Il voto in Basilicata certifica la debacle della Sinistra
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La debacle in Basilicata certifica la crisi del Pd, alle prese con il caso della candidatura alle Europee di Elly Schlein e lo scandalo Puglia che appare più grave del previsto.
La turbolenza è la condizione dominante in questa fase elettorale che sta accompagnando il Paese alle elezioni europee e amministrative dell’8 e 9 giugno. La presentazione delle liste e dei candidati contribuisce a lacerare i due schieramenti, soprattutto quello di centrosinistra, che dopo l’esplosione delle inchieste pugliesi e torinesi è in forti difficoltà.
Intanto domenica e ieri si sono svolte le elezioni regionali in Basilicata. La vittoria netta del centrodestra guidato dall'attuale governatore Vito Bardi, dunque riconfermato, rappresenta la riprova della compattezza del suo schieramento, sia pur tra mille dissapori interni. Peraltro in Lucania la coalizione di centrodestra è stata affiancata da Azione e Italia Viva e ha consolidato il proprio dominio con un’ampia forbice di consensi. Il trionfo di Bardi rappresenta non solo una conferma del gradimento del suo mandato da parte dei lucani, ma anche un segnale chiaro dell'orientamento politico della Regione, che dopo decenni di governi di sinistra sembra aver voltato stabilmente pagina.
A livello di rapporti di forza interni, si segnala l’ottima affermazione di Fratelli d’Italia, ma anche il netto sorpasso di Forza Italia (partito del governatore Bardi) sulla Lega.
La sinistra esce pesantemente sconfitta dalla prova elettorale in Basilicata, pagando così la scelta tardiva del candidato e la mancanza di un vero rinnovamento, considerato il fatto che dietro i vari nomi che si sono fatti durante le trattative per la campagna elettorale c’erano i soliti capicorrente ex democristiani, poi approdati al Partito democratico. La mancanza di una strategia unitaria e la presenza di conflitti interni hanno dunque indebolito il fronte progressista, favorendo il consolidamento del consenso intorno al centrodestra, che si è addirittura allargato al cosiddetto terzo polo. In questo caso lo spostamento dell’ex governatore Marcello Pittella verso il centrodestra ha contribuito a rendere più netto il successo di Bardi.
Ma la sinistra non si duole solo della debacle in terra lucana. La decisione di Elly Schlein di candidarsi come capolista alle elezioni europee nelle circoscrizioni Centro e Isole ha scatenato un vivace dibattito all'interno del Partito Democratico. Mentre alcuni accolgono con favore questa mossa politica, altri esprimono pareri nettamente negativi, sollevando questioni cruciali riguardo alla responsabilità dei candidati e alla salute della democrazia.
Uno dei più ferventi critici della candidatura della Schlein è il fondatore del Pd, Romano Prodi che ha espresso il suo dissenso riguardo alla pratica diffusa di candidarsi per poi dimettersi, evidenziando come tale comportamento minacci seriamente i principi democratici. «Onestamente quello che sta succedendo nelle candidature alle europee vuol dire che non mi dà retta nessuno», ha detto l’ex presidente del Consiglio. «Io faccio dei ragionamenti sul buon senso – aggiunge – perché così si chiede agli elettori di dare il voto a una persona che di sicuro non ci va a Bruxelles se vince». Si tratta di ferite alla democrazia che scavano un fossato di incomunicabilità tra elettorato e candidati. Questo ragionamento riguarda in realtà anche Giorgia Meloni, Antonio Tajani e tutti i leader che si candidano e poi disertano Strasburgo oppure si dimettono un minuto dopo per far subentrare il primo dei non eletti. In un contesto politico già segnato da diffidenza e disillusione, la pratica delle dimissioni post-elettorali rischia di erodere ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche. La sensazione di essere traditi e ingannati mina la partecipazione e l'interesse civico, alimentando un circolo vizioso di disimpegno politico.
Dopo le discussioni delle ultime ore e i malumori da parte di molti esponenti dem, la notizia principale è che il nome della Schlein non comparirà nel simbolo della lista del Pd alle europee, quindi la segretaria esce in parte ridimensionata dal confronto interno al suo partito. Ed è tallonata dal leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, che ha deciso di non candidarsi alle europee e di continuare a pungolarla per tentare il sorpasso nelle urne.
Come se non bastasse, a tutto ciò si aggiunge l’inchiesta pugliese che si arricchisce di un clamoroso colpo di scena politico-giudiziario. Il presidente del Pd della regione Michele Emiliano avrebbe avvisato delle indagini in corso Alfonsino Pisicchio, l’ex commissario straordinario dell’Arti che il governatore aveva nominato a dicembre 2023. A riferirlo lo stesso Pisicchio, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, in cui avrebbe presentato anche delle chat avute con lo stesso Emiliano. Una svolta che, al netto delle possibili conseguenze giudiziarie, scatena la polemica politica. «Dalle cronache appare che il presidente Emiliano fosse a conoscenza di una indagine penale nei confronti di Pisicchio. E da quello che si legge Emiliano avrebbe detto all’improvviso a Pisicchio: dimettiti o ti caccio», riassume Matteo Renzi, leader di Italia Viva. Che poi attacca: «Se i fatti corrispondono al vero, si tratta di un doppio scandalo».
Presto per azzardare previsioni, ma ci sono tutte le premesse per un forte condizionamento delle scelte elettorali da parte delle vicende giudiziarie. Mancano meno di 50 giorni alle urne per le europee e tutto lascia supporre che gli attuali sondaggi devono essere presi ancora con molta cautela.