Il politically correct riesce dove il marxismo ha fallito
Da ideologia, il politically correct fa ricorso all’inquisizione diffusa per tacitare i dissenzienti, se non basta ricorre alle manifestazioni di piazza e ai tribunali. Quel che non è riuscito al marxismo sovietico - modificare il pensiero, perché se modifichi le parole modifichi i concetti - è riuscito al politically correct, l’ideologia più totalizzante e pervasiva che il mondo abbia mai conosciuto.
Negli infelici anni in cui, per sopravvivere, avevo accettato di insegnare nella scuola secondaria, ebbi modo di constatare a che punto fossero i c.d. «giovani» e quale futuro li (ci) attendeva. Qualche esempio (il resto l’ho riversato nel mio libro L’ombra sinistra della scuola, Piemme). Una studentessa difettava parecchio nel profitto, stimai che era per il troppo tempo passato a coltivare il modo di vita dark-punk. Vi lascio immaginare com’era conciata. Pensai di parlarne con i genitori al primo ricevimento-famiglie. Venne la madre e mi morsi la lingua: era conciata peggio di lei. Non so che fine abbia fatto, la figlia.
Un’altra mi presentò la «giustificazione» da lei stessa firmata (aveva diciott’anni): indisposizione. Osservai che l’avevo vista, da lontano, il giorno prima caracollare allegramente sul suo motorino. Mi rispose, stupita, che quelli erano fatti suoi; praticamente non mi dovevo permettere di sindacare quel che lei faceva quando non era a scuola. Neanche di lei so che fine abbia fatto.
Terzo e ultimo esempio. Una volta, di fronte all’ennesimo «impreparato» collettivo, sbottai che se il tempo sprecato nelle futilità (chiacchiere, videogiochi, tivù eccetera) l’avessero dedicato allo studio, che la memoria ce l’avevano, e totale, per le formazioni di calcio o di musica pop, insomma, il tipico sfogo dell’insegnante matusa. Una viperetta saltò su: «Ma noi siamo ragazzi!», abbaiò. Già: la gioventù non serve a costruirsi un avvenire, ma a dissiparsi. Non so che fine abbia fatto anche lei, ma posso immaginare la fine che hanno fatto tutte e tre: in corteo per i «diritti», perché il niente che hai trovato quando la scuola ti ha sputato fuori qualcun altro dovrà riempirlo, e con la forza. La «società», lo Stato.
La lunga strada che dalla libertà-qui-e-ora («Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso»: When the music’s over, 1967, The Doors; la fine che ha fatto il leader Jim Morrison è nota) ha portato all’odierno guai-a-chi-sbaglia-a-parlare è stata dettagliatamente analizzata e descritta nel libro di Eugenio Capozzi, Politicamente corretto. Storia di un’ideologia (Marsilio, pp. 200, €. 17). L’autore, storico accademico, è già stato intervistato da Aurelio Porfiri per la Bussola il 25 marzo u.s.
Infatti, da buona ideologia, il politically correct fa ricorso all’inquisizione diffusa per tacitare i dissenzienti, se non basta ricorre alle manifestazioni di piazza (con, talvolta, legnate) e, infine, ai tribunali, dove sempre più spesso ottiene vittoria. Per giunta, il braccio politico è sempre più pressato ad emanare leggi ad hoc. Che sono liberticide senza se e senza ma, e sarebbero state impensabili, come ben evidenziato da Capozzi, quando la parola d’ordine era «libertà». Il cerchio si chiude, e chi non vuole guai è costretto ad autocensurarsi e perfino a usare le parole della neolingua lanciata dalle università americane (ogni novità viene da lì) e imposta nel resto dell’impero occidentale.
Quel che non è riuscito al marxismo sovietico (modificare il pensiero, perché se modifichi le parole modifichi i concetti) è riuscito al P.C., l’ideologia più totalizzante e pervasiva che il mondo abbia mai conosciuto. Il suo obbiettivo non è tanto il potere, quando ogni essere umano. Di liberazione in liberazione siamo arrivati al libertinismo di massa, già preconizzato da Del Noce. Ma non è il capolinea. E quando qualcuno, defraudato della felicità promessa, dà di fuori da matto, ecco che il P.C. interviene.
Per esempio, convegni vengono tenuti per indurre i giornalisti a non usare termini come «raptus» o «gelosia» in casi in cui lui ammazza lei (non viceversa), ma «femminicidio», possibilmente tenendo la contabilità e invocando leggi draconiane apposite. Ma gli esempi del paradise now! tramutatosi in un inferno in terra sono tanti, basta guardare la cronaca (e mai nessuno che vada a vedere quanti erano, per esempio, gli stupri nel 1960). Il pesce puzza dalla testa, recitava un antico adagio. Infatti, Capozzi ricorda che la fortunata espressione «radical chic» fu coniata nel lontano 1970 dal giornalista americano Tom Wolfe, che descrisse in un suo articolo sul «New York Magazine» il party organizzato dal famoso compositore Leonard Bernstein (Oscar per le musiche del film West Side Story) il 14 gennaio di quell’anno nella sua casa newyorchese al fine di raccogliere fondi a favore delle Black Panthers, l’ala più radicale dei neri d’America. Storia vecchia, cominciata con Filippo Egalité e mai finita.