Il Santo Graal: non reliquia, ma calice in cui avviene la transustanziazione
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Inutile sguinzagliare archeologi a cercare la coppa in cui bevve Gesù. Il vero Santo Graal si trova in tutte le nostre chiese quando il sacerdote dice “Fate questo in memoria di me”.
Si dice che il Santo Graal sia la coppa da cui Cristo abbia bevuto durante l’ultima cena e che sia stata anche usata per raccogliere il suo sangue durante la crocifissione. E, per poter beneficiare del suo potere in grado di riempire il cuore d’amore, bisogna avere la grazia della fede che consente di vivere il senso profondo del miracolo della Transustanziazione.
Del fatto che il Signore abbia davvero usato un calice durante l’ultima cena ve ne è menzione nel Nuovo Testamento: San Paolo, già nel 53 d.C., ha scritto «Allo stesso modo, dopo aver cenato [Gesù], prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1 Corinzi 11:25) e anche i Vangeli di Marco, Matteo e Luca descrivono come Cristo abbia invitato i suoi discepoli a bere vino da un calice come rituale comunitario.
In ambito esoterico esistono però curiose teorie, come ad esempio il fatto che la coppa dell’ultima cena sia stata forgiata a partire da una pietra ricavata dall’occhio di Lucifero o altre stravaganze, ma di queste cose nelle Sacre Scritture non vi è traccia. Molte fantasiose teorie sul Graal sono frutto della fantasia di artisti e poeti che, in modo creativo, hanno voluto spiegare la potenza e la grandezza del calice in cui durante la Santa Messa il vino si muta in sangue. Il Santo Graal, o Sang Réal, è stato legato al mondo cavalleresco bretone, ed in particolare al famoso ciclo dei Cavalieri della Tavola Rotonda, dal poeta normanno Robert Wace (Jersey, 1115 circa – Bayeux, 1183) che per primo ha spiegato come questa coppa contente l’Amore di Cristo fosse in grado di nobilitare l’animo di coloro che ne avessero bevuto.
Questo tema ha raggiunto la sua apoteosi letteraria con Wolfram von Eschenbach (1170 – 1220) il quale fu, oltre che poeta, anche cavaliere. Nel suo Bildungsroman (Romanzo di Formazione) si parla di come il giovane Parzival, grazie all’amore casto della sua bella Kondwiramour, abbia potuto imparare la Carità ed interessarsi alle sofferenze del Re Pescatore, riuscendo così a meritare il Santo Graal.
Attorno alla coppa da cui bevve Cristo artisti, poeti, santi e pittori hanno fatto fiorire una moltitudine sterminata di capolavori, ma tra le più note riluce per la sua bellezza l’opera musicale Il Parzival di Richard Wagner, che lo condusse alla conversione al cattolicesimo portandolo ad avere screzi filosofici col suo amico Friedrich Nietzsche. Accanto alle belle storie di uomini come Carl Gustav Jung che scrisse un bellissimo saggio sul simbolismo della Santa Messa troviamo però anche le perverse degenerazioni sataniste come quell’Otto Rahn che, a capo di un gruppo di Waffen SS, andò sui Pirenei tra i castelli dei catari a cercare la sacra reliquia. Alcuni nazional-socialisti, come Miguel Serrano, arrivarono addirittura a formulare l’ipotesi secondo cui il Sangue Reale fosse il DNA ariano. E, di fronte a queste teorie frutto di uno scellerato materialismo biologista, non resta che pregare affinchè nessuno ricaschi in questa fallacia spirituale.
Intanto, nei secoli dei secoli, il Santo Graal, tra simbolismo e reliquie, tra metafore e reali coppe di vino transustanziato tra le mani del sacerdote, ha dato vita alle più innumerevoli leggende e, curiosamente, ad una moltitudine di Sacri Calici.
La coppa più famosa e che, grazie alle sue particolari e intricate iscrizioni, si ritiene essere il Santo Graal è il cosiddetto Calice di Valencia. Questa bellissima coppa fu trasferita alla Cattedrale di Valencia da Alfonso V (il Magnanimo), re d'Aragona, che lo trovò in un monastero spagnolo nel 1399. Il calice è composto di tre parti, e la più antica, in agata lucida risale al periodo compreso tra il IV secolo a.C. e il I secolo d.C., ed è stata scolpita in una bottega orientale in Egitto, Siria o nella stessa Palestina. Le ricerche dimostrano che il piede è un vaso egizio o califfale del X o XI secolo, aggiunto alla coppa intorno al XII secolo, come stima della sua eccezionale importanza.
Un'altra possibile reliquia del Santo Graal potrebbe essere conservata nel museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo di Genova: qui vi è un’elegante ciotola in vetro verde esagonale che, secondo Jacopo da Varagine, fu proprio la coppa usata da Cristo durante l’ultima cena. Di presunti Santi Graal, in realtà, ne è pieno il mondo, e anche la Basilica di San Isidoro, a Leon in Spagna, ha da poco rivendicato di possedere l’unico e vero calice dell’ultima cena che è una bellissima coppa in pietra lucida su un sostegno d’oro finemente lavorato.
Probabilmente l’amore per la ricchezza e le cose di questo mondo ci spingono a cercare il Santo Graal in un oggetto prezioso mentre in realtà è proprio quel calice che, durante la Santa Messa - grazie al prete che agisce in qualità di Alter Christus e compie il miracolo della transustanziazione - diviene contenitore del Sangue di Dio. Quindi il Santo Graal è la coppa che contiene sia il vino dell’ultima cena che il Sangue dell’Agnello sacrificato e ciò non si trova né nei sotterranei di misteriosi castelli né in segreti forzieri nel fondo delle roccaforti catare, bensì nelle nostre chiese quando il sacerdote dice “Fate questo in memoria di me”.