Il vescovo rapito e altre violenze: l'India persecutrice
India meridionale, monsignor Gallela Prasad, vescovo di Cuddapah, è stato rapito e picchiato per una notte intera. Non è ancora chiaro il motivo del rapimento-lampo. Il vescovo dava sostegno alla comunità di cattolici appartenenti alla casta degli intoccabili. L'episodio di violenza è l'ultimo dei tanti. La persecuzione è in crescita.
Andhra Pradesh, India meridionale, monsignor Gallela Prasad, vescovo di Cuddapah, stava viaggiando in auto quando un gruppo di uomini ha fermato la sua vettura e lo ha rapito. Portato in una località segreta, il vescovo è stato picchiato per ore, nel corso della notte. Lo hanno lasciato andare il giorno dopo, gravemente ferito. Ieri sera, la fontana di Trevi si è tinta di rosso anche per ricordare la loro persecuzione: quella subita dai cristiani in India. Non vittime di una repressione ordinata dallo Stato (ufficialmente secolare), ma di gruppi di nazionalisti indù, molto spesso con la complicità delle autorità locali. Quello a monsignor Gallela Prasad è un attacco ai vertici della Chiesa. E dimostra il senso crescente di impunità di cui godono i nemici dichiarati dei cristiani.
La notizia del rapimento-lampo di Gallela Prasad risale allo scorso 25 aprile, ma è stata diffusa solo ieri dal sito Matters India, che cita la dichiarazione dell’arcivescovo Thumma Bala di Hydebarad, presidente della Federazione Cristiana: “E’ incredibile che tale violenta atrocità sia stata perpetrata contro un alto esponente della comunità di minoranza”. L’arcivescovo ha condannato “le modalità impietose dell’attacco contro una persona che ha dedicato tutta la sua vita a Dio e al servizio dei bisognosi e degli emarginati”. Monsignor Gallela Prasad serve una diocesi con una popolazione di 81mila persone, nella quale la quasi totalità dei cattolici è costituita da lavoratori senza terra, appatenenti alla quinta casta dei Dalit, gli intoccabili, l’ultimo gradino della scala sociale e religiosa induista. La diocesi dava loro un’opportunità di crescere nell’istruzione, opera inammissibile per molti. “Hai aiutato tanta gente, adesso devi aiutare anche noi” hanno detto i rapitori al vescovo loro prigioniero, chiedendo 5 milioni di rupie (circa 75mila euro) per il suo riscatto. “Quando ho chiesto loro chi fossero, mi hanno detto di essere agenti di polizia. Ma la polizia non usa questi metodi”, ha riferito monsignor Prasad nella sua testimonianza. “Sembravano dei sicari e non cristiani, per il modo in cui parlavano e da come si comportavano”. Il motivo del rapimento non è ancora chiaro. Potrebbe essere stato solo per denaro, ma sembra più un’azione intimidatoria. Una delle tante ai danni dei cristiani, in tutta l’India.
Le violenze contro la minoranza cristiana, subite sia dai cattolici che dai protestanti, sono in netta crescita da quando in India è stato eletto il governo di Narendra Modi, leader del partito nazionalista Bjp. L’Evangelical Fellowship of India ha registrato 55 atti di violenza contro i cristiani da gennaio a marzo 2016, in 16 stati della federazione. Il censimento è necessariamente incompleto e potrebbe essere molto più ampio. Basti pensare che nel solo Stato di Chhattisgarh (governato dal Bjp e uno dei cinque in cui è in vigore la legge “contro le conversioni”) sono stati contati 49 incidenti, 14 nel solo mese di aprile. In tutta l’India centrale, ne sono stati contati 116. Questi “incidenti” consistono anche in percosse e torture subite dalle donne che si convertono al cristianesimo ad opera dei loro mariti, pestaggi dei sacerdoti, villaggi che rifiutano la sepoltura dei cristiani e (sempre nello Stato di Chhattisgarh) decine di villaggi che vietano l’accesso ai non-induisti. Quest’ultimo regolamento è stato successivamente vietato dalla magistratura, in quanto anti-costituzionale. Ma la sicurezza dei cristiani e in generale dei non-induisti, è comunque compromessa in quelle aree. Un grave episodio di violenza si è verificato meno di due settimane fa, il 17 aprile, in una chiesa protestante nel distretto di Bastar, Chhattisgarh: una massa di uomini armati di bastoni ha fatto irruzione nell’edificio religioso durante una funzione, picchiando e cospargendo di benzina il pastore Dinbanhu Sameli e sua moglie Meena (incinta al settimo mese), vandalizzando la chiesa, intimidendo i fedeli, costringendoli poi a cantare inni a divinità induiste.
Il 10 aprile, i fedeli di una comunità pentecostale di Nabinagar, nello Stato del Bihar sono stati aggrediti da un gruppo di nazionalisti indù, il loro pastore è stato picchiato selvaggiamente. “I fedeli locali – circa 200 persone – si “erano riuniti dall’8 al 10 aprile senza fare provocazioni – spiega Sajan K. George all’agenzia missionaria Asia News –. Ma l’ultimo giorno, dopo la cerimonia di battesimo di un gruppo di 30 cristiani, circa 35 radicali appartenenti al Bajrang Dal (nazionalisti indù, l’ala giovanile e militante del Vishva Hindu Parishad, ndr) hanno assaltato la preghiera”.
Il 5 aprile, sempre nello Stato del Bihar, estremisti indù del del Bajrang Dal e dell’Rss, avevano rapito un pastore cristiano, Deepak, che faceva proseliti nel villaggio di Budhani Chak. Lo hanno percosso per ore, con estrema durezza, con catene, bastoni e falci. Lo hanno torturato a scosse elettriche per costringerlo a rinnegare la fede e insultare Dio, ma l’uomo non ha ceduto. “Uccidetemi, ma non insulterò mai il nome di Dio”
L’International Christian Concern accusa la polizia indiana di far poco o nulla contro queste aggressioni. In un caso che l’associazione cita ad esempio, 30 radicali indù hanno “attaccato, picchiato e trascinato con loro” un prete cattolico e tre uomini della parrocchia nel villaggio di Ettimadai, nello Stato di Tamil Nadu, lo scorso 29 gennaio. Nel corso dell’assalto, i quattro uomini sono riusciti a fuggire dalle mani dei loro persecutori. La polizia non si è mossa e la folla di estremisti li ha riacciuffati. Sono sopravvissuti, pur se feriti e ricoverati in ospedale.
In altri casi le forze dell’ordine intervengono, ma contro i cristiani. Come è avvenuto proprio questa settimana, a Satna, Madhya Pradesh, dove gli agenti della polizia locale hanno fatto irruzione in una chiesa protestante per interrompere la celebrazione di un matrimonio. L’accusa? La coppia si sarebbe convertita al cristianesimo senza prima informare le autorità. “Questo matrimonio non s’ha da fare”. E i “bravi” entrano in azione sempre più spesso, sicuri di sé, anche contro un vescovo, se pratica una carità che dà loro fastidio.