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VOTO ANTICIPATO

Il Regno Unito torna alle urne prima della Brexit

Il Regno Unito tona alle urne il prossimo 12 dicembre. E’ questo l’ultimo colpo di scena della telenovela Brexit. Boris Johnson ritiene di aver portato a casa un buon risultato. Falliti i tentativi della sinistra di far votare i 16enni e gli immigrati europei. E Corbyn, che ora appoggia il voto anticipato, dopo averlo bocciato tre volte, si prepara alla sua "rivoluzione" socialista.

Esteri 30_10_2019
Jeremy Corbyn appoggia il voto anticipato

Il Regno Unito tonerà alle urne il prossimo 12 dicembre. E’ questo l’ultimo colpo di scena della telenovela Brexit, che ora viene rimandata di tre mesi, al 31 gennaio 2020 (la scadenza doveva essere il 31 ottobre, sino alla fine della settimana scorsa). Boris Johnson ritiene di aver portato a casa un buon risultato, ottenendo un accordo di massima con l’Ue per il suo piano di uscita, migliorando la sua posizione in Parlamento per la sua approvazione e soprattutto cercando di sbloccare il lunghissimo stallo del legislativo con nuove elezioni anticipate, nemmeno due anni dopo quelle del 2017. E poi vinca il migliore.

Come si sia giunti a questo colpo di scena è ancora poco chiaro. Il Partito Laburista, che aveva contribuito a far naufragare, non una ma tre volte, il voto sulle elezioni anticipate, ha cambiato improvvisamente posizione ieri mattina. La legge che stabilisce le elezioni generali anticipate al 12 dicembre è stata approvata ieri sera, dopo un giorno di intenso dibattito, con 438 voti a favore e solo 20 contrari. E’ un fatto storico, nel suo piccolo, perché per trovare altre elezioni generali in dicembre bisogna risalire fino al lontano 1923, quasi un secolo fa.

Sarà una campagna elettorale molto breve e si prevede intensa. A dire il vero è già incominciata da mesi, perché Boris Johnson è tornato a promettere il rifinanziamento del Sistema sanitario nazionale (Nhs) con i soldi risparmiati dall’Unione Europea ed è impegnato a presentare il suo governo come l’unica via sicura per arrivare alla Brexit in modo lineare, evitando i contorcimenti dell’opposizione. Più difficile, invece, capire cosa stia succedendo in casa laburista: il leader laburista Jeremy Corbyn, sicuro di vincere le elezioni, dalla primavera scorsa (dopo le Europee) ha sempre puntato tutto sul voto anticipato. Poi, quando si è palesata l’opzione di uscire dall’Ue senza un accordo, il 31 ottobre, soprattutto dopo il tentativo di Johnson di sospendere il Parlamento da settembre a metà ottobre, Corbyn ha drasticamente cambiato linea, votando contro ogni proposta di voto anticipato. Infine ieri ha cambiato idea per la terza volta di fila, sostenendo la linea Johnson almeno sul voto anticipato. Eppure le sue dichiarazioni lascerebbero intendere che ha sempre voluto andare al voto. “E’ un’occasione unica in una generazione per trasformare il nostro Paese e per restituire al popolo i suoi interessi”, ha detto ieri in conferenza stampa. E ha preannunciato che in questo mese “lanceremo la campagna più ambiziosa e radicale per un vero cambiamento, un qualcosa che il nostro Paese non ha ancora mai visto”.

E perché non ci ha pensato prima? Perché, come Corbyn stesso spiegava ieri, non avrebbe ammesso di andare al voto con in vista la possibilità dell’uscita del Regno Unito dall’Ue senza alcun accordo. Almeno questa è la spiegazione ad uso e consumo della stampa. Evidentemente Johnson era convincente quando diceva che sarebbe uscito dall’Ue a qualunque costo. Adesso che, al contrario, ha accettato un rinvio della scadenza per la Brexit di tre mesi, al prossimo 31 gennaio, ha evidentemente lanciato un segnale di segno opposto: la Brexit è ancora trattabile, si possono vincere prima le elezioni, si può formare un nuovo governo che possa mutare radicalmente le condizioni di uscita dall’Ue, o fermarla del tutto. Comunque 100 deputati laburisti si sono astenuti o sono rimasti a casa nel giorno del voto. E 11 hanno votato contro. Un segno di profonda spaccatura all’interno del maggior partito di opposizione.

Sono falliti i tentativi di cambiare la composizione dell'elettorato, coinvolgendo giovani e cittadini europei. Per pochi voti (315 a 295) non è passato l’emendamento laburista che mirava ad anticipare la data delle elezioni al 9 dicembre. Tre giorni di anticipo che, sul piano elettorale, sono considerati molto importanti dai laburisti: il 9 non è ancora finito il primo trimestre nelle scuole superiori e nelle università, dunque c’è più probabilità di alta affluenza di giovani. Sia i Laburisti che i Liberaldemocratici fanno molto affidamento al voto giovanile, dei diciottenni e dei ventenni quasi tutti anti-Brexit. Non è passato neppure un altro emendamento che avrebbe esteso il diritto di voto ai 16enni e ai 17enni. Una proposta che, ormai, pare essere diventata un cavallo di battaglia di tutti i partiti di sinistra europei, italiani inclusi. Bocciato pure un emendamento, sempre di provenienza laburista, per estendere il voto anche ai cittadini di altri Paesi Ue residenti nel Regno Unito, un altro bacino elettorale molto grande (3 milioni di persone) e potenzialmente compatto contro la Brexit.

Ad essere uscito vincitore, tutto sommato, è sempre Boris Johnson, anche se ha ormai accettato, con rassegnazione, il rinvio della Brexit. Però ha ottenuto di andare al voto e di farlo alle condizioni attuali, senza modificare la composizione dell’elettorato come volevano le opposizioni. Adesso si giocherà tutto nella prossima campagna elettorale, che si prevede durissima. Il Partito Conservatore punta tutto sulla Brexit e deve riuscire a recuperare il voto degli euroscettici delusi dai Tories che alle europee avevano votato per il nuovo partito di Nigel Farage. Non è cosa da poco: nel voto dello scorso 23 maggio Farage aveva preso il 30% contro appena il 9% dei Conservatori, allora guidati da Theresa May. Il Partito Liberaldemocratico giocherà tutto sull’europeismo che a maggio aveva consentito al "terzo partito" di diventare il secondo partito, con il 20% dei voti. Il Partito Nazionale Scozzese punterà tutto sulla permanenza della Scozia nell’Ue, dunque presenta ancora un programma potenzialmente secessionista, nel caso che il Regno Unito compia la Brexit. E infine c’è un Partito Laburista che non si capisce realmente cosa voglia fare con l’Ue. Perché punta a trasformare soprattutto il Regno Unito in senso socialista, con un socialismo vecchio stampo, come quello degli anni ’70, dentro o fuori l’Unione Europea.