Il primo passo lo fa Dio
Il Papa all'udienza di ieri ha insistito su un duplice movimento: di Dio, che esce da se stesso per venire nella storia, e di tutti noi, chiamati a uscire da noi stessi per andare incontro a Dio ed evangelizzare chi da Dio è lontano.
Papa Francesco ha aperto la sua prima udienza generale, il 27 marzo – di fronte a oltre venticinquemila fedeli –, con una buona notizia per chi seguiva con gratitudine – come noi della Nuova Bussola Quotidiana – la catechesi sistematica sulla fede nelle udienze del mercoledì di Benedetto XVI.
«Con grande riconoscenza e venerazione – ha detto il nuovo Pontefice – raccolgo il “testimone” dalle mani del mio amato predecessore», annunciando che «dopo la Pasqua riprenderemo le catechesi dell’Anno della fede». La catechesi odierna è invece stata dedicata alla Settimana Santa.
Il Papa ha insistito su un duplice movimento: di Dio, che esce da se stesso per venire nella storia, e di tutti noi, chiamati a uscire da noi stessi per andare incontro a Dio ed evangelizzare chi da Dio è lontano. «Che cosa può voler dire – si è chiesto il Pontefice – vivere la Settimana Santa per noi? Che cosa significa seguire Gesù nel suo cammino sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione?». Sappiamo bene che cosa ha fatto Gesù, e quale missione ha affidato, tramite gli apostoli, alla Chiesa. «Ha parlato a tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane ricco e alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia e il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso; ha dato speranza; ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e ogni donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli».
In questo percorso del Figlio di Dio è emersa ancora una volta la misericordia del Padre. «Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così: Lui fa sempre il primo passo».
Gesù si è commosso per le nostre sofferenze, e come ci ricorda il Vangelo di Matteo, non ha propriamente avuto una casa, circostanza quanto mai significativa. «Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio». Ora, «questo disegno di amore percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità» ma la Settimana Santa ne è «il vertice».
L’ultima fase della vita di Gesù «riassume tutta la sua esistenza: si dona totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita». Istituendo l’Eucarestia «si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi». Poi va a morire per noi. Ma «non vive questo amore che conduce al sacrificio in modo passivo o come un destino fatale», Non si tratta di una grande avventura romantica.
«Gesù si è consegnato volontariamente alla morte per corrispondere all’amore di Dio Padre, in perfetta unione con la sua volontà, per dimostrare il suo amore per noi». O meglio, «per me». «Ciascuno di noi può dire: Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Ciascuno può dire questo “per me”».
La strada di Gesù, allora, «è anche la mia, la tua, la nostra strada». Una strada su cui dobbiamo «imparare ad uscire da noi stessi» per andare – è un’espressione cara al Santo Padre – «verso le periferie dell’esistenza», che non sono solo le periferie materiali delle grandi città ma anche le periferie spirituali di chi si sente stanco o solo e cui va offerto «Gesù misericordioso e ricco di amore».
C’è una «logica di Dio, [una] logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita». Per entrare, però, qualche volta bisogna uscire. Entrare nella logica della Croce significa «uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio». Se «Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi», allora «anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi». Ogni sacerdote conosce le obiezioni consuete: «“Ma, padre, non ho tempo”, “ho tante cose da fare”, “è difficile”, “che cosa posso fare io con le mie poche forze, anche con il mio peccato, con tante cose?”». «Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di “uscire” per portare Cristo».
Abbiamo le stesse paure di san Pietro di fronte alla Croce, quelle che gli attirano «forse una delle parole più dure dei Vangeli»: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Eppure «Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso!». Ma ci chiede di «aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie – che pena tante parrocchie chiuse! – dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre!». Portare la fede, dunque: evangelizzare. Senza presunzione, anzi «con amore e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione».