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EDITORIALE

Immigrazione, vince ancora l'ideologia

Nessuno è mai finito in carcere per il reato di immigrazione clandestina, è una norma che serve a rendere più efficace l'espulsione di chi non ha diritti per restare in Italia. E in ogni caso sono ben altri i problemi da risolvere.

Editoriali 23_01_2014
Immigrati

Per il reato di ingresso clandestino, in carcere non è mai finito nessuno. Per la semplice ragione che la sanzione prevista per tale illecito è solo quella dell’ammenda di 5.000 euro: in realtà anch’essa difficilmente esigibile, dal momento che l’espulsione del migrante irregolare, disposta per via giudiziaria quale effetto della condanna, estingue il reato. Quest’ultimo fu introdotto nel 2009 come norma di chiusura del sistema, proprio allo scopo non già di riempire le carceri di stranieri, bensì di rendere effettiva l’espulsione. Ieri il Senato ha posto la prima premessa perché il reato sia cancellato; contrari solo Lega e Forza Italia. Consenzienti i partiti che sostengono il Governo, soddisfatti – a leggere le dichiarazioni dei loro esponenti – perché si sarebbe trovato un buon compromesso: il primo ingresso irregolare viene sanzionato per via amministrativa, e in caso di violazione dell’ordine di espulsione disposto con tale forma scatterebbe il reato.

Il compromesso sarà pure soddisfacente per chi lo ha concordato. Nella pratica fa porre qualche domanda: l’espulsione per via amministrativa esiste già nell’ordinamento, fin dalla legge Turco-Napolitano. Funziona solo se è effettiva, se cioè lo straniero irregolare viene riaccompagnato nello Stato di origine. Purtroppo questa strada è diventata una eccezione: per le difficoltà connesse alla identificazione delle persone da rimpatriare, per la scarsa collaborazione dei Paesi di provenienza, per gli spazi sempre più limitati nei Cie-centri di identificazione e di espulsione – il che impedisce di trattenere l’irregolare per il tempo necessario a capire chi è e da dove viene –, per il numero sempre più ridotto di unità di polizia dedicate a questo compito.

A ciò si aggiunge la circostanza che quasi sempre contro l’espulsione per via amministrativa si fa ricorso al giudice: e ciò rallenta ulteriormente la funzionalità del sistema. L’espulsione per via giudiziaria, collegata all’esistenza del reato di ingresso clandestino, garantiva una maggiore efficacia (ovviamente, da parte di chi non intendeva sabotare il meccanismo). Eliminarla significa rinunciare a far funzionare una procedura che meritava di essere esemplificata, non ulteriormente complicata. Attendiamoci, molto più di quanto accadeva prima della legge Bossi-Fini, delle espulsioni-foglietti di carta: una moltiplicazione di intimazioni scritte ad allontanarsi dal territorio nazionale, che saranno consegnate a chi sarà trovato in posizione irregolare, e che non avranno seguito.

Per come l’iter è stato costruito, il reato non scatterà mai, perché il migrante irregolare avrà davanti a sé due alternative: o confidare sulla farraginosità del sistema – la polizia giudiziaria sarà in grado di avere aggiornato in tempo reale il quadro informativo sulle espulsioni già disposte, per poter dire che si è alla “seconda volta”? –, o lamentare che non aveva i mezzi per allontanarsi dal territorio italiano, una volta ricevuta l’intimazione a farlo: e quindi è incolpevole per il reato commesso!   

Ancora una volta prevale il dato ideologico, affermato al momento dell’insediamento del nuovo segretario del Pd: non un solo provvedimento, o un solo passo in avanti, sui nodi reali della questione-immigrazione, dai tempi lunghi per il riconoscimento dello status di profugo all’inserimento nel lavoro di chi questo status lo ha conseguito, dalla integrazione degli immigrati regolari alla mancanza di collaborazione ai fini della identificazione fra il sistema carcerario e il sistema dei Cie. Se il metodo che sembra essere consolidato, in questo come in altri settori, è quello dell’annuncio propagandistico, sarà la realtà a darsi carico in breve tempo di dimostrarne l’inconsistenza. Ma in quel momento i danni provocati saranno difficilmente reversibili.