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società moderne

Il "sacro civile" e le contraddizioni della religione laica

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La politica fallisce quando si avventura al di fuori della sua propria sfera, per creare da sé un vincolo laicamente spirituale su cui fondarsi: nessuno può darsi ciò che non ha.

Editoriali 03_04_2024
Wikimedia. Musei Civici di Reggio Emilia

Nel numero 1/2024 della rivista Il Mulino ora in distribuzione viene affrontato a più voci il tema del “sacro civile”, una nuova espressione con cui si vorrebbe sostituire quella già ampiamente adoperata di “religione civile”. Appartengono al “sacro civile” tutti quei valori che fanno da collante laico e non religioso tra i cittadini, fornendo loro alcuni assoluti civili capaci di vincolarli dall’interno oltre le convenzioni e gli interessi esterni. Al sacro civile o alla religione civile sono ricorse tutte le compagini politiche della modernità per compensare – anche se contraddittoriamente – la mancanza di veri legami nelle società nate da un contratto, ed evitare, con la creazione di un vincolo laicamente spirituale, che il patto fondativo venisse revocato. La contraddizione sta nella volontà di correggere le disfunzioni e i pericoli di un patto artificiale con un altro intervento artificiale, appunto il sacro civile. Cosa che Ernesto Galli della Loggia, uno dei partecipanti al panel del Mulino, fa opportunamente notare.

Paolo Legrenzi, psicologo di Ca’ Foscari, propone di fondare il sacro civile su «l’umiltà di fronte alla Natura che ci ha fatto come specie e l’unità che discende dal rendersi conto di appartenere tutti alla stessa specie. Come creare le condizioni che rendono possibile superare distinzioni fuorvianti tra le persone alla luce di una prospettiva più ampia di appartenenza a una storia comune?». La storia comune cui qui si fa riferimento è la storia dell’evoluzione, quindi si rimane dentro un concetto di natura materialmente intesa. Legrenzi sembra però dimenticare due cose. La prima è che dalla medesima storia naturalisticamente intesa oggi molti derivano la convinzione che le specie vadano superate (antispecismo) e che l’eccezione umana rispetto agli altri animali sia un errore da superare. La seconda è che oggi l’uomo sta mettendo le mani su questa natura biologicamente intesa e quanto Legrenzi ritiene naturale sta diventando artificiale. Una strada, la sua, molto ingenua e difficilmente percorribile.

Più interessante è l’intervento di Ernesto Galli della Loggia. Dopo aver chiarito che la nozione di religione civile – che egli preferisce a quella di sacro civile – indica, almeno da Rousseau in avanti, la creazione artificiale di un collante tra i cittadini calato dall’alto, ugualmente artificiale quindi del patto contrattuale che darebbe vita alla società secondo il convenzionalismo moderno, egli fa la sua proposta: la religione civile c’è già e si chiama patriottismo, un sentimento che però gli italiani mostrano di non sentire molto, dato che quando si rivolgono alla propria storia comune insistono a considerarla sempre da posizioni di parte e, quindi, conflittuali piuttosto che comuni: «dovremmo essere disposti a calarci nella storia intera del nostro Paese, sentendola come la nostra storia, la storia di noi tutti. Non già calarci solo in quella parte di essa che ci piace». Sembra un invito di buon senso, ma se la storia viene ricostruita in disprezzo della verità storica, quale unità nazionale potrà saldare se non, ancora una volta, una unità artificiale. È vero che in Italia «la Repubblica non è mai diventata la Patria», ma non si riuscirà a portare a compimento questo passaggio usando cancellina sui certi fatti del nostro recente passato e fingere che non siano avvenuti. L’artificialità della costruzione nazionale non può essere corretta da un nuovo artificio. E così, come per Legrenzi, siamo ancora all’artificio.

Giorgio Galli si colloca invece su una posizione che potremmo chiamare esistenzialista. Egli contesta l’interpretazione autosufficiente della politica moderna, frutto del razionalismo politico dei suoi padri fondatori, autosufficienza che elimina qualsiasi rapporto con il sacro e che forzatamente confluisce alla fine nella politica come procedura o come tecnica. Per Galli, invece, la politica ha un suo lato «profondo» ed «oscuro» che forma un «nucleo di senso esistenziale» che si configura come «origine» della politica. Ne fanno parte la nozione di auctoritas e quella di tradizione, la nozione di popolo e di natura, per finire con le suggestioni della psicanalisi. Per lungo tempo il cristianesimo ha fatto da centro di questo «nucleo di senso esistenziale», che la secolarizzazione ha poi decostruito e svuotato con esiti diversamente valutati dagli interpreti. Anche Galli concorda sulla difficoltà per l’Italia di «concepire un’origine forte della nostra vita civile», essa «pare voler continuamente cancellare il proprio passato». Ci si chiede però come difendere questo «nucleo originario esistenziale» dall’aggressione delle ideologie, cui pure Galli fa riferimento, considerandole inevitabili nei momenti di crisi. Nell’esistenza tutto è esistenza e perfino la negazione dell’esistenza fa parte dell’esistenza, sicché se il sacro è un «nucleo di esistenza» non può essere origine e norma di quanto di altro c’è nell’esistenza perché si colloca al suo stesso livello.

Questi tre esempi documentano il fallimento della politica che voglia produrre essa stessa il «sacro». Nessuno si dà ciò che non ha. Tutti i tre tentativi ora visti si muovono nel campo dell’immanenza, ma chi è dentro un certo livello non può consacrarlo perché ne fa parte e qualsiasi eventuale consacrazione sarà sempre artificiale. Tutte le religioni civili che hanno tentato di farlo, comprese quelle democratiche del «patriottismo costituzionale», non solo hanno fallito, ma hanno prodotto mostri. Solo la religione vera può farlo, ma allora non chiamiamola religione civile né sacro civile. Ambedue le cose sono artifici, non esistono, ed è meglio che non esistano.



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