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ASSISI

Il relativismo pacifista di Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman è uno dei protagonisti di Sete di Pace ad Assisi ed è uno degli intellettuali più ascoltati del nostro tempo. Sua è la definizione di “società liquida” per definire la post-modernità. Dal suo punto di vista anche le guerre di religione sono solo "una delle offerte del mercato". Ma in questo modo confina la religione, nella storia e nel mondo attuale, a mera sovrastruttura di interessi economici.

Ecclesia 21_09_2016
Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman è uno dei protagonisti di Sete di Pace ad Assisi ed è uno degli intellettuali più ascoltati del nostro tempo. Sua è la definizione di “società liquida” per definire la post-modernità, il tempo in cui, al tramonto delle ideologie, delle religioni e delle nazioni, prevale un individuo consumatore privo di identità. Il suo contributo, sulla pace e sulle migrazioni (Bauman rifiuta scientemente di parlare di “immigrazione”, perché lo ritiene un concetto superato dal tramonto dello Stato nazionale) è in linea con la sua idea di post-modernità. Ritiene che non esistano guerre di religione, perché la guerra, che si combatte “a pezzi” è “solo una delle offerte del mercato”.

Il sociologo e filosofo Bauman, polacco di origine ebraica, dice all’Avvenire: “Non appartengo a chi vuole far credere che sia una guerra tra religioni. Bisogna stare attenti a non seguire la mentalità corrente. In particolare la mentalità introdotta dal politologo di turno, dai media, da coloro che vogliono raccogliere il consenso, dicendo ciò che loro volevano ascoltare. Lei sa bene che in un mondo permeato dalla paura, questa penetra la società. La paura ha le sue radici nelle ansietà delle persone e anche se abbiamo delle situazioni di grande benessere, viviamo in una grande paura. La paura di perdere posizioni. Le persone hanno paura di avere paura, anche senza darsi una spiegazione del motivo. E questa paura così mobile, inespressa, che non spiega la sua sorgente, è un ottimo capitale per tutti coloro che la vogliono utilizzare per motivi politici o commerciali. Parlare così di guerre e di guerre di religioni è solo una delle offerte del mercato”.

Nel suo intervento ad Assisi, spiega che i nostri avi, prima nella tribù, poi negli imperi, poi nei regni e negli Stati-nazione, hanno vissuto un processo di espansione del concetto di “noi”, ma hanno sempre mantenuto anche la convinzione che vi fosse lo straniero e il nemico “altro da noi”. “Tutte le tappe e i balzi che ci sono stati avevano un dato in comune: erano tappe caratterizzate da inclusione e esclusione. C’era un noi che si ampliava, ma anche una identificazione dell’Altro escluso dal noi. E questo ha portato a grandi spargimenti di sangue”. Nell’era della globalizzazione, invece, si è creata, secondo Bauman, una condizione senza precedenti: “c’è la necessità ineludibile dell’espansione del ‘noi’ come prossima tappa dell’umanità. Questo salto successivo è rappresentato dalla soppressione del pronome ‘loro’”. Dunque: “Non ci è stato chiesto da nessuno, ma ci troviamo nella dimensione cosmopolita in cui ogni cosa ha un impatto sul pianeta, sul futuro e sui nipoti dei nostri nipoti. Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri”. Da dove nasce la guerra nella società cosmopolita, allora? Nasce dal fatto che: “non abbiamo neppure iniziato a sviluppare una consapevolezza cosmopolita. E gestiamo questo momento con gli strumenti dei nostri antenati… ed è una trappola, una sfida da affrontare”. Quindi è la voglia di esclusione, sfruttata dai venditori di consensi, da chi propone soluzioni semplicistiche come il “costruire muri” (non lo cita apertamente, ma pensa a Trump), creare il nemico per proporsi come guida, che genera guerre.

Tutto molto suggestivo. Ma l’attualità dimostra che le guerre di religione esistono eccome anche ai giorni nostri. E non è solo una questione di domanda e offerta nel mercato politico, o nel mercato tout court. Il terrorista suicida non mira al potere e non mira al denaro. Mira a morire per una causa che si vince nell’aldilà, con la conquista del paradiso musulmano. Si dirà, per far rientrare lo jihadista suicida nello schema di Bauman, che egli è stato manipolato, plagiato, indottrinato, da chi vuol trarre profitto dal suo suicidio. Ma anche se andiamo a vedere chi comanda gli jihadisti, non troviamo persone che navigano nell’oro. L’autoproclamato califfo Al Baghdadi, sempre che sia ancora vivo, conduce una vita da fuggitivo braccato, evitando le telecamere e qualunque luogo identificabile. Lo sceicco Osama Bin Laden ha rinunciato agli agi di una ricchissima famiglia, in affari con gli Stati Uniti, per scegliere una vita da recluso in caverne e residenze segrete. Lo ha fatto per combattere il jihad contro gli Stati Uniti, non certo per attrarre consensi o denari. Può anche darsi che sia a sua volta manipolato da poteri rimasti finora nell’ombra, ma si sfocerebbe nella fantapolitica. Chi combatte la guerra di religione negli anni 2000, anche nell’era della “società liquida”, lo fa per fede. E anche questa è una realtà.

Si può leggere la storia delle guerre solo come un contrapporsi di “noi” e “loro”, di tribù, imperi e nazioni che traggono legittimità interna combattendo contro un nemico esterno, senza parlare di religione? Pur senza risalire all’espansione degli imperi islamici e alle Crociate, in questa ottica non si comprenderebbero neppure le guerre del Novecento. Nemmeno la Seconda Guerra Mondiale, a cui Bauman stesso partecipò da volontario nei ranghi dell’Armata Rossa sovietica: quel conflitto, specie sul fronte orientale, fu lo scontro globale fra le due grandi religioni atee di comunismo e nazismo, entrambe totalizzanti, entrambe con aspirazioni universaliste. Non si capirebbe neppure perché da settant’anni si continui a combattere per un pezzo di terra arida e priva di petrolio chiamata Israele, in cui Bauman ha vissuto e insegnato. Non solo: togli l’ebraismo e non capisci neppure perché sia nato Israele. Togli le utopie cristiane protestanti del Seicento e non capisci come mai esistano gli Stati Uniti. Togli la tradizione cattolica e non capisci come siano nate le nazioni europee in cui viviamo ancora oggi, né perché si parli tuttora di radici cristiane nel dibattito sulla costituzione europea. La spiegazione di questa complessa realtà non potrebbe mai essere ridotta a un “noi”, da eliminare nel nome di un cosmopolitismo che non è “chiesto da nessuno”, proprio perché esiste solo nella mente dei filosofi.

Perché tante omissioni? Perché eliminare la religione dalla storia? Il filosofo e sociologo polacco, formatosi nel marxismo-leninismo e approdato ad una filosofia che si scosta solo nominalmente dalla sua radice, è ancora convinto che la vera causa dell’azione umana sia l’interesse economico. La religione, la cultura, le idee in generale, sono sovrastrutture, create in malafede anche se inconsciamente, per mascherare i reali interessi umani. Bauman ha sostituito la lotta di classe con la teoria della società liquida, ma il concetto cambia poco: là c’erano i proletari sfruttati dai borghesi, qua c’è il consumatore sfruttato dai produttori. Là c’era l’alienazione del lavoro, qui l’alienazione del consumo. E il sotto-proletariato è quello che Bauman chiama lo “scarto umano”, la sotto-categoria degli esclusi che non possono permettersi di conformarsi agli standard di consumismo. I termini cambiano, il materialismo resta e la soluzione è la stessa. Per il filosofo polacco post-marxista, la morale oggettiva non esiste, la pace si consegue se l’io si dona volontariamente al tu. Eliminando la teoria del materialismo storico, arriva direttamente all’utopia del comunismo dove gli interessi individuali fanno largo a quelli collettivi. Ecco perché smettere di aver paura del diverso, dal suo punto di vista, basterebbe a portare la pace in terra. La pace nella giustizia, non la pace a tutti i costi, era al centro del messaggio di San Giovanni Paolo II, trent’anni fa, ad Assisi. Nella visione del mondo di Bauman non si riesce neppure a identificare un concetto di giustizia. Tutto molto interessante, soprattutto per gli orfani del marxismo che sono in cerca di un altro autore di riferimento e che non vogliono limitarsi a cantare Imagine di John Lennon. Ma è ecumenismo, questo?