In cerca di affetto. Per comprendere la realtà
La prima esperienza che fa l’uomo è quella di essere amato. Solo dall’esperienza di essere amato l’uomo può, a sua volta, imparare ad amare. La comunione dei sentimenti e la simpatia umana sono fattori liberanti e permettono una conoscenza più profonda della realtà. Rileggere Il Piccolo Principe e i Due orfani.
La parola «affetto» è spesso equivocata. Il termine deriva, infatti, dal latino «afficio», che al passivo significa «sono colpito da». L’affetto non è, quindi, sinonimo semplicemente di «sentimento», ma definisce il legame provocato dal fascino della bontà, della verità e dell’amore. La responsabilità si configura allora come la risposta alla verità incontrata, un movimento del proprio «io» che si mette in azione, esce da sé e va verso l’altro. In questo movimento di uscita dal proprio ego l’io si conosce in azione e scopre la dinamica fondamentale della persona come rapporto strutturale con un altro. Ogni uomo non deriva da sé, ma da qualcuno che l’ha voluto. Ciascuno di noi è stato chiamato e la vita si presenta come risposta alla vocazione, alla chiamata alla vita, ad un compito. La prima esperienza che fa l’uomo è quella di essere amato. Solo dall’esperienza di essere amato l’uomo può, a sua volta, imparare ad amare.
In una celebre lettera, dopo aver descritto la propria condizione esistenziale paragonandola a quella di un uccellino in gabbia, Van Gogh scrive al fratello: «Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? È un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per potere sovrano, per grazia potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte. Ma dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita». Il grande pittore scrive che il legame affettivo e il vero rapporto amicale liberano dalla prigionia e dalla percezione di tetra oscurità in cui rinchiude la solitudine. La comunione dei sentimenti e la simpatia umana sono fattori liberanti e, come vedremo ora, permettono una conoscenza più profonda della realtà.
Esperienza comune ad ogni persona è, infatti, l’efficacia del rapporto affettivo nel fenomeno conoscitivo. Soltanto quando sei colpito da qualcuno o sei affascinato da lui o inizi a volergli bene, scopri una parte di realtà fino ad allora sconosciuta e il rapporto diventa metodo e finestra sulla realtà. È quanto afferma A. de Saint Exupery (1900-1944) ne Il piccolo principe quando la volpe parla con il piccolo protagonista della storia. Quando questi chiede che cosa voglia dire addomesticare, la volpe risponde: «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire «creare dei legami» […]. Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. […] I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano». La volpe d’ora innanzi, grazie all’affetto provato per il principe, rivaluterà e inizierà ad apprezzare e a capire un aspetto della realtà che fino ad allora era stato percepito come negativo. In un certo senso per l’uomo tutto ciò che non è amico e non è conosciuto è come se fosse nemico, non valorizzato, non utile per la vita e per la crescita. Quando si ama una persona tutto diventa esperienza in quell’ambito (Romano Guardini). «Non si conoscono che le cose che si addomesticano», ma per addomesticare occorre tempo. Così, «gli uomini non hanno più il tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici». L’affettività può sanare la frattura tra una volontà fragile e malata e una ragione che, se utilizzata senza incrostazioni, sa discernere il bene dal male. Per questo una compagnia umana e un’amicizia sono strumenti imprescindibili per mantenere desta la domanda, per ricercare e per operare.
Nella poesia «I due orfani» appartenente a I primi poemetti Pascoli ci racconta di due bimbi che, una sera, spaventati per un temporale, nella loro camera non riescono a prendere sonno e cercano di farsi compagnia parlando e riempiendo il silenzio con le parole. Ogni rumore, anche il più impercettibile, provoca in loro una sensazione di pericolo. I due bimbi sono ora più buoni solo perché non hanno più nemmeno il coraggio di giocare e di litigare, ora che non ci sono più i genitori. I bimbi fanno i capricci perché sanno che c’è qualcuno che li ama e che è disposto a perdonarli e ad abbracciarli nonostante i loro difetti e i loro continui errori come sottolinea chiaramente Pascoli nella conclusione: «Ricordi? Allora non si stava in pace/ tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»/ «ora che non c'è più chi si compiace/ di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni»». Nella vita di un bimbo non è importante essere buono, ma avere il volto amoroso della mamma al fianco, sapere di poter contare su di lei, che è presente anche quando si trova in un’altra camera e quando il lume fioco della lampada si intravede solo dalla serratura. Quando non c‘è più chi ci perdoni, chi si compiaccia di noi, allora non rimane altro all’uomo che cercare di essere più buono. Il perdono è il dono più grande che ci sia stato fatto, è l’abbraccio della nostra persona nonostante i nostri limiti e le nostre mancanze.
Quando non c’è una presenza amorosa che lo abbracci e che gli voglia bene, l’uomo è incapace di affrontare la realtà, è preso dal dubbio e dalla paura, che può tramutarsi in angoscia. Perché l’uomo possa vivere con entusiasmo e con baldanza deve riconoscere una presenza buona che gli permetta di rialzarsi nonostante tutti gli errori che possa compiere. Accade proprio come al parco giochi quando un bimbo scende dallo scivolo e si diverte sull’altalena alla presenza della mamma. Ad un certo punto questa si distrae e si mette a parlare con un’amica. Allora il bimbo si ferma, perché non si diverte più e, triste, chiede: «Che senso ha che io giochi se nessuno mi guarda?». Noi tutti siamo come questo bimbo che ha bisogno di essere guardato mentre corre, si diverte ed è felice. La felicità è tale solo se può essere condivisa, come pure la bellezza può essere gustata solo quando possiamo assaporarla con qualcun altro.