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SISMA IN CENTRO ITALIA

«Il terremoto ci interroga sulla verità dell'uomo»

Mentre l'Italia piange le centinaia di morti del terribile sisma di Amatrice, Accumoli e Arquata e continua a scavare nella speranza di trovare dei superstiti, c'è chi ha vissuto l'esperienza lancinante del terremoto sulla pelle e può usare parole di comprensione e di vicinanza: è il vescovo di Carpi Cavina che quattro anni fa si è trovato tutte le chiese della sua diocesi distrutte. E invita a riflettere: «Con il sisma emiliano la nostra gente ha ricercato le proprie radici e ha ridato spazio a quella dimensione trascendente che si domanda a Chi vogliamo affidare la consistenza della nostra vita». 

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Cronaca 25_08_2016
I soccorsi durante la notte

Negli occhi le immagini terribili che arrivano dal Centro Italia, nel cuore il dolore per le tante vittime di questo terremoto che ha raso al suolo i centri di Accumoli, Amatrice (Rieti) e di Pescara e Arquata del Tronto (Ascoli Piceno). Nella mente le tante domande che eventi come questo sollevano inevitabilmente.

Solo quattro anni fa abbiamo vissuto il terremoto dell'Emilia, in quella Bassa che sembrava impossibile potesse vivere episodi così devastanti. Per trovare una qualche risposta alle domande che sollevano questi terribili fatti, La Nuova BQ ha incontrato Mons. Francesco Cavina, vescovo di Carpi, che nel 2012 ha vissuto in prima persona il dramma del terremoto nella sua diocesi.

«Personalmente sono molto colpito - dice Cavina - da quanto è accaduto in Centro Italia. Mi sembra di rivivere l'esperienza che ho toccato con mano nel 2012. Questa mattina [ieri, NdA] ho subito inviato un messaggio ai miei confratelli vescovi che si trovano ad affrontare questo terribile momento».

Cosa gli ha scritto?

«Che sono consapevole di quanto stanno vivendo e della tragedia in atto. Per questo gli assicuro le mie preghiere e quelle dei miei fedeli. E metto loro a disposizione l'esperienza che, purtroppo, ho maturato sul campo. Un pensiero particolare quindi al vescovo di Rieti che, come accadde a me, è da poco insediato in diocesi, e poi a monsignor Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, cui mi lega una vecchia amicizia».

Eccellenza, questi fatti terribili mettono a dura prova la ragione. Tanti si chiedono: perché? Molti cercano risposte esclusivamente sul piano tecnico, risposte utili, forse, ma non sufficienti per dare un senso ad eventi che ci superano.

«Queste esperienze ci portano inevitabilmente a riconsiderare la verità sull'uomo e sul creato. Bastano pochi secondi in cui la terra trema e possiamo perdere tutto, persino la vita. Ci crediamo signori della nostra vita e del creato e, invece, bastano pochi attimi per sbriciolare tutte le nostre certezze umane. Eventi tragici come il terremoto mostrano, invece, che non siamo autosufficienti, ma siamo povere creature che, in definitiva, dipendono da un Altro».

In che senso?

«Nel senso che si aprono naturalmente spazi al trascendente. Per chi si trova a vivere una tragedia di questo tipo, e vuole trovare un senso a questa sofferenza, non basta la ricerca di cause tecniche, né l'idea di un destino cieco. Ci si accorge che arricchirsi, divertirsi, anche istruirsi o migliorare la sanità, o vivere più a lungo, non bastano perché una vita sia degna di essere vissuta. C'è bisogno di Altro, di più definitivo e totale. L'uomo si accorge che ha bisogno dell'infinito».

Rimane però la domanda di fronte a questo male che sembra assurdo...

«Umanamente è molto difficile, me ne rendo conto. Tuttavia è proprio qui che si innesta la proposta scandalosa di Dio che è Amore. Lui ha comunque un piano di amore che si sviluppa secondo linee che non sono le nostre e quindi anche nella tragedia c'è un senso. Non dobbiamo smettere mai di chiedere al Padre che ci aiuti a capire quel bene che c'è anche dentro a una tale tragedia».

Una prospettiva che richiede lo sguardo della fede?

«Richiede certamente una prospettiva soprannaturale e quindi aperta alla fede. D'altra parte la luce definitiva può venirci solo dall'esempio del Cristo che sulla croce chiede al Padre di essere liberato, ma si affida. E dall'affidamento sgorga la Risurrezione».

L'esperienza del terremoto dell'Emilia cosa può dire al Centro Italia?

«Dopo qualche anno posso testimoniare che quanto abbiamo vissuto mostra piano, piano, i suoi segni di fecondità e di bene. Sono segni visibili sopratutto con gli occhi della fede. Ad esempio la nostalgia che tanta gente ha mostrato per quei luoghi di culto che voleva vedere riaperti, ma anche un certo numero di vocazioni, specialmente di religiose, che sono nate in quelle circostanze. Mi è parso che la nostra gente abbia davvero ricercato le proprie radici, anche religiose e, soprattutto, abbia ridato spazio a quella dimensione trascendente che si domanda a Chi vogliamo affidare la consistenza della nostra vita».