Il Sud Africa processa Israele per genocidio. Un lascito della guerra fredda
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Il Sud Africa accusa Israele di genocidio, per Gaza. Un'operazione politica le cui cause risalgono all'alleanza dell'African National Congress con l'Olp.
Israele è alla sbarra, accusato di genocidio per la guerra a Gaza, iniziata il 7 ottobre con l’attacco di Hamas. Ad accusare Israele è il governo del Sud Africa che il 29 dicembre ha presentato un’istanza alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Secondo l’accusa, la guerra a Gaza viola l’articolo 9 della Convenzione di Ginevra per la prevenzione del genocidio e lo Statuto di Roma del 1948 che definisce il reato genocidiario come «l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo identificato su base etnica, religiosa, razziale o nazionale». Secondo il Sud Africa l’intento dell’azione militare israeliana è quello di “distruggere i palestinesi di Gaza, in quanto parte del gruppo nazionale, razziale ed etnico più ampio dei palestinesi”.
Il Sud Africa è uscito appena 30 anni fa da un regime di apartheid che segregava la maggioranza nera della popolazione. Il giudice nominato da Pretoria è un veterano della lotta contro il razzismo, Dikgang Moseneke, 77 anni, compagno di prigione di Mandela ai tempi dell’apartheid. Israele è lo Stato ebraico formatosi a seguito dei pogrom europei (quasi tutti i primi coloni fuggivano dai massacri nella Russia zarista) nato nel 1948 dopo il genocidio degli ebrei in Europa e popolatosi ulteriormente da ebrei fuggiti da altri pogrom nei paesi arabi. Il giudice nominato da Israele incarna personalmente questa storia di persecuzione: Aharon Barak è figlio di immigrati lituani, da bambino è scampato ai rastrellamenti nazisti del ghetto di Kovno ed ha iniziato la sua carriera come assistente nel processo al criminale nazista Eichmann.
Per il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, il processo a Israele è «Un dovere morale, perché non possiamo assistere a un genocidio in atto». Ma la difesa israeliana non si è fatta attendere. Il 12 gennaio, il team della difesa ha ribaltato l’accusa: la guerra a Gaza è stata provocata dal pogrom di Hamas, dunque un atto di genocidio contro gli ebrei. Ed è una guerra non desiderata. Tutto da dimostrare, poi, che lo scopo finale dell’attuale offensiva israeliana sia quello di cacciare i palestinesi dalla Striscia di Gaza. Questo è ciò che dicono gli esponenti di estrema destra nel governo, che però non sono nella posizione di dettare le condizioni del dopoguerra. La linea prevalente nel governo, compresa la posizione del ministro della Difesa Yoav Gallant è quella di istituire una nuova autorità palestinese (che escluda Hamas) per la ricostruzione e il governo di Gaza.
Il processo si apre con dichiarazioni di principio, ma senza prove portate dall’accusa. Si tratta, quasi certamente, salvo svolte impreviste, di un’iniziativa solo politica del Sud Africa, volta a sollevare ancora una volta l’opinione pubblica contro Israele, in un momento di forte polarizzazione. Già prima della guerra, in marzo, il parlamento sudafricano aveva votato a maggioranza una mozione che chiedeva il declassamento delle relazioni diplomatiche con Israele, chiudendo l'ambasciata e lasciando solo un ufficio di rappresentanza. Nel 2012 il partito di maggioranza, l’African National Congress, erede di Mandela, aveva aderito alla campagna Bds dell’Autorità Palestinese: il boicottaggio, disinvestimento e la promozione di sanzioni contro le imprese che operano nei Territori.
La posizione dell’African National Congress è costante dalla fine degli anni Sessanta. All’epoca della nascita di Israele era infatti a favore dell’indipendenza dello Stato ebraico. Mentre Israele sosteneva, anche finanziariamente, i movimenti pan-africanisti, anche il grande partito nero sudafricano appoggiava la causa sionista. La svolta è avvenuta solo dopo la Guerra dei sei giorni nel 1967, quando cambiò la geografia politica. Israele entrò definitivamente nel blocco occidentale, i paesi arabi in quello orientale. L’Olp palestinese venne promosso, dall’Urss e poi dai “non allineati”, quale movimento di liberazione nazionale e l’alleanza fra Anc e Arafat risale ad allora.
Ma invece di estinguersi con la fine della contrapposizione fra Usa e Urss e con quella del regime di apartheid, si è consolidata. L’Anc ha sposato e tuttora sostiene la teoria dell’equivalenza fra Israele e il regime di apartheid. Non vedendo (o non volendo vedere) che nello Stato ebraico non c’è una discriminazione su base razziale, perché gli stessi arabi che hanno cittadinanza israeliana hanno pari diritti degli ebrei israeliani. C’è semmai una questione territoriale: quei palestinesi che vivono nei Territori e che potrebbero diventare cittadini di un altro Stato (una volta che l’Autorità Palestinese dovesse diventare indipendente) non hanno né gli stessi diritti né gli stessi doveri dei cittadini israeliani. Il muro e le altre restrizioni al movimento sono più recenti, sono stati istituiti nei primi anni 2000 per proteggere le città israeliane da continui attentati, durante la Seconda Intifada, ma non hanno nulla a che vedere con la politica di segregazione razziale del Sud Africa. Tuttavia, una “narrazione” è dura a morire. E gli eredi di Mandela preferiscono identificarsi, ancora oggi, con la causa palestinese, assorbendone anche tutta la retorica, senza eccezioni. Anche se oggi quella causa è sostenuta da Hamas, a Gaza, non più dal vecchio Olp.