L'EDITORIALE
Il vento di San Valentino
Le uniche festività sacrificate sull'altare della crisi economica sono quelle del Santo Patrono. Un grave errore: il patrono è un fattore culturale che rafforza i vincoli di appartenenza alla comunità. Ciò di cui abbiamo bisogno per uscire dalla crisi.
Editoriali
06_09_2011
Per me il 14 febbraio è sempre un giorno speciale. E’ San Valentino, che prima di essere il patrono degli innamorati, è il santo patrono della mia città natale, Terni. E anche se ormai da moltissimi anni vivo a Monza, quel giorno ha sempre un sapore particolare: il ricordo della visita alla Basilica del Santo, sempre affollatissima in quel giorno malgrado Terni sia una città dove i cattolici sono piccola minoranza; la fiera che si snoda nelle vie intorno con quel profumo di porchetta che rende i pensieri ancora più celestiali; ma soprattutto San Valentino, quel giorno, è parte della mia identità. Ma non solo mia: in San Valentino tutta la città si riconosce, credenti e non credenti, e intorno a lui – in un modo misterioso - ci riconosciamo tutti uniti, e quel giorno, il 14 febbraio, è un modo per riscoprire e rinnovare quel riconoscersi parte di una comunità.
Vi chiederete: perché parlarci oggi, 6 settembre, di San Valentino? In fondo questa è storia comune a tutte le città e paesi italiani, che pure hanno un loro santo patrono. Appunto per questo: scopro infatti che è lui uno dei principali responsabili della crisi economica e che solo abolendo la sua festività riusciremo a superare questi brutti momenti. Ho detto uno dei responsabili, con lui ci sono le centinaia di altri santi patroni delle città italiane la cui festività verrà abolita con la nuova manovra finanziaria.
A dire il vero, l’idea originale era portare alla domenica anche le festività infrasettimanali “civili” - il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno così da recuperare un po’ di produttività. Ma poi, la protesta di sindacati e partiti della sinistra ha fatto cancellare in Commissione Bilancio questa abrogazione. Ma per i Santi Patroni, che da secoli proteggono pazientemente e instancabilmente le nostre città e chi vi abita, niente. Nessuno che abbia speso una parola per loro, neanche i loro successori. Quale ingratitudine. Evidentemente è più facile avere un Santo in paradiso che un giusto in parlamento (o in diocesi).
Eppure questo è un errore grave: dalle difficoltà si esce soltanto rafforzando i vincoli di appartenenza alla comunità, la cui perdita progressiva è un dato di fatto che rappresenta già una pesante ipoteca sul nostro futuro. Abrogare le feste patronali accelererà ulteriormente questo processo di disgregazione. Oggi porterà forse qualche spicciolo in più in cassa, ma in prospettiva renderà ancora più difficile quella coesione propria di un popolo che si riconosce in una stessa identità. La storia dei nostri comuni è intimamemte legata a quella dei patroni scelti: si sono combattute guerre per le loro reliquie, hanno salvato le loro città da epidemie e carestie, hanno esaudito le preghiere per la pioggia in tempi di siccità, hanno salvato i cittadini dalle invasioni straniere, a loro le comunità locali si sono strette in tempi di bisogno per calamità naturali o guerre. Il Santo Patrono è il simbolo di una storia che affonda nei secoli, è il tratto caratteristico di questa identità; un aiuto anche per chi arriva da fuori, straniero, per inserirsi nelle tradizioni e nella cultura di una città: posso ben testimoniarlo anch'io che sono arrivato a Monza già adulto. E’ dunque anche uno strumento prezioso di integrazione. Cosa sarebbe Milano senza Sant’Ambrogio? O Venezia senza San Marco? O Firenze, Torino e anche Monza senza San Giovanni Battista?
Si dirà: non vengono abolite le feste, vengono semplicemente spostate alla domenica. Ma i gesti, le azioni hanno un significato e mandano un messaggio preciso: celebrare il patrono la domenica successiva non è la stessa cosa. Il messaggio di retrocessione è chiaro: resta il valore religioso, sicuramente restano gli aspetti goderecci, ma si perde irrimediabilmente quel valore civile, di punto unificante della comunità che ha fatto meritare a questa festa il riconoscimento dello Stato. Che oggi si vuole cancellare.
E pensate che i Santi staranno con le mani in mano? Al proposito, mi viene in mente ancora San Valentino, che negli anni ’50 fu protagonista di un episodio esemplare: in pieno scontro sindacale, volendo la dirigenza della locale Acciaieria – che sta a Terni come la Fiat sta a Torino - cancellare il riconoscimento della festività patronale, proprio nei giorni del Santo cominciò a spirare un vento di tramontana così forte che scoperchiò buona parte dei capannoni della fabbrica. L'evento fu da tutti letto come l'intervento diretto del Santo. Da allora il vento di tramontana che spira a metà febbraio, a Terni viene chiamato il “vento di San Valentino”. A buon intenditor…