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VERSO LE PRESIDENZIALI

Il piano di Google per evitare il Trump-bis

Manca ancora più di un anno alle elezioni per la Casa Bianca, eppure il colosso di Mountain View è già al lavoro per impedire un’altra «Trump situation», la rielezione dell’attuale presidente. A mostrarlo scambi di email tra i dipendenti, che discutono sul come «disabilitare» certi suggerimenti di ricerca. Del resto, è noto: i giganti della Silicon Valley sono alfieri del progressismo.

Esteri 02_07_2019

Alle elezioni del 2020 manca ancora più di un anno, eppure già si delinea all’orizzonte quello che sarà uno dei più temibili avversari di Donald Trump. No, non stiamo parlando di un politico democratico e, a ben vedere, neppure di un politico, bensì di una delle più importanti aziende informatiche statunitensi, se non del mondo: Google. Ma sì, proprio così, il colosso yankee - a cui tutti almeno una volta ci siamo affidati per una ricerca in Internet - starebbe affilando le armi, per così dire, in vista delle prossime presidenziali.

A raccontarlo, con tanto di documenti esplosivi, è il portale d’inchiesta Project Veritas, che ha scoperto molte cose interessanti. Per esempio, email interne a Google, appunto, nelle quali un dipendente e un membro del gruppo “transparency-and-ethics” definiscono gli opinionisti conservatori Jordan Peterson, Dennis Prager e Ben Shapiro nientemeno che come «nazisti con al collo il fischietto per i cani»; il che è doppiamente grave e bizzarro, se si pensa che sia Prager sia Shapiro, come noto, sono ebrei osservanti.

Nelle comunicazioni intercettate, i dipendenti del gigante informatico discutono pure su come procedere con «l’identificazione corretta di contenuti di estrema destra», così da «disabilitare» le funzioni di «suggerimento». Un video di Project Veritas caricato nei giorni scorsi - ma già rimosso da YouTube (di proprietà di Google) - mostra persino un dipendente dell’azienda sotto copertura ammettere che la sua compagnia ha un piano, in vista del 2020, per impedire un’altra «Trump situation», due parole che non abbisognano di alcun commento né, crediamo, di nessuna traduzione.

Ora, cosa c’è di vero in queste rivelazioni? Sono autentiche oppure si tratta di bufale confezionate da un sito internet vicino al mondo conservatore? Per quanto bizzarro possa sembrare, tutto ciò pare verosimile. Lo dimostra lo stesso inquilino della Casa Bianca, che in una recente intervista rilasciata al canale Fox Business si è lamentato del pregiudizio contro il mondo conservatore di Facebook e, appunto, Google. Ma soprattutto, a rendere verosimile lo scoop di Project Veritas, c’è uno studio scientifico da poco pubblicato.

Stiamo parlando di un accurato lavoro svolto da Daniel Trielli e Nicholas Diakopoulos, due ricercatori della Northwestern University, i quali hanno pensato bene di approfondire le top stories nel box di Google, di fatto un servizio giornalistico offerto dal motore di ricerca, apparse nel mese di novembre 2017. In totale, i due studiosi hanno conteggiato la bellezza di 6.302 articoli, stabilendo come l’82% dei risultati provenisse da appena 20 siti web, il 62% dei quali smaccatamente progressisti.

Nell’esporre i loro dati, Trielli e Diakopoulos non hanno avanzato alcuna ipotesi complottista, ipotizzando che i risultati emersi possano anche essere espressione del fatto della numerosità delle fonti informative progressiste rispetto ad altre; il che, beninteso, è possibile. Ciò non toglie, tuttavia, che i dati riscontrati siano davvero impressionanti; sia per l’orientamento che certificano dell’informazione proposta da Google, sia perché si riferiscono a quasi due anni fa, e cioè ben prima che, stando a quanto riportato poc’anzi, nel colosso informatico maturasse l’idea di scongiurare un’altra «Trump situation».

Ne consegue l’importanza, non solo per quanto riguarda le presidenziali Usa, di considerare maggiormente il ruolo che i colossi dell’informatica e del mondo dei social possono giocare negli appuntamenti elettorali. A questo proposito, non ci si può che meravigliare per quanto da un lato le cosiddette fake news siano oggetto di riflessioni e timori perfino in ambito cattolico - anche quando la loro asserita “falsità” non è provata - mentre, dall’altro, si presti poca attenzione al fatto che i giganti della Silicon Valley, in pratica, sono tutti di simpatie progressiste e soprattutto sempre più decisi a non restare neutrali. Forse esiste un’influenza occulta buona e accettabile? Il sospetto, abbastanza sconfortante, è che più di qualcuno farebbe anche patti col diavolo, pur di sconfiggere l’odiato populismo.