Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
LA GIORNATA INTERNAZIONALE

Il Ricordo della tratta degli schiavi. Solo quella atlantica

Le Nazioni Unite, per il 25 marzo, hanno indetto la Giornata Internazionale del Ricordo delle vittime della tratta degli schiavi. In ricordo di tutti gli africani che sono stati deportati nelle Americhe. Quattro secoli di orrori che è giusto commemorare. Ma nel totale oblio della tratta araba degli schiavi. 

Cultura 25_03_2022
Biard, "il mercato degli schiavi"

L’Onu ogni anno dedica un giorno, il 25 marzo, agli africani vittime della tratta transatlantica degli schiavi. Tra il XVI e il XIX secolo da 10 a 12 milioni di africani, quasi tutti originari dell’Africa occidentale e centrale, sono stati deportati nelle Americhe da mercanti di schiavi europei che li acquistavano da mercanti e capitribù locali e in qualche caso li catturavano compiendo incursioni lungo le coste. A iniziare il traffico sono stati i portoghesi che hanno portato il primo carico di schiavi in Brasile nel 1526. All’inizio del XIX secolo vari governi, per primo quello britannico, hanno incominciato a bandire la tratta. L’ultima nave con schiavi a bordo di cui si ha notizia è arrivata nel 1859 in Alabama e nel 1865 gli Stati Uniti hanno abolito la schiavitù.

La Giornata internazionale del ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi è stata istituita dall’Assemblea Generale nel 2007 per rimediare a “quanto poco si sa sulla tratta transatlantica durata 400 anni e sulle sue persistenti conseguenze nel tempo”. La giornata viene celebrata con cerimonie culminanti quest’anno con un evento culturale intitolato “Ritmi di resistenza” che “illustrerà la storia della tratta, il suo persistente lascito di razzismo e l’impronta che le culture africane hanno impresso sul continente americano”. Come sempre, per l’occasione il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha diffuso un messaggio per spiegare il significato della ricorrenza, intesa – ha scritto – a ricordare che cosa è stata la tratta transatlantica: “il crimine contro l’umanità, la deportazione di un numero di persone senza precedenti, le degradanti transazioni economiche e le indicibili violazioni dei diritti umani”.

Il messaggio prosegue esortando a rendere omaggio ai milioni di africani strappati alle loro comunità e alla loro terra e a schierarsi contro il razzismo perché “tuttora le persone di origine africana continuano a subire discriminazioni razziali, marginalizzazione ed esclusione. Le disparità politiche, economiche e strutturali che affondano le radici nel dominio coloniale, nello schiavismo e nello sfruttamento ancora negano pari opportunità e giustizia”. “Uniamoci contro il razzismo in questa giornata internazionale – conclude il messaggio – e costruiamo insieme delle società fondate su dignità, uguaglianza e solidarietà”.

La tratta atlantica degli schiavi è stata una tragedia umana di proporzioni spaventose. Per non perderne memoria l’Unesco, l’agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura, nel 1998 aveva già istituito a sua volta una giornata commemorativa, la Giornata internazionale del ricordo della tratta degli schiavi e della sua abolizione, per celebrare la quale è stato scelto il 23 agosto perché nella notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791 a Santo Domingo (oggi isola di Haiti e Repubblica Dominicana) tra gli oltre 450mila schiavi che vivevano sull’isola scoppiò una rivolta che ebbe un ruolo importante nella decisione di mettere fine alla tratta transatlantica. Tutti i paesi membri dell’Onu sono invitati a organizzare il 23 agosto degli eventi che coinvolgano tutta la popolazione, intesi, come si legge sul sito web dell’Unesco, a “imprimere la tragedia della tratta degli schiavi nella memoria di tutti i popoli”: occasioni collettive “per riflettere sulle sue cause storiche, sui metodi e sulle conseguenze di questa tragedia, per analizzare le interazioni che essa ha prodotto tra Africa, Europa, le Americhe e i Caraibi”.

Nel messaggio del direttore generale dell’Unesco Audrey Azoulay per la Giornata del 2021 si legge: “ogni giorno nel mondo uomini e donne africane continuano a patire gli effetti terribili dell’eredità che la schiavitù ha lasciato. Questa eredità persiste nella retorica, nella violenza e in azioni che non sono casi isolati e costituiscono la base di discriminazioni che talvolta costano vite umane. È tempo di abolire una volta per tutte lo sfruttamento umano e riconoscere la pari e incondizionata dignità di ogni individuo. Ricordiamo oggi le vittime e i combattenti per la libertà del passato affinché possano ispirare le generazioni future a edificare società giuste”.

Non si può non concordare con le Nazioni Unite che chiedono di non dimenticare i drammi, le ingiustizie del passato, chi ne è stato responsabile e chi le ha subite. Black lives matter, le vite dei neri contano, rivendica il movimento nato negli Stati Uniti nel 2013 proprio per denunciare e combattere l’eredità della schiavitù, “il suo persistente lascito di razzismo” ogniqualvolta si manifesti. Ma allora va detto che invece, per le Nazioni Unite, non tutte le vite dei neri contano allo stesso modo, non quando si tratta delle vittime africane del commercio internazionale degli schiavi. Questo va detto perché la tratta transatlantica è stata un crimine, ma non senza precedenti per dimensioni e atrocità. Un’altra tratta di schiavi africani era iniziata molti secoli prima, quella arabo-islamica, sulle coste swahili dell’oceano Indiano e lungo le rotte sahariane. Nel corso di oltre tredici secoli, dal VII al XIX, ha deportato 17 milioni di africani, secondo le stime di alcuni storici, “solo” 14 milioni secondo altri.

Per loro non ci sono giornate del ricordo né d’altra parte all’Onu si parla volentieri della colonizzazione  arabo-islamica del continente africano incominciata nel VII secolo che ha dato origine alla tratta, eppure così evidente nelle sue conseguenze. Per l’Onu si direbbe che in Africa sia esistita solo una colonizzazione, quella europea, tant’è che non ritiene necessario specificare a che cosa si riferisce quando parla di “dominio coloniale”.