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IL CASO

Il Volto più ricercato della storia

Davanti a immagini blasfeme
di Cristo, già Paolo VI ricordava
la grandezza di quegli artisti
che nel corso dei secoli
si sono confrontati
con il Nazareno. Da duemila anni
quel volto scuote le coscienze.

Cultura 14_01_2012
Cristo - Antonello da Messina

Al di là dello spettacolo teatrale che in questi giorni sta scatenando polemiche per una serie di scene blasfeme sul volto di Gesù, gli uomini di ogni secolo hanno sentito il bisogno di rintracciare il volto del Nazareno. Come dimostra la storia dell'arte da duemila anni.

«Era bello Gesù? Era deforme? Le domande incalzano mentre interpretiamo parole bibliche, che a lui si riferiscono, e che, enunciando ora l’uno ora l’altro degli aspetti propri del Messia, ce lo dicono “bellissimo di aspetto tra i figli degli uomini” (Sal 45,3), e poi ce lo presentano come “l’uomo del dolore” che “non ha alcuna bellezza, né splendore” (Is 55, 2-3). Ritorniamo al Vangelo, e lo vediamo trasfigurato: “Il suo viso risplendeva come sole” (Mt 17, 2); e poi sfigurato: “Uscì dunque Gesù (dal Pretorio), portando la corona di spine e mascherato di porpora. E Pilato disse loro: ecco l’uomo!” (Gv 19, 5). Ma allora ci contenteremo di passare in rassegna le varie scene evangeliche… domandando ai maestri della figura di saziare la nostra fame amorosa delle sue sembianze? Questo si fa, e sta bene: la “Bibbia dei poveri”, come dicevano una volta, non è forse quella delle immagini artistiche? Ma sia lode a chi ci aiuta mediante queste immagini a fare un passo ulteriore. Quale passo? Un passo verso il Cristo reale, ch’è quello della fede; il Cristo, che nella sua visibilità rispecchia l’invisibile Divinità».

Le parole sono di Paolo VI nel 1971, quando gli artisti producevano poche e orribili immagini di Cristo. Ma alle spalle scorreva l’intera storia dell’arte cristiana, che ha distillato un volto veramente epifanico. Tutti riconosciamo immediatamente il volto di Gesù nelle opere d’arte e da esso veniamo rimandati al Cristo vero e vivente. Forse «distillato» non è la parola giusta, perché non si tratta di un lungo percorso storico ma di un conio ben preciso, un canone che compare nel VI secolo e non si perde più. Nel 2000 fu esposta nel celebre plinto vuoto di Trafalgar Square, a Londra, una statua dell’Ecce Homo, opera di Mark Wallinger. L’immagine era bellissima, in marmo bianco, e raffigurava un Cristo in piedi, con il solo perizoma, la corona di spine dorata, le mani legate dietro alla schiena. Ma era glabro e senza capelli. Insomma, non assomigliava all’immagine di Cristo che la gente aveva in testa. E la gente la rifiutò, la gente che magari non andava in chiesa e non praticava religione alcuna, ma «sapeva» com’è Gesù.

Qui si potrebbe aprire una riflessione interessante. In sostanza si ridurrebbe a due postulati: a) non possiamo pensare alle persone se non attraverso l’immagine, b) non si possono cancellare millecinquecento anni di un’immagine di Cristo inalterata. E tanto, tantissimo raffigurata. Del volto di Cristo circoscritto e proposto a dialogo col fedele si ha un esempio precoce nelle catacombe romane di Commodilla, più attinente all’iconografia pagana che alla nascente tradizione cristiana. Ma improvvisamente, nel VI secolo, la figura simbolica di un Gesù innaturalmente giovane lascia il posto al Cristo barbato dai cappelli lunghi che tutti conosciamo. L’orbe cristiano si riempie di icone e mosaici sostanzialmente identici. Non è questa la sede per approfondire la comparsa delle immagine acheropite, non dipinte da mano umana. Ma comparvero allora, quasi contemporaneamente, il Mandylion di Edessa e il volto di Camulia, proponendosi come vere immagini di Cristo. E fu l’esplosione iconica.

Sono portato a dare molta importanza alle motivazioni spirituali delle immagini di culto. Per questo alla domanda sul perché di tanta passione per i ritratti di Cristo, concordo con Belting sul fatto che le immagini acheropite del Sacro Volto intendono certificare «Cristo nella sua esistenza storica e anche nella realtà della natura umana, notoriamente oggetto di contesa» con le varie eresie. Aldilà dell’uso politico delle immagini, più o meno comprensibile nel suo contesto storico, pare plausibile che le persone con vita interiore abbiano cercato il Volto. Ancora con Belting possiamo dire che in questo desiderio di guardare Cristo «si uniscono la curiosità di sapere come egli appare effettivamente all’attesa di un’esperienza personale dell’Altro». Il medioevo vedrà il Cristo pantocratore troneggiare sulle cattedrali. Quando a partire dal XII secolo si cerca di contemplare l’umanità di Gesù, quei grandi volti si riducono e si addolciscono. E con il rinascimento si vuole una penetrazione psicologica che permetta il dialogo intimo con quel Gesù che è diventato compagno di strada e amore esclusivo.

Il Volto dipinto da Antonello da Messina, di cui si parla in questi giorni (Antonello dipinse svariate versioni del Volto di Cristo e dell’Ecce Homo) ne è un esempio. Ma lo è anche quello sofferentissimo, con gli occhi rossi, dell’Angelico, quelli dolci del Bellini e via fino a Rembrandt. È tale la carica artistica, spirituale e affettiva di questi «ritratti», che non possono più essere guardati o trattati solo come opere d’arte o come simboli. Con tutte le conseguenze.