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INTEGRAZIONE

In Germania le famiglie islamiche remano contro

Uno studio della fondazione Konrad Adenauer lo conferma: le difficoltà maggiori le pongono gli stessi genitori di bimbi e giovani musulmani.

Attualità 21_10_2011
Una famiglia musulmana

 

È stato presentato qualche giorno fa ed è diventato subito oggetto di acceso dibattito. Il tema dello studio promosso dalla Fondazione Konrad Adenauer è esplicito: “Bambini e giovani musulmani in Germania”. Duecento pagine ricche di dati e tentativi di valutazione per comprendere i motivi per cui un terzo degli studenti figli di migranti di religione islamica (la ricerca si concentra in particolare sulla popolazione d’origine turca) vivano situazioni di difficoltà all’interno della scuola tedesca (cattivi rendimenti e problemi disciplinari).

Dalla ricerca, opera di Ahmet Toprak, docente di Pedagogia presso la Fachhochschule di Dortmund, e di Aladin El Mafaalani, ricercatore di scienze della formazione, rispettivamente d’origine turca e siriana, emerge che i motivi dei carenti risultati scolastici sono diversi, prevalentemente culturali  e vanno ricercati all’interno delle famiglie dei ragazzi. Un primo motivo è individuabile già durante le primissima infanzia. Se di regola i genitori tedeschi sono coscienti del fatto che le basi per una certa riuscita scolastica devono essere gettate nel contesto casalingo fin nei primi anni di vita, all’interno delle famiglie con genitori d’origine turca non esiste alcuna volontà di preparare i piccoli alle future sollecitazioni che giungeranno loro dalla scuola: in concreto viene prestata poca attenzione allo sviluppo delle capacità linguistiche, motorie e cognitive dei bambini. Dai risultati dell’indagine questi genitori risultano essere convinti che ci penserà la scuola ad offrire ai propri figli tutto ciò di cui avranno bisogno per la loro educazione.

Spesso non hanno neppure idea di come sia strutturato il sistema formativo, sopravvalutano, scrivono Toprak e El Mafaalani, il ruolo della scuola, finendo col far ricadere per intero su di essa la responsabilità per i risultati d’apprendimento dei loro figli. E del resto è questo il modo in cui viene intesa la scuola nei loro paesi d’origine: «Lì», scrive Mafaalani, che è anche un insegnante, «tutto ciò che i ragazzi apprendono è affidato alla responsabilità di chi insegna, i genitori non si immischierebbero mai in questioni relative alla formazione scolastica». E purtroppo è vero anche il contrario: «In Turchia o in un qualsiasi paese arabo», sottolinea Toprak, «un insegnante che si trovi in difficoltà con un alunno non si rivolgerà mai alla sua famiglia. Se una cosa del genere succedesse in Germania sarebbero gli stessi genitori a giudicare incompetente quell’insegnante. Il fatto che lui chieda aiuto lo valuterebbero come segno di debolezza». D’altra parte i docenti sono portati a giudicare il non immischiarsi dei genitori nelle questioni scolastiche dei figli come palese dimostrazione di disinteresse. Com’è evidente, i malintesi sono numerosi, da ambo le parti e di varia natura e perché possano essere affrontati con una minimo di speranza di successo gli autori della ricerca propongono che si punti maggiormente sulle visite degli insegnanti nelle case degli alunni, perché ritenute più efficaci rispetto alle serate appositamente organizzate per i genitori all’interno delle scuole.

Attraverso una serie di interviste Toprak e Mafaalani affrontano un’altra delle principali difficoltà di fronte alle quali si trovano i figli di immigrati musulmani: le aspettative dei genitori rispetto alla proposta formativa scolastica. Nel contesto di una famiglia i cui membri adulti sono originari della Turchia, per esempio, i bambini vengono introdotti anzitutto nella comunità nella quale sono nati, devono avere rispetto dei suoi membri più adulti e delle autorità e infine devono attenersi alle regole dell’islam. In sé nulla di grave, se non fosse che le esperienze raccolte dai due ricercatori raccontano di un diffuso duro controllo sui bambini, di frequenti liti, di maltrattamenti, e del permanere di una tendenza ad esaltare e favorire i maschi a discapito della femmine, da preparare piuttosto al ruolo di donna di casa o comunque da trascurare. A questi differenti atteggiamenti delle famiglie rispetto ai figli in base al sesso si aggiunge, secondo i dati della ricerca condotta da Toprak e Mafaalani, una vera e propria paura dei genitori, in particolare in quelli d’origine turca, nei confronti dell’individuo, della persona: la collettività, sottolineano gli studiosi, per loro conta più del singolo. Dunque, si chiedono, come può essere accettata senza tensioni e fraintendimenti una scuola come quella tedesca, nella quale vengono coltivate ed esaltate l’autosufficienza e l’autodeterminazione? E infatti, per paura che si comportino troppo licenziosamente in un contesto "occidentale", molti bambini vengono controllati duramente. Le stesse differenti misure disciplinari adottate dai genitori a casa e dagli insegnanti a scuola creano non pochi problemi: «I ragazzi turchi, quando fanno qualcosa che non dovrebbero, sono abituati a stare in casa di fronte a veri e propri scatti d’ira», notano ancora Toprak e Mafaalani. «Così succede che se a scuola, dopo aver fatto una stupidaggine, sentono l’insegnante appellarsi alla comprensione ed al ravvedimento, quegli stessi ragazzi finiscono facilmente col non prenderlo sul serio».

Come detto, i due ricercatori oltre a mettere a fuoco i problemi sulla base dei dati raccolti, provano a suggerire soluzioni. Propongono per esempio che i figli di immigrati condividano con i bambini tedeschi un periodo di apprendimento più lungo. L’ideale, sostengono, sarebbe quello di riuscire a intervenire, modificandolo, sullo stile educativo dei genitori, con l’obiettivo di rendere il loro atteggiamento più dialogante e collaborativo. Ma sono gli stessi Toprak e Mafaalani a considerare quest’intento difficilmente attuabile.