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Il Santissimo Nome di Gesù - Il testo del video

Il nome di Gesù è collegato a una sorta di onnipotenza nella preghiera. Lo vediamo negli Atti degli Apostoli (i miracoli compiuti in nome di Gesù), nella tradizione monastica (la preghiera monologistos) e nel fenomeno dei Nomina Sacra.

Catechismo 30_10_2022

Come accennato domenica scorsa, oggi facciamo un po’ una pausa, non per perder tempo, ma per cercare di capire uno dei risvolti che ha avuto nella vita della Chiesa, in particolare nella pietà popolare e nella liturgia, il secondo comandamento. Il riferimento specifico è al Santissimo Nome di Gesù. Andiamo a vedere questo “travaso” tra il rispetto del nome di Dio, in generale, e il modo in cui questo viene visto e vissuto rispetto al nome di Dio incarnato: il nome di Gesù.

Se voi prendete il Nuovo Testamento, troverete tantissimi testi che fanno capire l’importanza di questo nome, la devozione con cui deve essere pronunciato – e non solo pronunciato – ma anche la fiducia, il rispetto, l’amore con i quali appunto questo nome deve essere rievocato e a questo nome si deve ricorrere. Per esempio, nel Vangelo di Giovanni (14,13-14) troviamo scritto: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome», dice Gesù, «la farò». E poi ribadisce: «Se chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò».

Questo nome è collegato a una sorta di onnipotenza nella preghiera. Tante volte, commentando questo brano, si è insistito sul fatto che non si tratta solo di adoperare il nome di Gesù. Invece, soprattutto nel mondo del monachesimo, ma non solo, c’è un’applicazione che potremmo definire letterale (ma lo vedremo tra poco).

Tant’è vero che negli Atti degli apostoli, il primo grande miracolo fatto da San Pietro, la guarigione dello storpio, viene compiuto esplicitamente con la formula «nel nome di Gesù». Ancora, negli Atti (4, 12), sempre legato a questo evento, è scritto: «Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Dunque, c’è una relazione stretta tra il nome di Gesù e la possibilità di essere salvati, che è una esplicitazione del significato del nome stesso di Gesù: Yeoshua, cioè «Dio (Yahvè) salva». Non c’è solo l’azione di Dio che salva, ma il fatto che questa azione si incarna in una persona. La salvezza di Dio si incarna nella persona di Gesù e si “condensa” nel suo nome. Abbiamo due movimenti di concentrazione: da Dio alla persona di Gesù nella sua natura umana e chiaramente divina, e dalla persona di Gesù al nome di Gesù.

Ancora, nella Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,9-10) è scritto: «Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome». Quindi è un nome d’uomo, ma di una persona divina. Questo nome appartiene in qualche modo a Dio e, con l’ascensione di Gesù, siede alla destra del Padre anche nella natura umana del Signore. E prosegue al versetto 10: «Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra».

Vedete come questi brevi accenni dei testi neotestamentari ci dicono che, legato al nome di Gesù, non c’è soltanto l’identificazione con una persona storica, non c’è solo un rispetto dovuto a una persona, ma in questo nome è condensata una potenza divina: è un nome che salva, che caccia i demoni; i demoni vengono cacciati non nel nome di Yahvè, ma nel nome di Gesù, senza contrapposizione chiaramente, ma per capire che nel nome di Gesù c’è Dio, la presenza di Dio, la seconda persona della Santissima Trinità.

Ancora, questo è un nome che è esaltato sopra gli altri nomi e richiede come gesto corrispettivo, corrispondente alla sua dignità, che ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra. Non possiamo pensare che fin dagli inizi i cristiani siano passati con superficialità su questi testi, come se fossero semplicemente persone che volevano bene a Gesù e quindi usavano questi termini per eccesso di affetto senza che corrispondessero alla realtà. Non è così. Tant’è vero che guardando alle prime testimonianze che riusciamo a recuperare dal punto di vista storico, abbiamo quella del nome di Gesù utilizzato soprattutto in ambito monastico, in particolare all’inizio nel monachesimo egiziano.

Già nel IV secolo sappiamo dell’uso della cosiddetta preghiera monologistos, cioè una frase ripetuta; ma è nel VI secolo che troviamo le prime attestazioni scritte che l’elemento essenziale di questa preghiera ripetuta, continua, era proprio il nome di Gesù. Se noi, per esempio, andiamo a vedere le lettere di San Barsanufio e di San Giovanni di Gaza, questi due grandi monaci, troviamo diverse formule, non una formula unica, sempre però composte da una invocazione del nome di Gesù - la sola parola «Gesù», o «Signore Gesù», o «Signore Gesù Cristo» – e una supplica: aiutami, salvami, purificami, eccetera.

Un altro monaco, San Doroteo, utilizzava due formule che ricorrono: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me»; e: «Figlio di Dio, aiutami». Sarà Abba Filemone, di cui non abbiamo tantissime notizie, a condensare queste due espressioni che troviamo in Doroteo e a creare, per così dire, quella che è la formula fondamentale – al di là di qualche variazione – della cosiddetta Preghiera di Gesù, la preghiera monologistos per eccellenza, per intenderci quella del Pellegrino Russo: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me» (qualcuno aggiunge: «peccatore»); oppure nella sua formula più breve: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me».

È importante quindi capire il contesto: questi monaci non usano questa formula (o le sue varianti) come una sorta di mantra, come tecnica di rilassamento. Il nome di Gesù viene ripetuto incessantemente nella preghiera, in questo tipo di preghiera, perché si ritiene che abbia una forza, un valore quasi sacramentale. Ci sono tantissimi testi sulla preghiera di Gesù, antichi o più recenti, anche molto belli e molto validi, e gran parte di essi insiste giustamente sul fatto che non è una preghiera di concentrazione o di rilassamento, ma si basa, confida fortemente sull’utilizzo del nome di Gesù, perché questo nome, ripetuto il più possibile con attenzione, con supplica, con affetto, è capace di sanare le ferite più profonde dell’anima umana.

La preghiera di Gesù ha una valenza medicinale, quasi sacramentale, fortissima; per questo è una pratica che si è diffusa tantissimo e addirittura per i monaci esicasti è proprio un obbligo dedicarsi per svariate ore al giorno a questa preghiera. Quello che interessa capire a noi è che alla pronuncia del nome di Gesù è legata tutta la forza della natura umana e divina, unite in un’unica persona, il Figlio di Dio, Gesù Cristo. Tutta la forza è trasferita in questo nome: qui c’è già un tema importantissimo che ci impedisce di pensare che il nome di Gesù possa essere pronunciato in un contesto di leggerezza, per non parlare di un contesto di totale irriverenza o blasfemia.

Sempre in ambito monastico, ma questa volta diversi secoli dopo, in Occidente, è un altro grande dottore della Chiesa a promuovere in qualche modo la devozione al nome di Gesù – non tanto come devozione, ma come approfondimento teologico-spirituale. Mi riferisco a San Bernardo di Chiaravalle. In un famosissimo sermone, il XV Super Cantica (il quindicesimo della serie di sermoni di commento al Cantico dei Cantici), San Bernardo si concentra sul nome di Gesù commentando un testo, appunto, del Cantico dei Cantici, che dice: «olio sparso è il tuo nome» (Ct 1, 2). Ora, San Bernardo si focalizza su questo: cosa vuol dire «olio sparso è il tuo nome»? E dice: «il nome di Gesù è come l’olio», ciò che fa da combustibile, quindi dà luce e calore; ma l’olio è anche qualcosa che nutre, dunque il nome di Gesù è anche cibo. Ma anche lenisce le ferite, quindi è medicina. Vedete che, in un altro contesto, quello di un commento a un testo sacro per i monaci (poi diffuso in tutto il mondo, soprattutto occidentale) ritorna questa idea: il nome di Gesù non è un semplice nome, ma un nome capace di dare luce (quindi scaccia le tenebre), un nome capace di nutrire (quindi dà forza, vigore, scaccia la debolezza, la fiacchezza) ed è un nome che è medicina (quindi è capace di guarire le ferite più profonde dell’anima, ma anche del corpo, come testimonia il primo grande miracolo di San Pietro apostolo, cui avevo accennato all’inizio).

Oltre a questo filone monastico, troviamo segni di riverenza verso il nome di Gesù, ma non solo, nel fenomeno dei cosiddetti Nomina Sacra. Cosa sono i Nomina Sacra? Sono quelle abbreviazioni dei nomi sacri, che troviamo nei manoscritti, soprattutto del Nuovo Testamento, ma anche sulle icone. Si prendono normalmente la prima e l’ultima lettera, legate da una linea superiore che indica appunto l’abbreviazione. Ora, queste abbreviazioni non vengono utilizzate solo per scopo di brevità del testo o della scrittura, ma anche e soprattutto per rispetto e devozione verso il nome, richiamando un po’ – per averne un’idea – il tetragramma sacro del nome di Yahvè, per gli ebrei (non esattamente allo stesso modo, ma c’era un’idea simile).

Abbiamo quindi questi nomina sacra che ricorrono molto spesso, specialmente questi quattro:

– l’abbreviazione del nome di Dio, Theos; quindi in greco trovate la theta, una O con una stanghetta in mezzo: Θ, e il sigma lunato che ha sostanzialmente la forma di una C;

– l’abbreviazione di Kyrios; quindi la K e sempre il sigma lunato;

– l’abbreviazione di Iesous, che ha lo iota iniziale e il sigma lunato;

– poi Christos, con il chi (a forma di X) e il sigma lunato.

Spesso trovate questi Nomina Sacra anche sulla destra e la sinistra del volto di Gesù nelle icone. 
Anche questi, ripeto, erano segni importanti della riverenza e del rispetto verso il nome di Dio, ma in particolare verso il nome di Gesù (Gesù, Gesù Cristo, Signore, eccetera), da cui si svilupperanno anche altri Nomina Sacra.

San Bernardino da Siena inventa qualcosa sulla linea di questi Nomina Sacra, cioè il cosiddetto trigramma (IHS), che prende le prime tre lettere del nome di Gesù in greco, scambiando la eta con un acca (graficamente uguali). Queste tre lettere diventano anche l’acronimo di Iesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli Uomini, o anche secondo altri, di In Hoc Signo, il famoso motto costantiniano, durante la battaglia di Ponte Milvio di cui si tramanda la visione del noto segno, il “chi-ro” (XP) ed una voce che assicurava: “In questo segno, vincerai".

San Bernardino inventò dunque questo trigramma, contornandolo con 12 raggi a ciascuno dei quali corrisponde un’invocazione al nome di Gesù, alla sua potenza, richiamando così la tradizione della preghiera di Gesù di origine monastica e il sermone di San Bernardo.
San Bernardino lo fece incidere su delle tavolette con le quali, al termine delle sue prediche, benediva le persone e le offriva loro perché le baciassero con riverenza, devozione e fede. Sono tutte forme con cui si concretizza e si espande la devozione al nome di Gesù.
Il trigramma venne approvato da un pontefice, papa Martino V, che fece aggiungere una piccola croce sull’asta orizzontale dell’H. Come sappiamo, è il segno che fu poi adottato dalla Compagnia di Gesù e attraverso le missioni dei gesuiti e dei francescani arriverà in tutto il mondo. 

Ora vediamo, per concludere, il passaggio al culto liturgico del SS. Nome di Gesù, perché finora lo abbiamo visto nella preghiera, che è la vita dell’anima, nel monachesimo, nella predicazione, e poi nella devozione popolare, tramite San Bernardino. Vediamo adesso quando entra ufficialmente nel culto liturgico della Chiesa.

Probabilmente la prima composizione liturgica è di un altro francescano, un altro Bernardino. Si tratta di Bernardino de’ Bustis, vissuto tra il 1450 e il 1513/1515, che compose tra le altre cose un Ufficio e una Messa Gloriosi Nomini Iesu, cioè «del glorioso nome di Gesù». Uno scritto che venne approvato da papa Sisto IV, sebbene all’epoca non fu concesso per l’uso liturgico; per questo dobbiamo attendere Clemente VII, che nel 1530 lo autorizzò per l’ordine francescano, da cui poi passerà agli altri ordini (agostiniani, mercedari, trinitari) e ad alcune diocesi, la prima delle quali fu quella di Siena, che aveva reso famoso San Bernardino, e poi Firenze, e nel 1721 – dopo questo “rodaggio” ad uso locale o degli ordini – la festa del Santissimo Nome di Gesù venne estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII.

All’epoca, la festa liturgica venne collocata nella seconda domenica di gennaio. Papa San Pio X la spostò nella domenica tra il 2 e il 5 gennaio. Purtroppo, venne soppressa con la riforma del calendario liturgico dopo il Concilio Vaticano II, ma fu ripristinata da Giovanni Paolo II il 3 gennaio come memoria facoltativa. Tutto l’ufficio e la Messa sono dedicati al nome di Gesù chiudendo così il cerchio da quelle origini più “umili”; umili quanto forse a ufficialità, ma non certamente quanto al senso e alla forza di questo nome.

Nella Chiesa cattolica non c’è stata solamente la proibizione di nominare invano, in un contesto blasfemo o irriverente, il nome di Gesù, in quanto nome della seconda Persona della Santissima Trinità fattasi carne; ma c’è anche l’aspetto fortemente positivo di offrire al popolo cristiano, alla Chiesa intera, la forza di questo nome attraverso non solo una riflessione astratta sui testi del Nuovo Testamento, ma mediante la consapevolezza concreta e i risultati pratici che la devozione, la ripetizione di questo nome (nella Preghiera di Gesù), la sua diffusione (attraverso il trigramma e il cristogramma) hanno di fatto portato enormi frutti di guarigione soprattutto dalle nostre passioni malate e dal peccato. È il nome dato agli uomini perché abbiano salvezza. 

È chiaro che il nome è la Persona; e in questo senso vediamo come la tradizione della Chiesa abbia sviluppato nella sua devozione, nella pietà popolare, nella preghiera monastica, nella predicazione, nel culto, la sottolineatura della forza, della potenza, della vis guaritrice di questo nome, che ancora oggi deve essere pronunciato (e riverito) contro gli assalti del maligno, del peccato, del mondo. Oggi come ieri questo nome non ha perso la sua forza, ma è capace di cacciare i demoni, di cacciare i cattivi pensieri, di cacciare le insidie, le tentazioni; è capace di guarire, di nutrire, di dare luce, come diceva San Bernardo nel suo bellissimo sermone Super Cantica.

È importante conoscere anche questi dati della tradizione cristiana, ma soprattutto per far capire i risvolti vitali: c’è una proibizione nel II comandamento, che è come dire il termine più basso, oltre il quale non si può andare, perché si perde la vita dell’anima; dunque c’è una proibizione assoluta di pronunciare il nome di Gesù, il nome di Dio, della Santissima Vergine, bestemmiandoli, commettendo il peccato di blasfemia, il falso giuramento; ma c’è anche tutto un orientamento in positivo, perché questo nome, rivelato agli uomini come il nome della salvezza di Dio, nella persona di Gesù Cristo, sia sempre più conosciuto, rispettato e amato e vi si ricorra con sempre più fiducia per tutte le necessità che noi uomini abbiamo in questa valle di lacrime, nella nostra condizione di grande fragilità, ancora di più nel nostro tempo.