Il piano Renzi: nuove regole per sindacati e partiti
Dopo le esternazioni al vetriolo del leader Fiom, Maurizio Landini contro il governo Renzi, da Palazzo Chigi è subito filtrata un’indiscrezione: sarebbe pronta una bozza di riforma della rappresentanza, destinata a incidere sull'organizzazione. Anzi, sarebbero pronte due bozze: una per i partirti e l'altra per i sindacati.
Dopo le esternazioni al vetriolo del leader Fiom, Maurizio Landini contro il governo Renzi, da Palazzo Chigi è subito filtrata un’indiscrezione: sarebbe pronta una bozza di riforma della rappresentanza, destinata a incidere sia sui partiti che sui sindacati, anzi sarebbero pronte due diverse bozze, una per le sigle sindacali, l’altra per le organizzazioni partitiche.
Il premier, più che mettere in discussione l’impostazione del rapporto Stato-cittadini, imperniata sull’esistenza di formazioni sociali e corpi intermedi, garantiti in diversi articoli della Costituzione, intenderebbe dare finalmente attuazione al dettato costituzionale, che prevede all’articolo 39 sindacati registrati e dotati di personalità giuridica e, all’articolo 49, partiti che «con metodo democratico» concorrono alla determinazione della politica nazionale. Si tratta di due note dolenti alle quali nessun governo ha mai messo mano, se non limitandosi a sterili ed estemporanei proclami. Eppure il tema della rappresentanza tocca l’essenza stessa della democrazia. Sindacati fuori controllo e partiti privi di istituzionalizzati momenti di coinvolgimento degli iscritti diventano schegge impazzite e non realizzano in alcun modo il principio della rappresentanza degli interessi dei lavoratori (sindacati) e dei militanti e simpatizzanti (partiti).
Ma cosa avrebbe in mente Renzi su questo versante? Nulla di ufficiale, solo indiscrezioni. Per quanto riguarda i sindacati, si parla di dare rinnovato impulso ad alcuni disegni di legge già presentati in Parlamento e che prevederebbero soglie minime di rappresentatività (forse il 5%) per qualsiasi sigla volesse candidarsi a tutelare gli interessi dei lavoratori e una verifica dell’effettivo gradimento dei singoli punti di un contratto nazionale di lavoro almeno da parte del 50% dei lavoratori interessati. Sul fronte dei partiti, invece, la sfida culturale e legislativa dovrebbe essere quella di introdurre, mediante regolari statuti, principi di democrazia interna che alcuni movimenti come i Cinque Stelle non osservano. Più che di una rivoluzione, quindi, si tratterebbe di una tardiva attuazione di articoli, come il 39 e il 49, che già contemplano obblighi specifici per i sindacati e i partiti. Nella storia italiana abbiamo assistito a un prolungato torpore rispetto all’osservanza di quei principi, che si è tradotto in un’imbarazzante anomia (assenza di regole) per organizzazioni che avrebbero dovuto rappresentare segmenti ben precisi della società e del mondo del lavoro e che invece si sono affermate come oligarchie autoreferenziali e burocratizzate.
Il governo Renzi ha già mostrato di voler cambiare passo, abbandonando la concertazione e sollevando il tema dell’opacità dei conti dei sindacati e quello, per certi aspetti contiguo, dei privilegi riservati alle gerarchie sindacali. Ora intende proseguire sulla strada del rinnovamento, puntando a riordinare la rappresentanza degli interessi dei lavoratori attraverso la verifica della forza effettiva delle organizzazioni sindacali. Che una sigla fortemente minoritaria possa da sola condizionare la firma di un contratto o indire uno sciopero e paralizzare un intero comparto, mettendo in ginocchio una comunità, è un’anomalia tutta italiana che, se non corretta, rischia di frenare la ripresa produttiva.
Ieri, peraltro, è stata firmata un’intesa tra Inps, Cgil, Cisl, Uil e Confindustria che attua il Testo Unico di un anno fa in materia di rappresentanza sindacale. L’accordo prevede che per determinare il peso di ogni sindacato vengano incrociate le deleghe (misurate con le trattenute in busta paga) e i voti raccolti alle elezioni dei delegati delle Rappresentanze sindacali aziendali. Inoltre, si fissa un principio in materia contrattuale: i datori di lavoro avvieranno la trattativa a partire dalla piattaforma presentata dal sindacato o dai sindacati che rappresentano almeno il 50% più uno dei lavoratori. Ora si capirà se il governo, a partire da questo tassello, voglia predisporne degli altri, al fine di ridisegnare la figura del sindacato, senza snaturarne il ruolo e senza stravolgere l’impianto costituzionale.
Per quanto attiene, invece, ai partiti, appare chiaro che uno dei motivi della progressiva disaffezione da parte degli iscritti è proprio quello della scarsa democrazia interna, del trionfo di procedure verticistiche e dell’assenza di momenti di consultazione della volontà degli aderenti. I costituenti nell’articolo 49 hanno inserito un esplicito riferimento al doveroso metodo democratico, che dovrebbe informare sia la dialettica tra i partiti che il confronto interno ai partiti. Se le forze politiche si dotassero di regole obbligatorie, di statuti a base interna democratica, espulsioni in stile grillino non potrebbero verificarsi e ogni partito sarebbe obbligato a indire periodicamente congressi, a consultare la base, a prevedere formali momenti di verifica degli organi rappresentativi. E a giovarsene sarebbe la democrazia nel suo complesso.