Il Ttip non è così male. Ma potrebbe essere già morto
E' tanto e tale il clamore mediatico della protesta contro il Ttip, che è persino difficile comprendere di cosa si stia realmente parlando. Molte delle paure che suscita sono semplicemente infondate. Ma è probabile che sia destinato a non passare ugualmente: sia la Clinton che Trump sono contrari.
Esattamente come nel caso del fallito referendum “sulle trivelle”, è tanto e tale il clamore mediatico della protesta contro il Ttip, che è persino difficile comprendere di cosa si stia realmente parlando. Il Ttip, su cui una delegazione della Commissione Europea sta negoziando da due anni, non è ancora stato scritto. Sono note solo le sue linee guida. Si tratta di un trattato di libero scambio fra Unione Europea e Stati Uniti (che assieme producono il 45% del Pil mondiale) riguardante merci, servizi, investimenti e appalti pubblici, riduzione degli ostacoli legali non tariffari e armonizzazione delle regole sulle due sponde dell’Atlantico.
Le critiche più frequenti al Ttip riguardano: segretezza del negoziato, privatizzazione dei servizi pubblici, clausola Isds (che introduce un arbitrato fra Stato e aziende interessate), possibili ripercussioni sulla sicurezza sanitaria agroalimentare (inclusi Ogm, carne agli ormoni e controlli medico-sanitari più blandi). Gli aspetti critici del Trattato sono ancora tanti e non ci troviamo certamente di fronte alla panacea di tutti i mali, ma da quel che è stato finora pubblicato dall’Unione Europea, gran parte di queste critiche sono completamente infondate, altri rischi sono stati gonfiati per motivi politici e ideologici. In primo luogo, è abbastanza infondata, anche se si basa su un dato reale, la critica alla segretezza del Trattato. Se è vero che la negoziazione è riservata, la Commissione ha, appunto, pubblicato già numerosi documenti esplicativi e sulla clausola Isds ha anche condotto un sondaggio online a cui ha risposto circa 150mila cittadini europei. Sono pubbliche anche le stime europee sull’impatto che il Ttip avrebbe su vari aspetti importanti, quali la crescita complessiva del Pil, sui servizi pubblici, sui servizi finanziari, sui prodotti farmaceutici, chimici, tessili, cosmetici e sui veicoli a motore, sulle posizioni assunte dall’Ue riguardo la sicurezza agroalimentare. Sono pubbliche, inoltre, le informazioni sul mandato legale alla Commissione per il negoziato. Insomma, per chi volesse approfondire l’argomento, i documenti (a negoziato in corso) non mancano. Senza contare che la riservatezza, nel caso del Ttip, così come in quello di numerosi altri trattati commerciali precedenti, riguarda la sola fase negoziale. Il prodotto finale dovrà essere votato dal Parlamento Europeo per parte dell’Ue e dal Congresso degli Stati Uniti (sia il Senato che la Camera). Il Parlamento Europeo non potrà scavalcare le leggi nazionali, che hanno sempre la possibilità di trasformare il Trattato in legge o respingerlo. Dunque non c’è alcuna sostanziale riduzione o negazione del controllo democratico, nessun complotto segreto.
Quanto alla privatizzazione dei servizi pubblici, essa sarà sempre e solo decisa dai parlamenti e governi nazionali. Il Ttip, per quanto è finora noto, prevede semplicemente che, in caso di privatizzazione, nelle gare d’appalto le aziende Ue ed extra Ue (e solo quelle già autorizzate ad operare sul territorio nazionale) non subiscano un trattamento legislativo discriminatorio. Dunque non c’è alcun ente mondiale che imporrà la privatizzazione. Se un paese dovesse decidere di tenere tutto nelle mani del pubblico, a spese del contribuente, potrebbe continuare a farlo. Idem dicasi per la clausola Isds, che spesso e volentieri viene descritta come un privilegio delle multinazionali ai danni dei governi nazionali. Stupisce che faccia così scandalo, non solo perché è l’unica clausola che è stata scrutinata pubblicamente online, ma perché non è affatto una novità: è già stata applicata in almeno altri 1400 trattati commerciali stipulati da paesi dell’Ue. L’introduzione della clausola non garantisce alcun privilegio alle multinazionali, semplicemente dà all’investitore estero la possibilità di ricorrere a un arbitrato in una controversia con uno Stato in cui investe, solo nel caso questo Stato dovesse cambiare in modo sospetto le regole del gioco a gioco già iniziato. Se dunque un imprenditore, che già opera legalmente in un paese, vede che la legge cambia e percepisce un danno ai suoi interessi, nel caso in cui ritenga che sia una norma “ad personam” contro la sua azienda, può ricorrere a un arbitrato internazionale, invece che alla magistratura locale. Non per riportare la legge a come era prima, ovviamente (questo spetta solo ai parlamenti e ai governi), ma per ottenere un risarcimento per il mancato guadagno o per il danno subito. E’ una pratica già consolidata, appunto.
La grancassa mediatica, però, si concentra soprattutto sul settore della sicurezza agroalimentare. Ma anche qui, a ben vedere, è già noto che gli aspetti più temuti come Ogm, carne agli estrogeni, manzo agli ormoni e pollo alla clorina (sempre che siano aspetti oggettivamente temibili, soprattutto per quanto riguarda gli Ogm) sono già fuor di discussione. Sulle regole comuni della sicurezza alimentare, infatti, entrambe le parti devono essere concordi e l’Ue, anche su pressione di Italia, Francia e Spagna, ha posto paletti ben precisi. Dunque non saremo inondati di Ogm, purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista. Riguardo il principio generale sulla sicurezza sanitaria, sia per quanto riguarda i farmaci che gli alimenti, vige sempre il principio di precauzione, che entrambe le parti sono tenute a rispettare: non saranno commercializzati i prodotti di cui non sarà provata la sicurezza in tutte le giurisdizioni interessate.
Anche fugando queste paure, si può continuare a restare contrari al Ttip, per numerose ragioni e interessi. Le piccole e medie imprese temono la competizione delle multinazionali. Ma, a loro vantaggio, l’eliminazione delle barriere doganali permetterà loro di esportare i loro prodotti e servizi a costo zero, un lusso che per ora solo le multinazionali potevano permettersi (tramite delocalizzazioni). Anche l’agricoltura dei maggiori produttori europei teme una maggiore concorrenza americana, ma i consumatori non possono che essere più avvantaggiati dall’avere più scelta e più competizione fra i prezzi. E nessuno vieta che le aziende agricole francesi o italiane (paesi il cui cibo è già un mito) possano avere più successo negli Usa di quanto i prodotti americani lo possano avere in Europa. Le magistrature nazionali possono sentirsi umiliate e scavalcate dalla clausola Isds, ma non riescono a fare autocritica su quanti investitori stranieri hanno fatto fuggire, né sembra vedano il vantaggio di una legislazione più snella e di buon senso. Quanto alle gare d’appalto non discriminatorie, sicuramente daranno più filo da torcere alle aziende protette dal pubblico, che vedono erodere il loro informale diritto di prelazione e aumentare i concorrenti. Ma i cittadini ci perdono?
Infine, è anche forte la probabilità che si stia parlando su una cosa già passata e bocciata. In campagna elettorale, sia Hillary Clinton che Donald Trump hanno promesso di respingere il Ttip. E non è detto che nel Parlamento Europeo il consenso sia più ampio. Anzi. La paura della globalizzazione, in tempi di vacche magre, spinge politiche protezioniste. Il clamore anti-Ttip a cui assistiamo su media, social network e nelle piazze cittadine, non è che un riflesso di questa tendenza ideologica. Ma non è detto che il neo-protezionismo sia necessariamente un bene, né per gli europei, né per gli americani.