Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
Svipop
a cura di Riccardo Cascioli
Sviluppo umano

In Bangladesh una sentenza storica in favore delle donne indù

 

L’Alta corte della capitale Dhaka ha stabilito che d’ora in poi le vedove potranno ereditare i terreni agricoli dei mariti defunti e quindi diventare autosufficienti

 

Svipop 05_09_2020

Lo sviluppo umano non dipende soltanto da indicatori quantificabili come la scolarizzazione, il reddito e la speranza di vita alla nascita. Altri indicatori sono la misura in cui si garantiscono giustizia, assenza di discriminazioni e in generale il rispetto dei diritti umani: tutti fattori che a loro volta favoriscono lo sviluppo economico e sociale di una comunità, di un paese. Per questo la sentenza dell’Alta corte del Bangladesh in favore delle vedove indù è da considerare una sentenza importante. Il 2 settembre i giudici hanno stabilito che d’ora in poi le donne potranno ereditare le proprietà dei mariti defunti, inclusi i terreni agricoli finora esclusi. Essere private della terra, per le vedove soprattutto con figli ancora piccoli, significava spesso dover tornare alla morte del marito nella casa paterna sperando di esservi accolte. Adesso, come ha spiegato all’agenzia AsiaNews l’avvocato Sultana Kamal, le vedove hanno la possibilità di vivere una vita dignitosa perché potranno essere autosufficienti “senza dover elemosinare l’accoglienza dei genitori: un verdetto che restituisce onore e pace alle donne” e certo ne aumenta l’autostima. Rana Das Gupta, segretario generale della organizzazione non governativa Oikya Parishad che promuove il dialogo tra indù, musulmani e cristiani” ha definito la sentenza una “pietra miliare” anche perché il Bangladesh è un paese musulmano (gli islamici sono circa l’89 per cento, gli indù quasi il 10 per cento, i cristiani meno dell’1 per cento) e finora, come ha osservato l’avvocato Kamal, “nessun governo, in una nazione a grande maggioranza musulmana, aveva mostrato attenzione per le donne indù”.