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GRILLINI DI LOTTA E GOVERNO

In dieci anni i Cinque Stelle sono diventati la "casta"

Chi l’avrebbe mai detto che dieci anni dopo il “Vaffa day” i Cinque Stelle sarebbero diventati “casta”? Esistente da dieci anni e al governo da un anno e mezzo, i Cinque Stelle stanno tuttavia attraversando una grave crisi interna. Dopo aver governato con la Lega e con il Pd rischiano di perdere la loro identità (e molti loro protagonisti)

Politica 14_10_2019
Di Maio alla kermesse dei Cinque Stelle

Chi l’avrebbe mai detto che dieci anni dopo il “Vaffa day” i Cinque Stelle sarebbero diventati a tutti gli effetti “casta”? In pochi forse. Sicuramente l’avrebbero immaginato i meno sprovveduti che, riavvolgendo i nastri della storia politica, prendono atto del fatto che il nuovo nasce spessissimo dal peggio del vecchio. Ed è così che la due giorni pentastellata a Napoli, tra veleni e vendette, sancisce l’inedita competizione tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, entrambi applauditi dal popolo grillino, ma destinati a contrapporsi sempre più in ragione di ambizioni concorrenti.

Addirittura sullo sfondo prende forma un asse tra Matteo Renzi e il capo politico grillino per ridimensionare e tenere sotto scacco il premier, che come indici di popolarità sta stracciando entrambi e che può contare sull’appoggio del segretario Pd Nicola Zingaretti. Anche quest’ultimo, infatti, ha interesse a consolidare il quadro politico visti i sondaggi che danno in calo il suo partito dopo la scissione dei renziani. Il Conte bis è nato sulla base di un nuovo patto politico giallo-rosso ma appare segnato da profonde contraddizioni che ne rendono incerto il cammino. Il segretario Pd ha proposto a Di Maio di rendere organica l’alleanza Pd-Cinque Stelle già a partire dalle regionali, ma Giggino frena perché si rende conto che le troppe giravolte degli ultimi mesi, con il passaggio dalla Lega all’odiato Pd potrebbe costargli davvero caro sul piano della credibilità. Vuole fare le cose gradualmente e soprattutto mantenere la golden share dell’intesa, per stoppare l’Opa di Conte sul Movimento. In questo disegno Di Maio sta scoprendo un alleato insospettabile, quel Matteo Renzi sempre detestato, con cui però ha lo stesso obiettivo: far pesare i propri voti nell’appoggio al governo e condizionarne ogni decisione.

Ma non è detto che a Di Maio riesca questa impresa. Conte è apprezzato anche a livello internazionale, il Quirinale lo considera una garanzia di stabilità e ieri a Napoli i grillini lo hanno osannato. Non lo considerano affatto un avversario, anzi ritengono che abbia portato avanti le battaglie più identitarie del Movimento raccogliendo consensi anche in altre aree politiche. Farlo arrivare solido a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura significherebbe la fine delle ambizioni di premiership di Di Maio e Renzi, che quindi vogliono azzopparlo ben prima.

Il Movimento Cinque Stelle, però, è una polveriera. Nel week-end napoletano spiccavano le assenze di Alessandro Di Battista (ufficialmente per ragioni famigliari, anche se neppure i suoi fedelissimi c’erano), degli ex ministri Danilo Toninelli (infrastrutture), Barbara Lezzi (sud) e Giulia Grillo (salute), del dissidente Gianluigi Paragone (rumors lo danno in forte riavvicinamento alla Lega) e di altri che non hanno digerito il cambio di maggioranza con il passaggio alquanto disinvolto dal contratto di governo con la Lega all’accordo di potere con il Pd. Si moltiplicano le voci di scissione, con diversi parlamentari pronti a costituire un gruppo autonomo o a traslocare nelle fila di Italia Viva o della Lega o semplicemente nel gruppo misto. Dietro questi abbandoni, al di là di divergenze ideologiche, ci sarebbero i tipici interessi di bottega, vale a dire dissapori su nomine e candidature e liti sui contributi da versare al Movimento e alla piattaforma Rousseau (sarebbero sempre di più i morosi in arretrato sulle quote).

Qualche giorno fa, prima di raggiungere Napoli, il viceministro allo Sviluppo economico, Stefano Buffagni, vicino ai vertici pentastellati, aveva lanciato il grido d’allarme sul rischio estinzione del Movimento se dovessero essere fatte scelte troppo accondiscendenti nei riguardi delle altre forze politiche. Luigi Di Maio ha provato a rassicurare i dirigenti del Movimento e la base preannunciando il superamento della fase dell’uomo solo al comando, cioè lui, e l’apertura di un nuovo corso che prevede l’affidamento della guida del Movimento a un esercito di 80-90 persone radicate nei territori e pronti a coinvolgere gli iscritti nelle principali decisioni da prendere. Ma se il capo politico ha sin qui accentrato tutto su di sé e ora si rende conto che bisogna ritornare tra la gente vuol dire che il Movimento Cinque Stelle ha seguito esattamente la stessa parabola di tutti gli altri partiti: prendere voti e utilizzarli per conquistare potere nel Palazzo.

La prova del nove saranno le elezioni regionali in Umbria, fra due domeniche, perché li’ si capirà se il nuovo asse Pd-M5S è in grado di scongiurare le sconfitte nei principali fortini rossi. Una batosta non indebolirebbe forse il nuovo governo ma aprirebbe altre falle tra i pentastellati, accelerando la resa dei conti interna.