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CILE

Il popolo non vuole abortire. La Chiesa guida il No

Una proposta di legge della presidenta Bachelet vuole depenalizzare l'aborto. Ma il 73% dei cileni che ha partecipato al sondaggio del Senato ha detto no. E con loro la Chiesa che si è schierata senza ambiguità. Merito anche della promozione di una cultura organizzata pro vita, che mancò all'Italia 40 anni fa. 

Vita e bioetica 22_07_2016
Una manifestazione in Cile contro l'aborto

Aborto, no grazie. C’è qualcuno in una qualche landa sperduta del pianeta che ancora non si è omologato al pensiero della rivoluzione antropologica ed è in grado di dire no all’aborto. Tra gli stati sovrani che ancora non hanno introdotto questo “indiscutibile principio democratico”, che noi in Italia abbia già digerito da ormai 40 anni, vi è il Cile. In compagnia di pochi altri stati sudamericani, come l’Honduras, El Salvador, Nicaragua e Haiti, il Cile non ha una legislazione che depenalizza l’aborto.

Non che si tratti di una isola felice. Il divorzio è stato introdotto soltanto nel 2004 mentre recentemente è entrata in vigore la legge sulle unioni civili per le coppie omosessuali. Ma una legge che consenta di abortire, almeno nei casi di gravidanza da violenza sessuale, malformazioni del feto e salute a rischio della donna, come accade ad esempio in Uruguay, non c’è.

Ed è così dal 1989, anno in cui il dittatore Augusto Pinochet Ugarte eliminò anche la depenalizzazione dell’aborto “terapeutico” prevista dal codice sanitario, che fece schizzare le interruzioni di gravidanza. E’ stato uno degli ultimi atti del dittatore cileno prima di lasciare il potere nei primi anni ’90.

Sono passati molti anni, ma in Cile una legge “moderna” e al passo con “i tempi” non c’è mai stata. Soltanto recentemente grazie all’interessamento della presidenta Michelle Bachelet si è avviato un percorso legislativo che ha portato il Congresso a votare la depenalizzazione dell’aborto per i tre consueti casi: stupro, pericolo per la donna e malformazione del feto.

Sembra di tornare indietro di 40 anni. Anche in Italia la tecnica radicale del grimaldello aveva imposto queste tre motivazioni per giustificare la pratica dell’aborto. Infatti il Parlamento ci è cascato e ha votato per una depenalizzazione, per un senso di pietà che abbiamo visto poi nella storia non corrispondeva al vero bene della donna. Adesso la proposta di legge è in Senato dove aspetta di passare l’ultimo scoglio del voto per diventare legge a tutti gli effetti.

Ma qualcosa è successo. Una risposta popolare inattesa e dai contorni inequivocabili: da parte del popolo. L’istituto del Senato ha una piattaforma digitale molto interattiva chiamata senadovirtual.

Si lanciano delle domande sulle proposte di legge in discussione e si chiede alla gente di dare un parere. Il portale si occupa di tutto: dalle sanzioni agli incappucciati che partecipano alle manifestazioni, regolamentazione della vendita telefonica, diritto di sciopero dei lavoratori del servizio pubblico. Nel marzo scorso senadovirtual ha lanciato anche un quesito sulla proposta di legge appena incardinata per la votazione. “Depenalizzare l’interruzione di gravidanza in tre casi”.

Le risposte arrivate fino ad oggi sono inequivocabili. Il 19 luglio il portale ha reso pubblici i primi dati: hanno votato finora 15mila cittadini, numero che in Italia è più che sufficiente per “cucinare” un mastodontico sondaggio. Ebbene: con 11.541 voti, il 73% ha manifestato di essere contrario al progetto di legge. Appena un 26% si è detto a favore. Interessante poi vedere i quesiti nel dettaglio delle tre cause proposte per abortire: il rischio vitale della donna non è considerato un motivo sufficiente per abortire dal 55% dei partecipanti il sondaggio, mentre ben il 70% si è detto contrario a consentire l’eliminazione del feto che presentasse malformazioni o incompatibilità varie con la vita. Ancor più elevata la percentuale alla domanda sull’aborto per le donne vittime di stupro: il 72% si è detto contrario, il solito 25% invece favorevole.

Numeri spontanei di questo tipo dovrebbero indurre alcune riflessioni ai politici. A parte il dato di cronaca del caso cileno, è importante constatare come, chiamati ad un piccolo, ma significativo referendum, i cileni abbiano optato per la vita. Eppure anche in Italia questa domanda venne fatta al popolo a proposito della legge 194, ma finì con la “tragedia” che conosciamo.

In Cile non è un caso che la Chiesa dal 2013, quando è partita l’offensiva della Bachelet, si è sempre opposta, senza ambiguità, senza patti né ambiziose camarille alla proposta di legge. E ha guidato il suo popolo in maniera chiara e decisa sul No. Ad oggi la Chiesa rappresenta l’ostacolo principale all’approvazione della legge, e questo è stato fatto notare con disappunto da alcuni esponenti politici della vecchia Dc cilena.

Però è un fatto che anche recentemente, il 6 luglio scorso, quando la Conferenza episcopale cilena è stata invitata in Commissione Salute in Senato ad esprimere il suo parere sulla legge in via di approvazione, il delegato dei vescovi monsignor Juan Ignacio González Errázuriz, vescovo di San Bernardo, non solo ha espresso il no convinto delle gerarchie, ma anche detto che dal diritto alla vita discendono tutti gli altri diritti della società.

E contro il pietismo che mise in difficoltà 40 anni fa i nostri cattolici impegnati, ha smontato uno ad uno i grimaldelli radicali che servirono a paesi come l’Italia per digerire l’aborto: riguardo al pericolo di morte della madre, il presule ha obiettato che “non è l’aborto la terapia che salva la vita in pericolo di una madre” e che “non si può fare un male per raggiungere un bene”. Circa lo stupro “lo Stato e la società stiano accanto alle donne che hanno subito violenza, offrendo loro aiuti concreti o la possibilità che il loro figlio, che non ha alcuna colpa, possa trovare accoglienza presso un’altra famiglia” mentre per le possibili malformazioni del feto “con il pretesto di essere compassionevoli nei confronti del nascituro, i genitori e la società nascondono il fatto che non sono disposti ad accettare” un bimbo malato. “Non vogliono proteggere il nascituro, bensì se stessi, le loro comodità, aspettative, interessi – ha ribadito il vescovo - E questa è una discriminazione”. Al contrario, i bambini concepiti “con la possibilità o la certezza di una grave malattia, meritano di vivere. E non perché lo decidono i loro genitori, la scienza o la società, ma perché la vita, di per sé, è sempre degna di essere vissuta”.

In conclusione ha smascherato che “il progetto di legge attualmente in discussione rischia di essere solo una tappa di un percorso verso la liberalizzazione totale dell’aborto in Cile. E questa è una realtà che non possiamo nascondere” perché “assolutamente ingiusto che un essere umano totalmente innocente venga punito con la morte perché dietro ad un aborto ci sono i genitori, i medici, la società, le istituzioni, ovvero tutti coloro dai quali una vittima innocente si aspetta protezioni e tutele”.

Fa un certo effetto trovare 40 anni dopo le grandi "battaglie di libertà" che hanno infiammato l’Europa, uno stato “vergine” in cui il tempo sembra essersi fermato.

Ma è anche stimolante il caso cileno. Perché ci interroga sul valore della sacra alleanza tra il popolo e i suoi pastori.

Quando i secondi si espongono in prima persona finoa alla testimonianza i primi seguono. E la risposta è questo 73% di contrari. Segno che negli anni le attività pro vida promosse dalla Chiesa cilena e dal laicato cattolico hanno seminato un germe buono nella popolazione. Un germe che forse in Italia, 40 anni fa, era ancora immaturo a livello di radicamento sul territorio.

Resta poi da considerare un altro fatto: le motivazioni delle lobby pro aborto sono in definitiva sempre le stesse, oggi come ieri. C’è un sostanziale immobilismo anche ideologico nel difendere la bontà dell’aborto. Ciò che è cambiato negli anni è la consapevolezza della gente, che non si lascia più abbindolare a certe chiacchiere, che nell’Europa occidentalizzata sono state appannaggio esclusivo dei grandi mezzi di comunicazione attraverso un perfetto lavaggio del cervello.

Resta inteso che il Senato può bellamente infischiarsene del sondaggio e votare la legge, ma sarebbe ancora una volta contro il popolo. 

Un popolo che in questi anni non ha conosciuto l’aborto come esempio preclaro di libertà ed emancipazione. Quanti bambini non sono stati uccisi grazie a questa proibizione? Quante vite, quante storie hanno preso il largo nel mare della vita per quel blocco imposto 27 anni fa da Pinochet? Non fa interrogare nemmeno il fatto che il Cile, negli ultimi 30 anni è stato il Paese latino americano con la la speranza di vita più elevata del Sud America arrivando fino ai 77,74 anni nel periodo 2000 – 2005? (fonte Wikipedia). Cifre che indicano un invecchiamento nel 2020 con una maggioranza della popolazione che avrà 35 anni, superando il gruppo giovanile, che in questo momento è il più numeroso del paese.

Alla fine, sembra dirci questa storia tutto torna. Anche la storia che da tragedia si ripete in farsa. Approvare la legge sull'aborto è smaccatetamente una pretesa fuori tempo massimo, perché il re è ormai nudo e 40 anni di battaglie ci hanno dimostrato che la libertà conquistata non è stata altro che una schiavitù verso un abisso continuo. In Cile il tempo è stato come congelato. Non la testa delle persone, però, che adesso possono vedere più chiaramente quanto non vollero vedere tanti sinceri e democratici cattolici tanti anni fa in Europa.