Il premio Pimentel Fonseca, la memoria dei giacobini
Il 20 agosto la città di Napoli ha assegnato il premio Pimentel Fonseca, dedicato alla "martire" giacobina impiccata del 1799. E' assegnato a figure care alla sinistra internazionale, in Santa Maria del Carmine Maggiore che ospitava la tomba di Masaniello. Sono simboli di una precisa visione ideologica della storia.
Il 20 agosto la città di Napoli ha assegnato il consueto premio intitolato a Eleonora Pimentel Fonseca, «patriota» giacobina giustiziata proprio un 20 agosto. Del 1799. Avete letto bene, più di due secoli fa (217 anni per l’esattezza). Ma la memoria dei giacobini è lunga, e indefessa la loro solerzia nel ribadire la loro versione. Secondo una diversa prospettiva, la Pimentel e i (pochi) altri «martiri» della «rivoluzione napoletana» erano collaborazionisti e quinte colonne degli invasori francesi, e fu proprio il proletariato napoletano a insorgere contro di loro a furor di popolo (che, quando non è radical-chic, diventa «massa fanatizzata e ignorante»).
E a chi è stato assegnato, quest’anno, il prestigioso premio patrocinato dal Comune, da Amnesty International, dall’Unicef e dall’Ordine dei giornalisti della Campania? A Djimi Elghalia. Chi è? E’ un’attivista per i diritti del popolo Saharawi, minoranza indipendentista che lotta contro il Marocco (e non solo) da una trentina d’anni. E’ anche vero che il Marocco è uno dei pochi stati musulmani “laici”, il cui re, anzi, si è esposto personalmente contro il terrorismo jihadista (il che significa, di questi tempi, rischiare la gola). Ma l’ambasciatore marocchino non è stato invitato alla cerimonia, perciò la sua, di versione, non la conosciamo. Invece sono stati invitati due emissari del Fronte Polisario (nato come braccio armato dei Saharawi). A chi è andato il premio lo scorso anno? A Oksana Chelysheva, giornalista anti-Putin. Dove si svolge l’annuale cerimonia? Che domande, in chiesa: Basilica Santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore. Perché lì? Perché, quando i sanfedisti del cardinale Ruffo debellarono i giacobini, il re Ferdinando IV fece togliere da lì la tomba di Masaniello, agitatore contro il governo spagnolo di due secoli prima e ormai diventato quel che mai si sognò di essere: un’icona della rivoluzione radical-chic. Infatti, la madrina della serata 2016, l’attrice Lina Sastri, ha cantato il brano Madonna de lu Carmine, che il musicista Roberto De Simone compose nel 1974 per lo spettacolo Masaniello allestito in Piazza del Mercato. Perché proprio là in pieno Sessantotto? Perché là sorgeva la forca dei «martiri» giacobini del 1799.
Tout se tient. E pazienza se il popolo (quello vero, quello dei «lazzari» napoletani) nel 1799 cantava ben altro: «Aro’ ha gghiuto donna Leonora, c’abballava ‘n coppa ‘o tiatro? Mo’ abballa ‘n miezzo’o mircato cu’ Masto Donato». Mastro Donato era il boia, e il teatro era quello in cui la Pimentel Fonseca si esibiva nei tableaux vivants in omaggio ai nuovi padroni francesi. Non molto tempo fa una celebre giornalista ancora si indignava perché la «patriota» del 1799 era stata appesa senza mutande. Non era vero. Vero è, invece, che così fu appesa Claretta Petacci a Piazzale Loreto (come hanno documentato Luciano Garibaldi e Emma Moriconi nel recente Mussolini. Sangue a Piazzale Loreto, Herald Editore, pp. 205, €. 18), e solo la pietà di un prete le chiuse la gonna con una spilla. Ebbene, la modesta proposta è questa: perché non usare i soldi di «manifestazioni culturali» a senso unico per costituire un fondo per emergenze & calamità nazionali? Dovrebbero dirlo le opposizioni, ma, com’è noto, alle opposizioni la «cultura» interessa poco, per questo continuano a porgere il seghetto a chi taglia il ramo su cui stanno sedute. Ma no, con la nostra modesta proposta stiamo scherzando. Un fondo? I giacobini riuscirebbero a egemonizzare anche quello.