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L'INTERVISTA

Il vescovo Suetta: «Aborto, basta tabù: abrogare la 194»

«C'è assuefazione all'aborto, molti cattolici pensano che ormai la battaglia sia persa. Invece i tempi sono maturi per superare il tabù dell'abrogazione della legge 194». Intervista al vescovo di Sanremo, Antonio Suetta, alla vigilia della 43esima Giornata per la vita. «I partiti cercano il consenso, ma se la Chiesa non insiste sulla vita in prospettiva evangelica è difficile che il politico individui il bene comune». La solidarietà al prete "linciato" per il paragone tra aborto e Olocausto: «Ha ragione, il suo è come un martirio, la persecuzione ideologica è l'ostracismo assoluto».
-«FERMATE L'EUTANASIA IN PORTOGALLO» di Luca Volontè

Vita e bioetica 03_02_2021

Nel suo ultimo messaggio alla Diocesi in occasione della 43esima Giornata per la vita che si celebrerà domenica 7 febbraio ha usato parole chiare per definire l’aborto «un delitto, un omicidio che nel 2020 è stata la principale causa di morte nel mondo con i suoi 42,6 milioni di vittime». Più dell’infarto (17,9 milioni), più del cancro (8,7 milioni) e più del Covid con i suoi 1,8 milioni di morti. Ma ha denunciato che di fronte all’«atrocità di questa pratica spaventosamente diffusa (…) tanto “buonismo” e tante affermazioni di principio a tutela dei diritti umani vanno a schiantarsi contro la malvagia convinzione che sia possibile sopprimere una vita nel grembo materno».

Il vescovo di Sanremo e Ventimiglia, Antonio Suetta (in foto), teme soprattutto una cosa: «L’insistente propaganda che tende ad assuefare le coscienze» e il fatto che «molti cristiani si avventurano a dire sciaguratamente che sia legittimo o addirittura doveroso garantire una sorta di “diritto all’aborto”». La Bussola lo ha intervistato alla vigilia della ricorrenza.

Eccellenza, che cos’è l’assuefazione all’aborto? 
È il diffondersi della legislazione sull’aborto a livello mondiale, che produce una mentalità dilagante che fa considerare che quello che viene autorizzato e approvato dalla legge civile sia automaticamente accettabile sotto il profilo morale. Non è così, la legge naturale viene calpestata, si impone una concezione dell’uomo al centro dell’universo e i diritti dell’uomo vengono posti in una visione limitata e limitante. Si passa per diritto ciò che non è nemmeno un bisogno, è un capriccio.

Eppure, non se ne parla…
Noto purtroppo con grande preoccupazione che la vis polemica che era tipica di qualche tempo fa oggi è scomparsa.

Anche nel mondo cattolico?
Spero che non sia per le stesse ragioni, ma credo che da parte di molti credenti ci sia l’idea di considerare questa come una battaglia persa. Molti pensano che tutto quello che si poteva dire sia stato detto, quello che si poteva fare sia stato fatto, d’altra parte il Catechismo e il Magistero sono molto chiari. E così si pensa, sbagliando, che sia ormai inutile e inefficace portare avanti questa battaglia. C’è chi lo fa con la prospettiva che è quella di non esasperare o di non toccare i temi cosiddetti divisivi, però questo mi pare conduca a un grande equivoco, perché è vero che con molte persone di buona volontà noi cattolici possiamo condividere tante positive visioni della vita, ma non è possibile creare una sorta di livellamento in basso e al male oggettivo.

La Giornata per la vita nasce dopo l’approvazione della legge 194 che liberalizza l’aborto. Ma è una giornata ormai solo di semplice testimonianza. Quando secondo lei il mondo cattolico ha abbandonato le armi?
Ho vissuto da seminarista la stagione della lotta contro la legge nel ’78, la Chiesa combatté coraggiosamente, ho vissuto nel mondo della scuola i dibattiti, io da insegnante di religione, con i docenti, spesso di Filosofia e di Sinistra. E con la testimonianza di Santa Madre Teresa di Calcutta e gli esempi del grande movimento pro-life americano abbiamo toccato vette di dialettica importanti, poi però, direi dopo la morte di San Giovanni Paolo II, questo spirito si è andato un po’ perdendo. Non perché i pontefici che gli sono succeduti abbiano trascurato di dire una parola chiara, anzi, ma forse perché la cultura dominante ha impoverito la riflessione, cercando di distogliere l’attenzione.

In che modo?
La cultura che è frutto della scristianizzazione e nello stesso tempo punta a una ulteriore e definitiva cancellazione dei cristiani ha pensato di poter sferrare un attacco decisivo.

Quando?
Ad esempio il mondo cattolico è stato aggredito dalla questione della pedofilia. Questione che andava affrontata, perché è una piaga consistente e distruttiva dentro la vita della Chiesa certo, però mi pare che da parte dei poteri dominanti e nella maggior parte dei media in mano a questi poteri, si sia usato questo argomento per screditare la Chiesa nel tentativo di toglierle voce e autorevolezza su tutte le altre questioni su cui è chiamata a pronunciarsi.

Il risultato oggi è che dire che l’aborto è un omicidio è fonte di impopolarità e a volte di rischio.
La forma del linguaggio ha il suo valore dal punto di vista della comunicazione. Oggi si tende a parlare di omicidio e si intendono determinati avvenimenti, poi si parla di efferati delitti e se ne intendono altri, quelli che sono da tutti riconosciuti come delitti efferati, come la violenza sul minore o sulle donne, poi però sembra che l’aborto, da un punto di vista lessicale, sia relegato a una categoria a sé stante: questa mancanza di chiarezza dal punto di vista linguistico serve a supportare quella concezione sbagliata per cui ciascuno, credente o no, sia libero di ritenere l’aborto lecito o non lecito, ma ritenga che tuttavia sussista una sorta di diritto all’aborto da parte di chi lo richiede. Questo non è accettabile. Il fatto stesso che l’argomento dell’aborto sia relegato alla voce “salute riproduttiva” è improprio.

Non trova che il problema sia anche politico? Oggi nessun partito è davvero contrario all’aborto, i pochi che ne parlano in termini negativi si fermano al sostegno alle donne che decidono di non abortire. Lodevole, ma insufficiente…
Uno dei fattori dominanti nella vita politica è quello di cercare il consenso. Chi fa politica vuole realizzare i suoi programmi, ma si ferma a una considerazione troppo superficiale della popolarità che fa ritenere che quello che non riscuote successo, o peggio che viene deriso e emarginato perché ritenuto oscurantista, non possa essere detto. Dovremmo interrogarci anche noi su questo.

In che senso?
L’unico modo per combattere efficacemente questa attitudine sbagliata è che la Chiesa insista sempre di più nel presentare diffusamente la dottrina. Dobbiamo porci il problema non solo di avvicinare le persone a un senso di Dio, a una spiritualità, alla preghiera e al servizio del prossimo, ma nello stesso tempo bisogna rendere consapevoli i credenti che la fede ha un suo patrimonio nel depositum di verità che va praticata. Se la vita non è più concepita secondo la prospettiva evangelica diventa più difficile per chi si impegna in campo politico individuare correttamente il bene comune.

Oggi dell’aborto sappiamo tante cose: conosciamo le sue ricadute psicologiche, abbiamo gli strumenti per aiutare le donne, la scienza toglie anche le “scuse” che un tempo erano usate. Eppure, parlare di abrogazione della legge 194 è ancora tabù.
È vero. Le donne che hanno affrontato la tentazione dell’aborto testimoniano di aver compreso l’errore e le donne che sono cadute nella trappola dell’aborto hanno capito il male profondo che sta dentro questa scelta contro la vita, i grandi progressi della scienza medica, sono tutti fattori che dovrebbero essere a favore della scelta per la vita. Le condizioni per superare questo tabù ci sono tutte, nulla ci deve impedire di parlare serenamente di un superamento della legge sull’aborto. Non solo evitare il ricorso a essa, ma anche la sua stessa abrogazione dal punto di vista legislativo.

Perché ancora questo tabù, allora?
Il tabù dipende da una posizione ideologica, che è assolutamente rigida e tragica, la quale dipende da una concezione utilitaristica della vita. Sotto sotto, anche se si dice nella maniera più elegante, ma passa l’idea che il rimanere in pochi, sani e belli per stare tutti bene e felici, sia la soluzione migliore. È questa l’idea che oggi serpeggia. È una prospettiva utilitaristica non solo sbagliata, perché mortifica la dignità dell’uomo, ma è miope. Infatti, le società più opulente e progredite sono anche le società più vecchie e spente demograficamente.

Abbiamo scritto di un sacerdote siciliano, padre Bruno De Cristofaro (in foto), che è stato “linciato” mediaticamente per aver paragonato l’aborto all’Olocausto. È anch’egli un martire della verità?
Il cattolico è sempre chiamato a dare testimonianza con la disponibilità di dare anche la vita, ma anche laddove non si raggiungano questi fenomeni di persecuzione fisica e cruenta, la persecuzione ideologica è una sorta di ostracismo assoluto nei confronti dei cristiani da parte dell’intellighenzia e dei media. Credo che la vicenda di padre De Cristofaro, a cui va la mia solidarietà, la mia comprensione e la mia condivisione, sia emblematica di questa situazione.

L'aborto come l’olocausto?
È un paragone, non significa negare una tragedia, non significa dire che una tragedia è peggiore di un'altra, ma è un sottolineare come la diversità delle modalità o del contesto non possano essere mai un’attenuante rispetto all’aggressione della vita umana.

È stato attaccato per aver parlato di Mengele…
Il ragionamento di De Cristofaro era giusto, ha fatto riferimento alla barbarie di Mengele, il quale aveva tracciato una linea sul muro e usava quella linea come criterio di selezione. Non ha avallato in nessun modo, né ha attenuato la tragedia dell’Olocausto, che ribadisco anche io in tutta la sua gravità e la sua vergogna. Ma la stessa cosa va detta anche oggi: l’aborto c’è e, pur nella diversità di contesto, ha lo stesso valore in gioco, la stessa responsabilità.