Il "Super Tuesday" e il voto di certi cattolici
Le proporzioni tra i candidati Repubblicani restano uguali. Nello strategico Ohio, però, l'elettorato religioso lancia segnali particolari.
Il nodo del “Super Tuesday” non si è sciolto. La gara per la nomination presidenziale nel Partito Repubblicano conferma le posizioni dei candidati, ma soprattutto ne ribadisce forze e debolezze.
Il voto nelle primarie di martedì 6 marzo ha interessato - in modi diversi - 11 Stati dell’Unione e l’incognita maggiore è stata l’Ohio, lo Stato più “ballerino” di tutti, dove, alla vigilia, nessun candidato aveva la vittoria in tasca (come invece è accaduto altrove). Con i suoi 63 delegati da assegnare attraverso il voto popolare, l’Ohio avrebbe in alcun caso potuto fare da solo la differenza, ma porre una importante caparra sull’avvenire sì. Ebbene l’Ohio, proverbialmente uno "swing State" anche nelle elezioni generali (quest’anno quelle presidenziali), ha fatto registrare un indicativo testa a testa tra Romney e Santorum che si è protratto per diverse ore. I due candidati si sono cercati, inseguiti, superati più volte. Alla fine l’ha spuntata Romney, ma, ancora una volta - e questa volta forse una di troppo - di misura molto stretta. Se Santorum avesse vinto l’Ohio, l’immediato futuro delle primarie avrebbe anche potuto essere molto diverso. Avendo invece vinto Romney, lo scenario non si è modificato granché. L’ex governatore del Massachusetts resta infatti il candidato da battere in casa Repubblicana. Ma nessuno dei suoi sfidanti è in grado di farlo. E però nemmeno lui riesce a polverizzare gli avversari. Insomma, tutto è ancora da fare, se non persino da rifare. Perché se arrivasse in fondo alle primarie con le stesse proporzioni che vanta oggi sui rivali interni, Romney sarebbe un candidato presidenziale troppo debole.
Proprio l’Ohio ha però offerto uno spaccato importante.
Nella valanga di exit poll e di statistiche che, dopo il voto, ha investito gli schermi di Fox News ve n’è stato uno particolarmente indicativo. Essendo un canale televisivo apertamente schierato (il suo cuore è Repubblicano e le sue tribune sono tutte per i conservatori), è assai utile quando i suoi analisti sondano l’elettorato per comprenderne l’estrazione sociale, culturale e persino religiosa in relazione alla preferenze espresse per i vari candidati in lizza. Ne risultano infatti delle mappe politico-culturali indispensabili per apprezzare ragionatamente le qualità del voto.
Ora, uno dei sondaggi proposti da Fox News ha rivelato che in Ohio il cattolico e conservatore Santorum ha conquistato la grande maggioranza dell’elettorato che volentieri si definisce conservatore (ivi compresa una buona parte del movimento dei "Tea Party") così come la grande maggioranza dei votanti che si presentano evangelical o born-again, vale a dire i protestanti anti-liberal. Mentre il mormone e (più) moderato Romney ha conquistato la maggioranza del voto cattolico. Bene inteso, si tratta delle maggioranze conservatrici, protestanti o cattoliche dell’elettorato Repubblicano o, meglio, dell’elettorato Repubblicano che ha scelto di votare nelle primarie. Quindi di "maggioranze di minoranze", o comunque di ambienti "chiusi". Ma, nondimeno, il dato balza subito all’occhio.
In una stagione politico-culturale in cui i cattolici statunitensi si fanno sempre più importanti e talora decisivi, gli elettori cattolici Repubblicani che si sono impegnati nelle primarie in uno Stato avvezzo a sbalzi improvvisi di umori elettorali qual è l’Ohio - peraltro uno Stato che, fra tutti quelli del Midwest conservatore (assieme forse al Michigan), non si distingue come particolarmente "a destra" - non hanno scelto il candidato cattolico. Anzi, hanno lasciato che il candidato "più cattolico" di tutti quelli oggi in gara diventasse la bandiera dei "Tea Party", della base grassroots e delle constituency protestanti più irriducibili. E ciò pone senza dubbio degli interrogativi seri. Non tanto su Santorum, sui protestanti o su Romney, quanto su quella parte di mondo cattolico che oggi si riconosce nel Partito Repubblicano così seriamente da impegnarsi nel voto delle primarie; almeno su quella "parte nella parte" che vive - contribuendo quindi a dare il tono - in Stati eternamente pencolanti tra "destra" e "sinistra" quali l’Ohio.
Tenendo presente il durissimo scontro oggi in atto tra il mondo religioso statunitense e l’Amministrazione Obama - scontro che è indipendente ma non indifferente alla sfida presidenziale del 2012, e dentro il quale la Conferenza episcopale cattolica statunitense non è, tra i buoni, certo la forza (numericamente) egemone ma quella più visibile, combattiva e seguita sì -, qualche dubbio sulla fedeltà di una parte del mondo cattolico alle sue guide legittimamente sorge.
Certamente corre una differenza grande tra l’aderire al magistero dei vescovi in tema di libertà religiosa e il votare un determinato candidato politico. Ma dà da pensare che colui che, di principio e di fatto, è, oppure viene percepito, come il candidato alla nomination presidenziale anti-Obama più in linea - essendo cattolico, e cattolico di un certo tipo - con la Conferenza episcopale statunitense venga sostenuto da un mondo politico-religioso che cattolico non è ma che di fatto si schiera a fianco dei vescovi.
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