Il virus dell'instabilità familiare
Pubblichiamo una lettera a proposito di femminicidio e di famiglia: violenza e dolori si combattono solo con la stabilità familiare.
San Martino in Rio, 17 settembre 2013, San Roberto Bellarmino
“Perché hai ucciso una femmina?”
“Io ho ucciso una femmina? Io ho ucciso QUELLA femmina!”
“Sì, giusto. Perché hai ucciso quella femmina?”
“Perché mi tradiva. Perché si è voluta separare. Perché ha voluto divorziare. Perché ha interrotto la convivenza. Perché ha rotto la relazione.”
Un tempo li avrebbero chiamati delitti passionali. Oggi li chiamano femminicidi. Non sono né l’uno né l’altro: sono “delitti da patologia dell’instabilità familiare”.
Il virus dell’instabilità produce nei figli maggiori percentuali di asocialità, depressione, difficoltà di concentrazione, abbandoni scolastici, malattie psicosomatiche, propensione al suicidio. Sono i frutti naturali del dolore.
Il virus dell’instabilità produce nei separati maggiori percentuali di depressione, stress, propensione all’alcolismo e dipendenze varie, propensione al suicidio, disturbi psichici. Oltre a produrre la povertà materiale, ormai nota a tutti.
Il virus dell’instabilità produce anche una serie di atti di violenza, fino all’omicidio.
“Ecco, appunto! Poiché la statistica dice chiaramente che le vittime sono donne, questa è una ‘violenza di genere’, è femminicidio!”
Non è così. La statistica dice solo ciò che sanno tutti (tranne gli ideologi del “gender”): maschi e femmine hanno comportamenti diversi. Nella distruzione di un rapporto le femmine realizzano con la perfidia ciò che i maschi sanno realizzare solo con la violenza bruta. E la perfidia non è penalmente rilevante.
Fatta la statistica, che facciamo? Possiamo agire in due direzioni.
L’onorevole Boldrini e i suoi epigoni pensano che una buona legge fermerà i femminicidi e potrà creare un “prendi & lascia” tra maschi e femmine in forma educata e garbata, senza strascichi e ferite. L’onorevole Boldrini e i suoi epigoni non conoscono il cuore dell’uomo. Non vedono che gli atti di violenza che loro chiamano femminicidi sono distruttivi e al contempo autodistruttivi. Chi uccide non mira a un suo vantaggio, a volte addirittura uccide e si suicida; e in ogni caso sa bene che, non avendo le malizie del criminale incallito, verrà presto individuato e condannato. Nessuna legge può fermare chi mira all’autodistruzione.
C’è un’altra via: combattere il virus dell’instabilità. Basterebbe seguire la Costituzione, tanto citata quanto inapplicata. “Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Art. 31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Basterebbe disincentivare le convivenze, penalizzandole dal punto di vista normativo e fiscale. Queste linee ridurrebbero sia i problemi dei figli, sia il numero dei separati, sia gli atti di violenza.
Ma non illudiamoci, non faranno nulla di tutto ciò. Il “femminicidio” è ideologia, ed è complementare alla cosiddetta “omofobia”. Da una parte vogliono tutelare e promuovere l’identità socio-politica gay coi suoi rapporti naturalmente infecondi. E dall’altra insistono ossessivamente su come sia pieno di pericoli un normale rapporto uomo-donna, potenzialmente fecondo.
E mentre i vertici blaterano e tentano di riplasmare la realtà secondo la loro ideologia, nel cuore degli uomini di buona volontà rimane la verità di sempre: c’è un luogo naturale per il rapporto uomo-donna, ed è il matrimonio fedele.
Giovanni Lazzaretti