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vergogna a strasburgo

Illegalità al potere: il Ppe salva Salis, ma non Obajtek

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Nel voto per l'immunità di Ilaria Salis vanno in scena la faziosità e la realpolitik più vergognose: l'europarlamentare accusata in Ungheria viene salvata per un solo voto, con una procedura di voto discutibile e con il forte sospetto del sostegno del Ppe. Mentre al polacco Obajtek viene revocata perché è sacrificabile politicamente. Questa non è l'Europa dell'uguaglianza dei diritti. 

Politica 08_10_2025

Il voto del Parlamento europeo che ieri ha confermato l’immunità parlamentare a Ilaria Salis, per un solo voto di scarto, segna una delle pagine più controverse e ipocrite della recente storia dell’Eurocamera. Non solo per l’esito, ma per le dinamiche e le reazioni che ha scatenato. Una decisione assunta al termine di un voto segreto, con una maggioranza risicatissima, dove il risultato finale – 306 voti contro la revoca dell’immunità, 305 a favore – è stato segnato da un episodio quantomeno sospetto: il malfunzionamento segnalato dal deputato Markus Ferber del PPE, che ha chiesto la ripetizione del voto, rifiutata dalla presidente Metsola.

Un dettaglio tecnico, si dirà. Ma in politica i dettagli sono tutto. Soprattutto quando il risultato è determinato da un solo voto. L’interpretazione che se ne può dare, allora, non può che essere politica. Si tratta di una sentenza di salvezza per Salis che, pur avendo a suo carico accuse gravi – lesioni personali e appartenenza a un’organizzazione definita terroristica dal governo ungherese – viene graziata da un voto che non avrebbe retto a un ulteriore scrutinio, a un’analisi più trasparente, a un minimo di rigore istituzionale. E che ciò sia avvenuto con la complicità passiva del Partito Popolare Europeo (PPE) è un fatto che grida vendetta.

Sì, proprio quel PPE che alla vigilia del voto aveva annunciato solennemente che avrebbe votato per la revoca dell’immunità. «Rispettiamo le regole», aveva dichiarato il leader Weber, con tono solenne, come se il PPE si volesse ergere a garante delle istituzioni. Ma alla prova dei fatti, quella dichiarazione è evaporata nel segreto dell’urna. E se è vero che le forze del centrosinistra – Verdi, S&D, The Left e Renew – potevano contare su non più di 310 voti, e alla fine i voti a favore della Salis sono stati 306, è chiaro che alcuni franchi tiratori di centrodestra hanno fatto il “miracolo”.

Eppure la retorica ufficiale del PPE resta intatta, come se l’ipocrisia potesse essere coperta da una dichiarazione preconfezionata o da un rigurgito di legalitarismo a comando. Così, mentre Salis si salva per un pelo, un altro eurodeputato, l’ex ad di Orlen, Daniel Obajtek, viene invece spogliato della sua immunità. Il Parlamento europeo vota in quel caso a favore della revoca, permettendo così l’apertura di un processo da parte delle autorità polacche. E qui sta la contraddizione più bruciante: due casi, due approcci completamente diversi.

Obajtek è accusato di corruzione, un reato pesante, certamente. Ma come Salis, anche lui non ha commesso il fatto da europarlamentare. Eppure nel suo caso il Parlamento si schiera con le autorità del suo Paese e vota per l’autorizzazione a procedere. Come spiegare questa doppia morale? Perché Salis deve essere protetta e Obajtek no? La risposta è fin troppo chiara: la protezione politica è diventata il vero criterio di giudizio.

Salis è ormai un simbolo, e non per i suoi meriti parlamentari (è stata eletta da pochi mesi), ma per la narrazione martirologica che la sinistra ha costruito intorno a lei, per coprire ogni tipo di valutazione giuridica. Al contrario, Obajtek non gode di alcuna simpatia nel nuovo assetto del Parlamento. È un nome legato al vecchio governo polacco del PiS, e quindi sacrificabile, anzi un bersaglio ideale per dimostrare che in Europa la corruzione viene punita. Si chiama realpolitik.

Ma c’è poco di nobile in questo: c’è piuttosto la conferma che l’immunità parlamentare, che dovrebbe essere uno strumento di garanzia per l’indipendenza dei deputati, viene usata come scudo per amici e come leva punitiva per gli avversari.

E chi oggi esulta per Salis – evocando parole roboanti come “resistenza”, “antifascismo”, “valori democratici” – dovrebbe guardare in faccia questa realtà: il salvataggio della loro beniamina non è stata una vittoria del diritto, ma una forzatura politica. Una forzatura condita da ombre – il malfunzionamento della scheda elettronica, le defezioni nel centrodestra, il voto segreto – e sostenuta da una maggioranza raccogliticcia che, in un Parlamento spaccato, ha preferito trasformare una decisione tecnica in una battaglia ideologica.

E il PPE, che doveva essere il garante dell’equilibrio, si è piegato al calcolo: non ha avuto il coraggio di difendere davvero la sua posizione, lasciando che qualche suo rappresentante facesse il lavoro sporco, votando in segreto per salvare Salis e mantenendo però la faccia pulita davanti alla stampa. Un doppio gioco che non inganna nessuno.

Che credibilità può avere, d’ora in avanti, un partito che predica rigore e poi chiude un occhio? E non si può neanche invocare l’argomento dell’abuso ungherese, perché nel caso dell’altro eurodeputato, Péter Magyar – altro oppositore di Orban – il PPE ha fatto fronte comune per salvare anche lui. Un esempio di coerenza? Forse.

Ma allora perché Obajtek non è stato difeso allo stesso modo? Perché la sua causa è meno “spendibile” sul piano mediatico? Perché la sua vicinanza al PiS rende più comodo sacrificarlo? È questa l’Europa dei diritti, della giustizia e dell’uguaglianza davanti alla legge? O siamo di fronte a una gestione faziosa, dove conta solo la posizione politica e non il merito dei casi?

Il problema non è solo che Ilaria Salis sia stata salvata. Il problema è che il principio di imparzialità è stato calpestato. Che ci sia stato un voto chiave contestato e non verificato. Che la presidente Metsola abbia respinto la richiesta di ripetizione con una fretta sospetta. Che nessuno oggi possa dire con certezza se quel voto rifletta davvero la volontà dell’Aula. E che nel frattempo un altro deputato venga privato dell’immunità senza che nessuno si ponga troppi dubbi. Due pesi e due misure. Questa è la vera questione politica.

E non basta arrampicarsi sugli specchi del garantismo o dell’antifascismo per giustificare un atto che, nei fatti, si è trasformato in una deroga alle regole per convenienza politica. La democrazia non è un’arma da brandire quando fa comodo, e l’immunità parlamentare non può diventare una coperta corta da tirare solo da un lato. O vale per tutti, o diventa un arbitrio. E oggi, nel silenzio assordante dei moderati e nell’esultanza teatrale della sinistra radicale, il Parlamento europeo ha perso una grande occasione per mostrarsi imparziale, coerente e degno della fiducia dei cittadini.