Il virus del contrappasso (che riabilita scribi e farisei)
Insieme alle cose serie, sia negative che positive (vedi i sacrifici del personale sanitario, la carità e partecipazione al dolore, ecc.), il Coronavirus ha prodotto paradossi. Da certe monache di clausura alla giustizia tra preti, dai gay pride saltati al riscaldamento globale, fino agli scribi e ai farisei… rivalutati da funzionari statali e clero progressista. Piccolo campionario da “Castigat ridendo mores”.
Joseph Tissot nell’anno stesso della sua morte (†1894) pubblicò a Parigi il libretto L’arte di utilizzare le proprie colpe secondo san Francesco di Sales conseguendo un discreto successo. Il fondamento scritturistico era una celebre frase di san Paolo: «Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio» (Rm 8,28), aumentata però da un’aggiunta medievale attribuita a sant’Agostino († 430), che proseguiva precisando: “etiam peccata / anche i peccati”. In realtà il santo dottore non si era espresso in modo così sommario, ma aveva annotato che per coloro che amano Dio anche le deviazioni e gli eccessi fanno progredire in quanto «li rendono più umili e più dotti» (circa i pericoli e gli errori) (De correptione et gratia 9,24).
La conclusione, comunque, è la stessa e cioè che il male assoluto non esiste e che Dio dal male del mondo e degli uomini può trarre un bene soprattutto per coloro che lo amano.
In questo senso e con un discorso serio, il Coronavirus - in se stesso un male e dunque da combattere - è contornato di cose serie e a volte positive: i morti per i quali pregare e l’evidenza concreta della morte che si impone come un fattore per valutare e orientare la vita; la partecipazione al dolore dei malati e di chi ha perduto persone care; la dedizione e i sacrifici del personale sanitario; la solidarietà di tanto volontariato e la carità fattiva che si è manifestata; le lodevoli iniziative audiovisive di diocesi e parrocchie; lo spunto per riflessioni critiche sui metodi delle misure del governo soprattutto per quanto riguarda il culto, ecc.
Con un discorso meno serio, il Coronavirus - anche se per poco tempo - ha prodotto situazioni che hanno qualcosa di umoristico o che per lo meno possono esprimersi in termini paradossali, come don Abbondio nell’ultimo capitolo de I promessi sposi (38) dove, a peste conclusa e a morte di don Rodrigo accertata, sbotta cinico: «È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più»; oppure quando l’erede di don Rodrigo per beneficienza compra a un prezzo esorbitante i pochi beni di Renzo e Lucia permettendo loro di iniziare una nuova vita e don Abbondio sospira sodisfatto: «Ah! (...) se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male».
Dunque, ciò che segue è un innocente e personale esercizio del «Castigat ridendo mores», un detto nato non nella Roma antica ma nel 1600 e di Jean de Santeuil (†1697) per una statua (un busto) di Arlecchino ubicata nella Comédie Italienne di Parigi. Nella Roma antica invece Quinto Orazio Flacco († 8 a.C.) si era domandato: «Ridentem dicere verum, quid vetat? / Che cosa proibisce di dire il vero scherzando?» (Satire 1,1,24).
● “Lavorare stanca” di Cesare Pavese († 1950), edito nel 1936, al di là del contenuto del libro, sembrava un assioma dall’evidenza inossidabile. E invece il domicilio coatto che ha accompagnato il Coronavirus ha dimostrato che spesso “Non lavorare stanca” e rischia di far uscire di testa se, oltre al lavoro e al trantràn quotidiano, non si hanno altri valori ben radicati e se non si possiede un saldo governo del proprio mondo spirituale e psicologico. Già Guigo I († 1136) nelle prime Consuetudini della Certosa osservava che nulla è «più faticoso che il silenzio e la quiete. Per questo sant’Agostino dice: “Per gli amici di questo mondo non c’è niente di più faticoso che non lavorare (Amicis hujus mundi nihil laboriosius quam non laborare)”» (14,5; la citazione agostiniana, più complessa, si può consultare nel De vera religione 35,65).
● Molte monache che, sostenute anche ai piani alti, negli ultimi anni si sono battute per ridimensionare la clausura, si sono trovate nella necessità di dover vivere in strettissima clausura se non volevano infettarsi. Ciò che non poté fare la Verbi sponsa, lo ha fatto il Coronavirus!
● Il domicilio quasi coatto - antipatico - ha fatto saltare tante riunioni inutili. E forse la pastorale ci ha guadagnato.
● E le dichiarazioni trionfanti che finalmente con la nuova traduzione del Padre Nostro preghiamo in modo più giusto e cristiano dopo secoli di devianza, dove sono finite? Chi può permettersi il lusso di ricordarsele, quando ciò che conta è chiedere di essere liberati dal male che è il Coronavirus, senza andare per il sottile se si tratta di “male” o di “maligno”?
● Quando si è voluto convocare i fedeli di una regione o di tutta Italia a pregare insieme in una data ora per implorare la guarigione dal contagio non si è fatto ricorso a elaborati schemi di liturgia della Parola né a sofisticati gesti/segni - roba da iniziati a qualche setta, anche se girano in certi sussidi pastorali -, ma si è riscoperto il Rosario. To’, e chi l’avrebbe mai detto?
● Confessare in confessionale con il Coronavirus è un pasticcio, per cui ho approntato una saletta ben aerata con un bel Crocifisso in avorio su di una mensola. Il penitente sta seduto davanti al Crocifisso a io mi metto al suo fianco per evitare il fiato diretto, sia pure con la mascherina. Naturalmente il penitente tende a girarsi verso di me e io: «No, guardi il Crocifisso e parli al Crocifisso». Miracolo: così si confessa rivolto a Gesù Cristo e istintivamente taglia tutte le chiacchiere che non c’entrano con il sacramento. Nessun documento, nessun corso di pastorale per fedeli avrebbe raggiunto tanto in così poco tempo senza il Coronavirus!
● Ricordate il programma di certi liturgisti: “Meno Messe e più Messa”? Almeno per la prima parte, con il Coronavirus sono stati esauditi al di là di ogni attesa!
● La gravità del contagio ci ha liberato dalle infinite problematiche di legittimare che ognuno si attribuisca il sesso che vuole. Con il Coronavirus almeno alcuni gay pride sono saltati, sollevandoci dal doverne deprecare le sconcezze e magari anche le sciocchezze teologiche.
● L’impatto con un vero pericolo ha silenziato - ma solo per un momento - i discorsi sugli indigeni dell’Amazzonia dai quali dovremmo imparare un rapporto più sereno con una natura idilliaca e ci ha messo di fronte a una natura che a volte produce epidemie (e carestie e terremoti e altro ancora) e insieme ci ha costretti a rivalutare i progressi della ricerca scientifica che, anche se possono essere usati male, restano un dono di Dio per trovare la strada per sconfiggere il virus e sono più apprezzabili di ogni indigenismo.
● Nonostante la “Madre Terra” sponsorizzata anche da ecclesiastici, la prospettiva che il caldo sconfigga o indebolisca il virus ha consigliato, almeno per un momento, di abbandonare Greta Thunberg nella sua battaglia contro il riscaldamento globale antropico: che sia naturale o che sia prodotto dall’uomo, ben venga il caldo!
● Le misure di sicurezza e di domicilio quasi coatto sono veramente del tutto costituzionali? Poi sono state prese senza votazioni del parlamento ma con dei Dpcm. Che ridere! Sì, chi vuol ridere e a lungo provi a immaginare che cosa sarebbe accaduto se il presidente del Consiglio fosse stato un politico di destra con una coalizione governativa di destra o di centrodestra! Che rumore di intellettuali, di politici, di vescovi, di sardine ecc. E invece quasi niente!
● Come si sa, il clero secolare (i preti) riceve un sussidio dall’8x1000, mentre il clero regolare (i religiosi) non riceve nulla. Ma due e più mesi di mancanza di entrate per la mancata attività dei luoghi di culto hanno ridotto le chiese dei preti e dei religiosi agli stessi livelli preoccupanti, senza differenze. A suo modo il Coronavirus ha fatto un po’ di giustizia.
● Il botto strepitoso e finale è che il Coronavirus ha regalato non dico una rivalutazione, ma una trionfale riscossa a scribi e farisei. Vedi le passeggiate per la salute ma solo a 200 o 300 metri dall’abitazione e poco ci è mancato che si indicasse anche il numero dei passi. Poi una risposta autorevole di un addetto del Ministero dell’Interno, di cui ho preso visione il 25 marzo u.s., ha stabilito chi ci può essere in una celebrazione a porte chiuse: il presidente, un diacono, gli accoliti, un organista/cantore, due addetti ad eventuali riprese televisive. Ma l’acuto finale è che le chiese possono restare aperte e ciò «non può precludere alla preghiera dei fedeli» (senza assembramenti), però bisogna che l’accesso alla chiesa «avvenga solo in occasione di spostamenti determinati da “comprovate esigenze lavorative”, ovvero per “situazioni di necessità” e che la chiesa sia situata lungo il percorso». Cioè andare soltanto in chiesa a pregare non è ammesso, se non in quanto si deve andare dal tabaccaio o dal farmacista e così entrare in una chiesa situata sul percorso. Ecco che un funzionario statale ragiona egregiamente come scribi e farisei; e (alcuni) vescovi e cattolici progressisti, dopo averli tanto sbeffeggiati, devono sottostare a chi ragiona come quelli. Per scribi e farisei quale più completa riabilitazione?