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RIFORME

Il referendum sarà su Renzi. L'ha voluto lui

Dopo il voto definitivo della Camera sulla riforma del Senato, ora la battaglia si sposta su due versanti: quello popolare del referendum confermativo e quello della riforma della legge elettorale. Ma decidere l’esito di quella consultazione saranno probabilmente altri fattori, come l’economia e la stabilità del governo.

Politica 14_04_2016
Il premier Matteo Renzi

La Camera ha approvato in via definitiva, con la sesta votazione prevista dall’articolo 138 della Costituzione, il disegno di legge Boschi, che supera il bicameralismo paritario e riforma profondamente il Senato, trasformandolo in Camera eletta insieme con i consiglieri regionali. A ottobre si svolgerà un referendum popolare che confermerà o meno tale revisione costituzionale.

Il voto definitivo a Montecitorio è arrivato in un’aula vuota, perché le opposizioni hanno preferito uscire dall’aula in segno di protesta. Contestano i contenuti della riforma e avrebbero preferito che la votazione definitiva sulla riforma del Senato arrivasse dopo la discussione delle mozioni di sfiducia al governo, previste la prossima settimana. Ora la battaglia si sposta su due versanti: quello popolare e quello della riforma della legge elettorale. La sinistra dem ha infatti votato a favore della riforma in Parlamento, per disciplina di partito, ma ora intende dare battaglia sull’Italicum.  

«É una legge da rivedere nel capitolo su consistenza e modalità di attribuzione del premio di maggioranza», tuonano gli antirenziani del Pd, «sul nodo dei capolista plurimi a rischio di costituzionalità e su quelli bloccati. D'altronde è in corso una raccolta di firme per i referendum che chiedono di modificare l'Italicum. Su queste basi pensiamo si debba riaprire un confronto e recuperare l'ascolto di costituzionalisti, studiosi, movimenti, partiti». Se,  infatti, si votasse con l’Italicum, il premio di maggioranza andrebbe fin da subito al partito col maggior numero di voti, ove superasse il 40%, e quindi non ci sarebbe spazio per terze forze minoritarie in grado attualmente di condizionare la formazione del governo. Il potere di interdizione dei cespugli sarebbe ridotto ai minimi termini, tanto più che le liste Pd dei candidati alla Camera, l’unica Camera, le gestirebbero Renzi e i suoi, lasciando le briciole agli oppositori interni.

Il Movimento Cinque Stelle, invece, animato dall’ambizione di vincere le elezioni politiche del 2018, teme che la riforma del Senato contenga una trappola: anche se la nuova assemblea di Palazzo Madama non sarà chiamata a votare le leggi, il fatto che sia popolata da rappresentanti degli enti regionali, storicamente espressione del Pd e della sinistra, potrebbe costituire un ostacolo a un possibile governo di altro colore politico. Ecco perché i grillini tuonano contro il governo, accusandolo di aver stravolto la Costituzione per assicurarsi a vita la maggioranza in almeno una delle due Camere, per quanto non più decisiva nel processo legislativo.

Ora Renzi si gioca il suo futuro nel referendum di ottobre. Lo ha detto molto chiaramente agli italiani. Se dovessero vincere i no, si dimetterebbe. L’aver personalizzato quella consultazione popolare lo espone a rischi (le opposizioni di destra e di sinistra potrebbero coalizzarsi tra loro e votare no per mandarlo a casa), ma gli offre anche la possibilità di diventare uno statista, una figura alla quale si lega una svolta costituzionale epocale. Se vincessero i sì, il premier potrebbe utilizzare i comitati per il “Si’” come cantieri per la nascita del “partito della Nazione”, comprendente tutti quei moderati che hanno deciso di dire si ad una riforma che taglia i costi della politica e snellisce il procedimento legislativo. La campagna elettorale renziana per le politiche trarrebbe forte slancio da una vittoria al referendum di ottobre, anche se, prima del luglio 2017, non sarebbe possibile andare a votare con l’Italicum, e quindi difficilmente si voterà.

A sorpresa è arrivato ieri l’annuncio di Enrico Letta, che voterà si al referendum costituzionale di ottobre. Il fronte del si appare quindi frastagliato tanto quello del no. A decidere l’esito di quella consultazione saranno probabilmente altri fattori, come lo stato di salute dell’economia e la stabilità del governo. Se le amministrative di giugno dovessero punire il Pd nelle urne, se le tensioni internazionali dovessero scaricarsi sui mercati finanziari indebolendo l’Italia e se le inchieste dovessero offuscare ulteriormente l’immagine dell’esecutivo, la campagna referendaria di Renzi ne risentirebbe senz’altro. Difficile, ora come ora, fare previsioni. Sei mesi nella politica italiana, estremamente volatile, sono un’eternità.