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EDITORIALE

Il peccato è grave, la giustificazione molto peggio

Il cardinale O'Brien ha ammesso la propria condotta sessuale inappropriata. Una ferita per la Chiesa, ma a scandalizzare deve essere soprattutto il tentativo di giustificare il peccato, che è quanto sta accadendo nella Chiesa a proposito di omosessualità.

Editoriali 04_03_2013
O Brien


“Una profonda ferita per la Chiesa” sia che le accuse siano vere o false; così in un editoriale di pochi giorni fa padre Giorgio Maria Carbone commentava il caso del cardinale scozzese Keith O’Brien, accusato di aver molestato sessualmente quattro seminaristi all’inizio degli anni ’80.  Ora sappiamo che quelle accuse sono vere.

Lo ha ammesso ieri lo stesso cardinale O’Brien in un comunicato: «Ci sono stati momenti in cui la mia condotta sessuale è stata al di sotto degli standard che ci si aspettava da me, come prete, arcivescovo e cardinale. Mi scuso e chiedo perdono a tutti coloro che ho offeso. Chiedo scusa anche alla Chiesa cattolica e al popolo scozzese. Ora passerò il resto della mia vita in ritiro. Non prenderò mai più parte alla vita pubblica della Chiesa cattolica in Scozia».

Si chiude così una vicenda che suscita una grande amarezza e un grande dolore perché – cito ancora padre Carbone – questi «fatti gravissimi che oltraggiano l’opera salvifica di Gesù Cristo, ledono la santità di tutto il Corpo mistico e attentano alla bellezza divina della Sposa di Cristo: il peccato di un membro, laico o cardinale che sia, danneggia sempre e inevitabilmente tutte le altre membra».

È una vicenda di miseria umana – peraltro dal comunicato si capisce che non è circoscritta ai casi denunciati – che richiede anzitutto la nostra pietà e la nostra preghiera, per O’Brien e per le sue vittime. E anche un pensiero su noi stessi, pure noi peccatori e certamente non al riparo dalla possibilità di provocare scandalo, una preghiera perché il Signore ci custodisca sulla retta via.

Ma il caso O’Brien si presta almeno a una considerazione: siamo di fronte all’ennesimo caso di omosessualità tra sacerdoti, la cui pratica ha potuto protrarsi per anni perché ha trovato un ambiente favorevole all’omertà, alla reciproca copertura. Non sappiamo cosa abbia spinto quattro sacerdoti a rompere questo muro di omertà dopo trenta anni: può essere che il clima stia cambiando oppure può essere una torbida storia di ricatti. Possiamo sperare che sia vera la prima ipotesi, ma come abbiamo già detto più volte negli scorsi mesi resta comunque il fatto che nella Chiesa esiste oggi un problema omosessualità.

Gli stessi casi di pedofilia di cui tanto si parla – lo ripetiamo – sono in stragrande maggioranza casi di pratica omosessuale, perché consumati con adolescenti e non con bambini.

Il vero problema però non sta nel peccato in sé quanto nel tentativo di giustificarlo ed elevarlo a sistema: non solo esiste oggi una lobby gay nella Chiesa, ma in tanti seminari e università pontificie, a proposito di omosessualità, si insegna apertamente che si tratta di una tendenza naturale che non va corretta in alcun modo. E l’ideologia di genere (o “gender”, come si dice in inglese) viene promossa come adeguata alla Rivelazione cristiana, in aperto contrasto con il catechismo della Chiesa cattolica (e con il buon senso). Non per niente Benedetto XVI, nel discorso alla Curia Romana alla vigilia di Natale, identificava nell’ideologia del gender una delle più gravi sfide della Chiesa.

È questo un cancro che è cresciuto silenziosamente negli anni e che oggi sta producendo dei danni enormi, soprattutto nella formazione dei sacerdoti. Ed è questo certamente uno dei problemi più grossi che dovrà affrontare il nuovo pontefice. Non è il peccato che deve scandalizzare, ma la sua giustificazione, il confondere il male con il bene, il tentativo di sovvertire la dottrina della Chiesa per renderla compatibile con i propri vizi. Come già ricordava Benedetto XVI, in gioco c'è l'affermazione o la negazione di Dio, e perciò dell'uomo.