietre contro le forze dell’ordine. Alcuni negozi e bazar sono persino rimasti chiusi in segno di protesta in giro per il Paese.
La protesta delle donne è forte e simbolica: tolgono il velo e lo bruciano. Soprattutto si tagliano i capelli e si riprendono mentre lo fanno. Qualcosa che ricorda quanto accaduto lo scorso luglio: nel “Giorno nazionale dell’hijab e castità” si erano viste proteste, in tutto il Paese, di donne che pubblicavano video sui loro account di social media con la testa scoperta nelle strade e su autobus e treni. E le autorità iraniane hanno risposto con un’ondata di arresti, detenzioni e confessioni forzate in televisione.
Mahsa era colpevole di aver indossato il velo in modo inappropriato e probabilmente, secondo alcune indiscrezioni, la denuncia alla polizia è partita proprio da alcune donne. Episodio che manda alla memoria le manifestazioni del 2006, quando le donne, fiere del velo e che sostengono la linea dura – e non sono poche nella Repubblica islamica iraniana – organizzarono raduni per protestare contro quella che vedevano come l’incapacità dell’autorità nell’applicare bene la legge sull’hijab. Raisi, in queste ore a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, proprio prima del suo viaggio, aveva dichiarato in un’intervista alla CBS - pubblicata dal suo sito ufficiale - che l’hijab è sempre stata una scelta delle donne iraniane che lo indossano volontariamente. Intanto la giornalista della CBS ha riferito che le è stato imposto come vestirsi per l’intervista.
Solo ad agosto il presidente Ebrahim Raisi ordinava una stretta nell’applicazione più rigida delle leggi islamiche, in particolare circa l’obbligo del velo. Nuove restrizioni su hijab e castità con tanto, per esempio, di licenziamento per le dipendenti del governo se le loro immagini del profilo sui social media non sono conformi alle leggi islamiche. Poche settimane fa, a inizio settembre, il governo ha annunciato di star lavorando anche all’utilizzo della tecnologia di riconoscimento facciale sui trasporti, e più in generale nei luoghi pubblici, per identificare le donne che non rispettano l’uso corretto dell’hijab. Dal 2015, il governo iraniano ha inserito gradualmente le carte d’identità biometriche con un chip che memorizza dati come scansioni dell’iride, impronte digitali e immagini facciali. Il governo, pertanto, ha già dimostrato che quel che accade su un autobus non sarà dimenticato: «abbiamo accesso a tutti i volti, sappiamo chi sei e ti troveremo».
“Prima copriti i capelli”, è un ordine che tutte le donne iraniane conoscono almeno dall’avvento al potere di Khomeini, nel 1979. Quando l’ayatollah trasformò il hijab nella “bandiera della rivoluzione” e si videro le donne scendere in piazza a migliaia avvolte nel tradizionale velo, in sfida alla forzata “occidentalizzazione”. Oggi, 43 anni dopo, c’è chi ancora lo difende e chi non smette di ribellarsi sebbene certo di andare incontro ad un destino di morte. E mentre la storia di Masha, uccisa per aver mostrato i capelli, arrivava anche in Italia, le testate nostrane più importanti mettevano in prima pagina la pubblicità dell'hijab della Benetton.