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CONTINENTE NERO

Il ritiro degli Usa dall'Africa, un segno di isolazionismo

Gli Usa ritirano forze dall'Africa. In teoria si tratta di un trasferimento nelle aree del confronto con Iran, Russia e Cina. In pratica la tesi non regge se si considera che proprio l'Africa è terreno di scontro con le potenze avversarie degli Usa. Dunque si spiega solo con una rinnovata voglia di isolazionismo (e di lasciar l'Africa agli europei)

Esteri 19_11_2018
Truppe Usa in missione di addestramento in Sierra Leone

La notizia sembra avere più un valore politico che strettamente militare: il Pentagono ha annunciato nei giorni scorsi la riduzione delle forze schierate in Africa sotto la guida dell’Africa Command per sostenere “le priorità delineate nella strategia nazionale di difesa”.

In una breve dichiarazione il Pentagono ha fatto sapere che Il taglio previsto sarà del 10% della forza totale di 7.200 soldati presenti oggi in Africa e si svilupperà nell’arco di alcuni anni. “Ricalibreremo le nostre risorse per la lotta contro il terrorismo e le forze operanti in Africa nei prossimi anni per mantenere una posizione competitiva nel mondo" ha spiegato il portavoce del Pentagono Candice Tresch. La riduzione delle forze Usa pare non pregiudicherà gli impegni assunti da Washington in questa regione che includono addestramento e supporto a molti Stati africani del Sahel nella lotta ai movimenti jihadisti e il mantenimento di alcune basi in cui sono schierati aerei, elicotteri e droni (le più importanti sono a Gibuti e ad Agadez, in Niger ma nuclei di forze speciali e personale d’intelligence sono presenti anche in Burkina Faso, Tunisia. Marocco, Nigeria, Kenya, Somalia e altri Stati).

Il focus strategico resta il contrasto ai jihadisti di Boko Haram nella regione del Lago Ciad in appoggio a Camerun, Ciad, Niger e Nigeria per rafforzare la capacità di assicurare che Boko Haram e Isis in Africa occidentale non minaccino gli interessi dei partner, degli alleati o degli Stati Uniti. Le attività militari statunitensi antinsurrezionali e anti-terrorismo hanno preso piede in Africa già all’indomani dell’attacco di al-Qaeda agli USA dell’11 settembre 2001, con il varo della Pan Sahel Initiative e poi, nel 2005, della Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative e infine di una branca apposita dell’Operazione Enduring Freedom – Trans Sahara tese ad appoggiare i paesi africani nel contrasto alle forze quaediste del Sahel fino a quando, nel 2008, queste attività sono state prese in carico dal neocostituito US Africa Command. Operazioni sviluppatesi in diverse aree e oggi particolarmente attive in Malì, Niger, Somalia e Libia contro i gruppi affiliati anche allo Stato Islamico. Non sono rari i raid aerei effettuati da aerei e droni basati in Sicilia (Sigonella) contro le formazioni dell’IS in Libia. In Africa Occidentale la riduzione delle forze americane porterà al ridimensionamento della cooperazione militare che verrà limitato alla consulenza/forniture militari/intelligence e non più, come accade ora, al supporto tattico con velivoli e unità terrestri.

La riduzione delle forze in Africa risponde all’iniziativa del Segretario della Difesa Jim Mattis che intende concentrare maggiormente le forze nelle aree di confronto diretto con Iran, Russia e Cina, riducendo l’impegno nelle guerre anti-insurrezionali dal Medio Oriente all’Africa. Del resto già dai tempi dell’amministrazione Obama le priorità strategiche di Washington erano state incentrate sull’area del Pacifico dove sono già schierate il 60% delle forze navali Usa. Tuttavia il ritiro parziale e lento del 10 per cento delle forze Usa in Africa suscita per diverse ragioni qualche perplessità.

Innanzitutto la riduzione del 10 per cento delle forze, benchè possa apparire di scarso peso, rappresenta un taglio percentualmente ben maggiore alle capacità operative poiché, specie nelle vaste aree africane prive di infrastrutture, la componente logistica del dispositivo statunitense resterà preminente costituendo una parte significativa dei contingenti schierati sul terreno. Inoltre l’idea di sguarnire l’Africa per contrastare meglio l’espansionismo cinese fa sorridere poiché il contingente africano rappresenta proprio uno dei teatri di maggiore espansione commerciale, politica e militare di Pechino. Stesso discorso vale per la Russia che negli ultimi tempi ha rafforzato la cooperazione con molti Stati africani incluso il Centrafrica e la Cirenaica libica dove si vocifera di basi concesse ad aerei e navi russe dall’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar.

E’ quindi possibile che l’Amministrazione Trump (che da tempo vorrebbe ritirare anche i 2mila militari presenti in Siria) punti a ridimensionare il ruolo degli Usa pur senza un totale sganciamento, per lasciare il grosso degli oneri di stabilizzazione e contro-insurrezione jihadista  agli europei come dimostrano il supporto finanziario e logistico americano alle truppe francesi nel Sahel (Operation Barkhane) e il recente riconoscimento da parte di Donald Trump della “leadership italiana in Libia”. In quest’ottica Washington punterebbe a concentrare il dispiegamento delle sue forze militari nei teatri di tensione più “paganti” per gli obiettivi strategici di Trump (dove sono in gioco anche importanti partite economiche e commerciali) lasciando progressivamente agli europei, “colpevoli” agli occhi degli Usa di non spendere abbastanza per la difesa, il logorante confronti con miliziani e terroristi islamici nelle terre africane.