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DEBITO PUBBLICO

Il signoraggio e le banche centrali, miti e realtà

Il compito delle banche centrali
è difendere ricchezza, produzione, lavoro. Impossibile quando si dipende dalle demagogie della politica.

Attualità 04_10_2011
Banca d'Italia
Dopo l'editoriale dedicato alla Banca d'Italia pubblicato da Gianfranco Fabi su La Bussola Quotidiana diversi lettori ci hanno scritto ponendo l'accento sulla questione del signoraggio bancario, che porrebbe le Banche centrali all'origine del debito pubblico degli Stati. Gianfranco Fabi fornisce qui una dettagliata analisi della questione.


«Le banche centrali sono all'origine del debito pubblico. Esse fanno da tipografia ma incamerano il signoraggio come se il denaro che stampano fosse il loro anziché del popolo. Il valore alla moneta la dà il sistema paese, non i banchieri». Così scrive un lettore a La Bussola Quotidiana interpretando sicuramente il pensiero di molti altri che vedono nelle Banche centrali i capisaldi dell’attuale sistema capitalistico, i santuari dove si adora la moneta, i centri nevralgici di quella tecnocrazia liberista che sarebbe all’origine della più grave recessione del dopoguerra.

Al di là delle considerazioni politiche o ideologiche guarderei al problema da un profilo attuale e concreto. Nei Paesi occidentali, pur con diverse formule, le Banche centrali sono delle realtà sicuramente ibride: sono in gran parte di proprietà nominalmente privata (in Italia il loro capitale fa capo alle banche), ma le nomine dei vertici sono di responsabilità politica e fanno direttamente capo ai Governi. Peraltro gli azionisti della Banca (che vengono elegantemente chiamati i partecipanti al capitale) non ricevono per Statuto che in piccola parte gli utili che derivano dall’attività dell’istituto. Nel 2010 per esempio gli utili della Banca d’Italia sono stati pari a 852 milioni di euro, di questi solo 61 milioni sono stati versati ai "partecipanti", cioè ai soci, mentre 340 milioni sono stati destinati alle riserve e 511 milioni sono stati versati direttamente allo Stato.
Oltre a questi la Banca d’Italia ha pagato allo Stato 925 milioni di imposte. Quindi lo Stato ha ricavato lo scorso anno oltre 1 miliardo e 400 milioni di euro dall’attività dell’Istituto di emissione (si chiama ancora così anche se la competenza dell’emissione delle banconote in euro è ormai tutta della Banche centrale europea).

Ma veniamo al cuore del problema: il signoraggio. Nel Medioevo, quando non c’erano le banche centrali, la moneta veniva "battuta" dai signori che comandavano i vari ducati o principati. Le monete erano d’oro o d’argento ed avevano quindi anche un valore intrinseco e non solo facciale: ma i signori iniziarono ben presto a lucrare sulla loro attività facendo pagare un aggio, un sovrapprezzo, rispetto al valore reale delle monete e imponendo quest’aggio ai propri sudditi.
Rispetto al Medioevo molte cose sono cambiate. Le esigenze di crescita dell’economia e quindi degli scambi hanno fatto in breve tempo sparire le monete in metalli nobili e alle fine del 1600 hanno fatto la loro comparsa le banconote dapprima in Svezia e poi in tutta Europa.
Ora è chiaro che il valore intrinseco di una banconota è pressoché uguale a zero e quindi, come sanno bene i falsari, in teoria il potere di stampare banconote potrebbe equivalere al poter accumulare a poco prezzo ingentissime ricchezze. E così sarebbe se, tornando all’oggi, la Banca centrale vendesse al valore nominale le banconote che essa stessa stampa. Ma è così solo per una piccola parte cioè per la vendita di banconote in cambio di valuta estera, mentre la maggior parte dei soldi stampati vengono ceduti alle banche ordinarie in base alle esigenze del mercato e dietro il pagamento di un tasso di interesse che veniva chiamato "tasso di sconto" e che ora, con l’euro, è definito "tasso ufficiale di riferimento" e che attualmente è fissato all’1%.

Compito della Banca centrale quindi è quello di mantenere una sufficiente liquidità al sistema dei pagamenti adeguando la quantità di moneta alla ricchezza prodotta ed evitando che un eccesso di moneta crei le premesse per una perdita di valore e quindi contrastando quanto più possibile l’inflazione. (Questo non vuol dire che le banche centrali attuino una politica inappuntabile: di errori ne hanno commessi e molti) 
Quindi sfatiamo la prima leggenda metropolitana: la Banca centrale non vende a cento quello che a lei costa pochi centesimi (cioè la carta e la stampa delle banconote). Il signoraggio esiste, ma in misura limitatissima e non per procurare guadagni, ma in funzione di politica monetaria, cioè per tenere sotto controllo l’inflazione. E, come abbiamo visto, i guadagni che l’istituto di emissione riesce a fare vengono comunque riversati in gran parte allo Stato.

Seconda leggenda metropolitana. Le banche centrali sarebbero all’origine del debito pubblico, cioè le prime responsabili dell’attuale profonda crisi finanziaria.
Il debito pubblico nasce dall’accumularsi nel corso degli anni dei deficit di bilancio degli Stati. In Italia il debito pubblico ha superato a giugno i 1900 miliardi di euro (pari al 120% del Pil), 400 miliardi in più rispetto a cinque anni prima. Questo vuol dire che lo Stato italiano ha speso ogni anno quasi 80 miliardi in più di quanto ha incassato e questi 80 miliardi ogni anno li ha ottenuti emettendo titoli e aumentano così il proprio debito. Lo Stato spende per il proprio personale, per la sanità, le pensioni, l’istruzione e mille altre cose; e spende anche per pagare gli interessi sui debiti che si sono accumulati negli anni. In questo giro di denaro la Banca centrale c’entra poco o nulla. Lo Stato infatti, non solo quello italiano, copre la differenza tra quanto spende e quanto incassa attraverso l’emissione di titoli che vengono offerti sul mercato e vengono acquistati dai propri cittadini o da chi vuole in tutto il mondo. La Banca centrale europea, così come la Banca d’Italia dal 1981, non può acquistare per statuto titoli dei Governi al momento della loro emissione: in pratica la Bce non può finanziare i Governi stampando banconote. La Bce, come ha fatto nelle scorse settimane, può invece intervenire acquistando titoli già in circolazione per cercare di evitare temporanee crisi di mercato.

E qui veniamo al punto centrale. Perché un compito così importante, come la stampa delle banconote, non viene lasciato ai governi, espressione della sovranità popolare? Perché le banche centrali è bene siano autonome dal sistema politico?
Molto semplicemente perché il denaro è uno strumento che deve difendere la ricchezza, la produzione, il lavoro. In una democrazia i governi hanno il dovere di cercare il consenso attraverso la buona politica: sarebbe una tentazione troppo forte quella di distribuire una ricchezza che non c’è e questo avverrebbe se i governi avessero la responsabilità diretta della produzione di banconote. E ci sarà una ragione perché in tutti, sottolineo tutti, i paesi ad economia di mercato le banche centrali hanno tutte un livello più o meno ampio di autonomia. L’inflazione è la peggiore delle tasse perché colpisce i redditi da lavoro e da pensione.

Per questo una banca centrale autonoma non è una rinuncia alla sovranità popolare, ma una forma che pone al riparo la stessa democrazia dai facili populismi. La ricchezza e il benessere, così come l’equità e la solidarietà, non si creano per legge o per decisione del sovrano, ma con il lavoro, la capacità creativa, i valori umani capaci di servirsi in maniera intelligente di quelli che sono semplici strumenti: e l’economia di mercato e le banconote non sono valori, ma semplici strumenti operativi. Come dice la dottrina sociale della Chiesa.

PS Il gentile lettore di cui sopra accenna nel suo intervento ai pochi casi in cui le banche centrali sarebbero di proprietà dello Stato e parla del North Dakota e dell’isola di Guernsey. Ebbene il primo è uno Stato degli Usa che possiede una banca, la Bank of North Dakota, che tuttavia non emette moneta (prerogativa della Federal reserve), ma opera come una qualunque altra banca privata pur con una visione aperta ai temi sociali per esempio con i prestiti agli studenti. Nulla a che vedere quindi con stampa di banconote o signoraggi. L’isola di Guernsey è un’isola della Manica dove nel 1822, finite le guerre napoleoniche il governatore decise di finanziare la spesa pubblica emettendo direttamente moneta in modo da facilitare la crescita e la ricostruzione, ma con precisi limiti e rigorose procedure. L’esperimento tuttavia è terminato nel 1836. Ora l’isola, la cui moneta è la sterlina, è un piccolo paradiso fiscale dove ricchi senza scrupoli vanno a far immatricolare i loro yacht. Non mi sembra un bell’esempio.

Inoltre andrebbe affrontato - a parte - anche il tema dell’usura e dei tassi di interesse, temi che hanno animato per secoli dispute teologiche basate soprattutto sul versetto del Levitico «Non darai il tuo denaro ad usura al tuo fratello, e non esigerai un sovrappiù di frutti» (25, 37), su di un versetto del Vangelo di Luca (6,35) «Concedete prestiti senza sperare nulla» e su di un testo attribuito a Crisostomo secondo cui: «L’usuraio realizza un profitto ingiusto vendendo una cosa che non gli appartiene, cioè il tempo, che appartiene a Dio solo». Ebbene alla fine del Duecento il grande teologo francescano Pietro di Giovanni Olivi ha spiegato  che quest’ultima affermazione è basata su una contraddizione tra due concetti diversi. Il tempo universale, comune a tutte le cose, è una condizione della loro esistenza. Non lo si deve confondere con la durata propria di ogni cosa creata, esistente nel tempo. Ora, il diritto di proprietà su qualsiasi bene include un diritto sulla durata del bene. Il prezzo che si paga per la locazione di un bene non è altro che il prezzo della durata nella quale è concesso l’uso del bene, e quindi anche del denaro. Quindi i tassi di interesse non sono un “furto del tempo”. E la dottrina della Chiesa ha sempre condannato l’usura, cosa del tutto diversa dal giusto pagamento di un corretto tasso di interesse.
E così la frase del Vangelo è un potente richiamo alla fraternità e all’aiuto reciproco: non certo un capitolo di un trattato di politica monetaria. Un esempio in fondo di come l’umanità deve mettere l’economia al proprio servizio e non essere schiava del denaro.