Il Sacro Cuore di Gesù, raccontato da don Elia Bellebono
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Un umile calzolaio della provincia di Bergamo che diventa sacerdote a 65 anni. E dalla cui vicenda nasce il santuario di Urbino dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Sarebbe stato il Signore stesso a richiederglielo, insieme a un quadro che oggi si trova all’interno dello stesso santuario.
3 settembre 2021, un sole caldo illumina l’immensa facciata del Santuario del Sacro Cuore di Gesù in località Ca’ Staccolo, a Urbino. All’ingresso, una preghiera, a lettere cubitali, accoglie ogni fedele: «Cuore di Gesù tu sai, Cuore di Gesù tu puoi, Cuore di Gesù tu vedi, Cuore di Gesù provvedi, Cuore di Gesù concedi, Cuore di Gesù crediamo al tuo amore per noi, Cuore di Gesù pensaci tu». La preghiera era stata scritta da don Elia Bellebono, definito da tutti “l’apostolo del Sacro Cuore”. Ed è proprio dalla storia di quest’uomo che è iniziato il cammino della costruzione del santuario di Urbino: dai suoi dialoghi-incontri con Gesù è cominciato tutto.
Non ancora sacerdote, nell’ottobre 1969, Bellebono soggiornava a Urbino, dopo un viaggio ad Assisi: «Dopo aver ascoltato la Santa Messa e fatta la Comunione, sono andato nella Cappella dove è esposto il Santissimo Sacramento. Durante la visita mi apparve Gesù», così scrive Bellebono. Il racconto - custodito nelle pagine della sua autobiografia (vedi Don Elia Bellebono, apostolo di Gesù. Mimep-Docete, a cura di U. Callegaro, 2019) - continua affermando che è Gesù stesso ad avergli rivolto queste parole: «Desidero che tu faccia costruire un santuario da dedicare al mio Cuore Sacratissimo. Farai dipingere un quadro come tu mi vedi, che abbia a regnare nel centro del Santuario stesso e lì farò piovere tante grazie».
A questa prima visita, ne seguirà un’altra, quella del 7 gennaio 1973, a Villadossola, in Piemonte: «Farai dipingere un quadro del Sacro Cuore, come tu mi vedi, tu darai tutte le indicazioni. Finché ci sarai lo puoi tenere tu, ma è destinato ad essere portato ad Urbino perché là io voglio un Santuario-Parrocchia destinato al mio Amore; sarà la sede del mio Amore e della mia Misericordia e farò piovere tante grazie». Dopo queste parole, Gesù scomparve dalla vista di Elia. Il quadro verrà dipinto poi da un giovane studente dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, Adel El Masry.
Oggi, quel piccolo quadro è nel santuario: rappresenta Gesù su una nube, ricolmo di luce, con il Sacro Cuore che sparge gocce di sangue. È questa l’immagine ricorrente nei suoi racconti: Cristo e il suo Sacro Cuore. In un altro racconto descrive con queste parole il Maestro: «Quando Gesù mi appare solitamente mi trovo in chiesa a fare una visita: ecco che si presenta Gesù ai miei occhi. Dal Tabernacolo una nube bianca sorge improvvisamente, essa è di un candore accecante e da piccola che è si espande lentamente. Ad un tratto essa si squarcia e nella luce accecante c’è un bagliore ancora più luminoso, la Figura Divina di Gesù. È vestito d’una tunica bianca lucente, fermata alla vita da un cingolo d’oro, le spalle sono ricoperte da un manto pure d’oro, anche i sandali sono aurei. Gesù porta i capelli biondi e fluenti sulle spalle, divisi da una scriminatura in mezzo al capo. Anche la barba è bionda. Gli azzurri occhi splendono nel roseo viso. Il Suo Cuore, coronato di spine, è sormontato dalla piccola croce e dalla ferita del cuore sgorga sangue che macchia la bianca tunica. Nelle mani e nei piedi si possono vedere le ferite cicatrizzate».
Ma chi è Elia Bellebono? Nato a Cividate al Piano, comune del bergamasco, l’8 ottobre 1912, Elia - a soli quattro anni - perde il padre. Sarà, allora, la madre Teresa, donna di grande fede e preghiera, a portare avanti la numerosa famiglia tra tanti sacrifici. E sarà sempre lei ad educare Elia alla fede cattolica. Già alle prime luci dell’alba, la donna era solita svegliare la famiglia con una semplice preghiera che aveva il suono di una filastrocca: «Svegliati, anima mia, pensa che hai da morire; la carne tua ha da marcire; ama chi ti ama, lascia il mondo che t’inganna. Ama Gesù, ama Maria, recita per tre volte l’Ave Maria». Alla sera, la preghiera si tramutava: «Solo voglio il Tuo volere bel cuore del mio Gesù solo [mi] piace il Tuo piacere bramo solo di amarti di più». È assai significativo che questo riferimento al Cuore di Gesù entri nella biografia di Elia fin dai primi istanti della sua vita: guardando agli eventi che segneranno l’intera sua biografia, questo episodio non può che essere considerato un seme di un fiore che germoglierà, con forza e vigore, molto più avanti nel tempo, facendo di Elia un apostolo instancabile dell’Amore di Cristo e soprattutto del suo Sacro Cuore.
Trascorrono gli anni e la famiglia ha sempre più bisogno di un sostegno economico: Bellebono, allora, impara il mestiere di calzolaio per poter sostenere la sua numerosa famiglia. Ma il Signore lo chiama ad altra vita, ad altra missione: quella del sacerdozio, un cammino che per il povero ciabattino di Cividate al Piano non sarà certamente facile. Un cammino assai lungo, intervallato da numerosi impedimenti, ma allo stesso tempo una strada ricolma di abbondanti grazie. Saranno, infatti, tante le esperienze mistiche vissute da Elia, che all’età di 65 anni sarà finalmente ordinato sacerdote: era l’11 aprile 1977. Don Elia Bellebono morirà il 2 settembre 1996.
«La sua parola bruciava come fiaccola», così il Libro del Siracide, al capitolo 48, descrive uno dei più grandi profeti dell’Antico Testamento: Elia. Anche don Elia Bellebono, nei nostri tempi moderni, ha vissuto con ardore la sua missione: diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Le parole di quello che potrebbe definirsi il suo testamento spirituale, l’omelia che scrisse nel 1987 per il decimo anniversario della sua prima Messa, nel nostro oggi che si ostina a rifiutare l’Amore di Dio, risuonano come una profezia: «Invito tutti ad essere generosi con il Signore. Egli sa amare le Sue creature in maniera che nessuno potrà mai. Attende da noi non grandi cose, ma la conversione del cuore che fa grande ogni cosa. Impariamo da Lui ad essere miti ed umili, perché solo così Egli può entrare nel nostro cuore, aprirlo alla vita, e poter amare con Lui tutti gli uomini nostri fratelli».