Il referendum pesa, il treno dell'autonomia è partito
Referendum sull’autonomia: chi lo riteneva solo propaganda dovrà ricredersi. Lombardia ed Emilia Romagna (il Veneto attende l'assemblea) iniziano le trattative con lo Stato. Ma è merito di Maroni e Zaia e dei 5 milioni di votanti, non del presidente emiliano.
Chi riteneva che il referendum consultivo del 22 ottobre sull’autonomia di Lombardia e Veneto fosse solo propaganda dovrà ricredersi. Due giorni fa il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato quasi all’unanimità (hanno votato a favore anche Pd, Movimento Cinque Stelle e gli altri partiti di opposizione, escluso il Gruppo misto e Campo progressista) la risoluzione che dà mandato al Presidente Roberto Maroni di trattare col governo maggiori competenze e relative risorse.
La trattativa partirà oggi pomeriggio e non coinvolgerà solo la delegazione costituita da Roberto Maroni. Al tavolo negoziale siederà anche Stefano Bonaccini, dinamico Presidente dell’Emilia Romagna, che è del Pd, a riprova della trasversalità della battaglia portata avanti sul terreno di una maggiore autonomia delle Regioni. Il Veneto, invece, aspetterà, perché solo la prossima settimana il Consiglio regionale approverà la legge che dà mandato al Presidente della Regione di avviare la trattativa col governo per chiedere maggiore autonomia. Ieri il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia era in audizione alla commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, ma oggi all’apertura del negoziato non parteciperà, proprio per rispetto istituzionale verso la sua regione, che sta ascoltando tutti gli stakeholder istituzionali.
Il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa ha fissato dunque per oggi, nella sede del Dipartimento per gli Affari regionali, la convocazione dei Presidenti della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni.
Bressa è stato indicato dal Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni quale referente politico del governo per il negoziato relativo all'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, richieste da Emilia-Romagna e Lombardia, ai sensi dell'art. 116, terzo comma della Costituzione.
L'incontro istituisce la sede paritetica che approfondirà gli ambiti e le materie per i quali i Consigli regionali hanno dato mandato ai rispettivi presidenti della Giunta regionale di avviare la trattativa. Si tratta in particolare di: rapporti internazionali e con l'Unione Europea delle Regioni; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; commercio con l'estero; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; governo del territorio; protezione civile; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; tutela della salute; norme generali sull'istruzione; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e organizzazione della giustizia di pace. La Giunta dell'Emilia-Romagna è già pronta ad aggiungere altre 4-5 competenze relative a professioni, cultura, sport e agricoltura.
Bonaccini aveva criticato i referendum di Veneto e Lombardia, ritenendoli inutili, poiché il negoziato col governo si sarebbe comunque potuto aprire in qualunque momento. Fatto sta che il momento giusto, guarda caso, è oggi, cioè soltanto dopo che oltre cinque milioni di cittadini di due delle principali regioni italiane, hanno chiesto esplicitamente di compiere dei passi nella direzione dell’acquisizione di maggiori poteri da parte dei governi regionali. Dunque l’impulso dei referendum è stato decisivo per accelerare i tempi, nonostante la legislatura sia agli sgoccioli e il governo sia destinato a restare in carico soltanto per qualche altro mese, fino alle elezioni politiche. L’obiettivo, come ha dichiarato Maroni, è arrivare a un accordo entro fine gennaio, che venga poi votato dal prossimo Parlamento.
Nella risoluzione approvata al Pirellone si raggruppano le 23 materie di legislazione concorrente Stato-Regioni in sei macroaree. «Verranno organizzati sei tavoli e almeno uno di essi dovrà essere a Milano – ha auspicato il governatore lombardo - visto che consideriamo la trattativa Governo-Regioni su un piano di parità e non la Regione che va a Roma a chiedere. Se così sarà, mi pare che vi siano tutte le condizioni per fare un lavoro egregio, nell'interesse dei cittadini lombardi».
Le parole autodeterminazione e autogestione interpretano il desiderio di cambiamento dei cittadini lombardi ed emiliano-romagnoli. Non si tratta di semplici rivendicazioni di potere e risorse, ma di battaglie di natura anche culturale. Basti pensare che l’aspirazione a gestire, ad esempio, i restauri e l’ambito della tutela del patrimonio artistico è vista come strumento per rafforzare l’identità culturale di un territorio e come volano per ricadute socioeconomiche notevoli e di prospettiva.
Appare evidente che la trattativa tra le regioni del nord e Roma diventerà avvincente soprattutto rispetto al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. L’obiettivo più ambizioso delle regioni è di incassare i proventi erariali direttamente sul territorio. Ciò produrrebbe una vera autonomia nella gestione della cosa pubblica.
Su questo i governatori riusciranno a strappare concessioni al governo? Difficile fare previsioni. Una cosa è certa: il treno dell’autonomia è partito e il potere centrale non potrà non tenerne conto. Si tratta di istanze strategiche per il nord ma anche per l’intera Italia. Razionalizzare il funzionamento dello Stato, anche con la concessione di maggiori competenze amministrative e fiscali alle Regioni, gioverebbe a tutti. Ma a Roma lo capiranno?