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IL CASO

ILVA, quando ai giudici non piacciono le leggi

Alla terza istanza di dissequestro finalmente i giudici "liberano" i prodotti dell'ILVA - per un valore complessivo di un miliardo di euro - fermi da sette mesi. Finora non erano bastate una legge e una sentenza della Corte Costituzionale.

Cronaca 15_05_2013
Ilva di Taranto

Dopo sette mesi di sequestro di un milione e 800 mila tonnellate di tubi, coils e lamiere, prodotti dall’ILVA di Taranto, per un valore commerciale stimato di un miliardo di euro, alla terza istanza di dissequestro presentata dai legali dello stabilimento, il Gip decide di dare il via libera alla commercializzazione. La decisione del sequestro preventivo era stata presa perché quei beni erano stati considerati “frutto del reato”, perché derivanti da una produzione realizzata quando lo stabilimento non aveva la facoltà d’uso. Nelle scorse settimane, la Procura di Taranto aveva dato il suo beneplacito alla commercializzazione di una parte della merce oggetto di un contratto con l’Iraq da rispettare, pena una penale da pagare di 30 milioni di euro.

Lo stesso Gip che ha deciso il dissequestro, ha provveduto ad emanare nel corso della notte, 4 ordinanze di custodia cautelare, nei confronti del presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido; l'ex assessore all'Ambiente Michele Conserva, l'ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia e l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’ILVA, Girolamo Archinà, detenuto dal 26 novembre. L’indagine è connessa a quella per disastro ambientale e riguarda la vicenda relativa alle autorizzazioni della discarica realizzata in una cava all’interno dell’ILVA, dove vengono smaltiti i rifiuti industriali e le polveri prodotte dagli impianti. Dal luglio scorso, sembra che i giudici di Taranto si siano decisi a scoperchiare quarant’anni di relazioni tra potere politico e potere industriale, con un’inchiesta che sembra essere solo al suo inizio.

Tornando alla questione del dissequestro del materiale prodotto, c’è da rilevare che due delle istanze presentate dai dirigenti del siderurgico che chiedevano il dissequestro, erano state respinte dal Gip, su parere negativo della Procura. Nella seconda decisione, i giudici di Taranto avevano dichiarato di non poter decidere senza il deposito della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale sul decreto-legge "salva Ilva" del Governo Monti. Le motivazioni di questa decisione, che ha dichiarato la legittimità del decreto, sono state depositate il 9 maggio.

La Corte Costituzionale, con la sua sentenza, non ha ancora dipanato il caos, che resta pesante attorno a questa situazione, ma ha dato per lo meno all’ILVA una nuova possibilità d’incidere sull’iter giudiziario che riguarda il materiale sequestrato e che s’intreccia su probabili altri sviluppi dell’inchiesta in corso, che sembra non avere mai fine. La decisione della Corte non fa riferimento esplicito alle merci sequestrate, ma parla solo di merci realizzate prima del decreto e della legge. Si legge: "L'intervento del legislatore che con una norma singolare autorizza la commercializzazione di tutti i prodotti, anche realizzati prima dell'entrata in vigore del dl n.207 del 2012 - è il decreto da cui è poi nata la legge di conversione 231/2012 - rende esplicito un effetto necessario e implicito della autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva, giacchè non avrebbe senso alcuno permettere la produzione senza consentire la commercializzazione delle merci realizzate, attività entrambe essenziali per il normale svolgimento di un'attività imprenditoriale". Per la Corte Costituzionale, "distinguere tra materiale realizzato prima e dopo l'entrata in vigore del decreto legge sarebbe in contrasto con la ratio della norma generale e di quella speciale, entrambe mirate ad assicurare la continuità dell'attività aziendale e andrebbe invece nella direzione di rendere più difficoltosa possibile l'attività stessa, assottigliando le risorse disponibili per effetto della vendita di materiale non illecito in sè perchè privo di potenzialità inquinanti".

Subito dopo il deposito della decisione della Corte, i legali dell’ILVA – che hanno sottolineato l’illegittimità, a loro avviso, della conferma del sequestro dopo l'approvazione della legge "salva Ilva" – hanno affermato che la mancata restituzione dell’acciaio costituisce un “diniego di giustizia” e “una palese violazione di legge”. Per l’ILVA “il perdurante vincolo sui beni oggetto di sequestro, con divieto di commercializzazione, è divenuto illegittimo dal 5 gennaio scorso, giorno di entrata in vigore della legge salva-Ilva e che sia palesemente strumentale e giuridicamente infondata la sospensione del processo davanti al gip. Hanno aggiunto: "Codesta procura della repubblica si è assunta una gravissima responsabilità volta ad impedire la commercializzazione dei prodotti Ilva dal 5 gennaio ad oggi con danni di enorme rilevanza". L’ILVA contava di incassare le somme e finanziare parte degli ingenti lavori di risanamento ambientale della fabbrica, imposti dalla legge. I sindacati, dal conto loro, dal dissequestro attendono una piena ripresa del lavoro nell'area a freddo del siderurgico.

La situazione, kafkiana, ha conosciuto esito parzialmente positivo nelle ultime ore e, si presume, solo grazie alla pronuncia della Corte Costituzionale. L’evento di una legge dello Stato che è intervenuta per regolamentare le attività dello stabilimento – imponendo vincoli che se non rispettati, ne prevedono l’acquisizione diretta – non è bastato per dipanarla e per consentire la commercializzazione dei prodotti e la ripresa piena della produzione. E’ vero che quella legge, così come la decisione della Corte Costituzionale, non autorizzava esplicitamente a vendere i prodotti, - e questo è un suo limite grave - ma è pur sempre una legge, che delinea le modalità entro le quali può essere garantita la produzione dell’acciaio. Nonostante questo dato di fatto, tutto è stato gestito con i tempi della giustizia e in base alle decisioni dei giudici, che dispongono un sequestro prima dello svolgimento del processo e non provvedono successivamente al dissequestro, nonostante l’indirizzo dato dal potere esecutivo e da quello legislativo su questa vicenda. Anche questo caso dimostra che con il passare dei decenni, siamo divenuti un Paese che affida le sue sorti solo ad uno dei tre poteri della sua intelaiatura costituzionale. Quasi su tutto. Si tratta di comprendere se davvero si può continuare così, senza porsi seriamente il problema della riforma profonda del sistema giustizia.