Il "paziente inglese": ora è un embrione manipolato
Modificare un gene anomalo presente in alcuni embrioni responsabile della malattia chiamata beta-talassemia e così curare il nascituro prima che venga alla luce. Ci avevano già provato in Cina l’anno scorso ad aprile, ma con risultati deludenti, e ora tentano gli inglesi, con il via libera del governo.
Ci avevano già provato in Cina l’anno scorso ad aprile usando una tecnica di editing genetico chiamata Crispr/Cas9. Si trattava di modificare un gene anomalo presente in alcuni embrioni responsabile della beta-talassemia e così curare il nascituro prima che venisse alla luce. I ricercatori cinesi erano riusciti nell’intento solo nel 30% dei casi, spingendo la rivista scientifica Mit Technology Review a considerare il metodo «ancora molto poco accurato, confermando i dubbi scientifici sul fatto che la correzione del gene possa essere praticata negli embrioni umani».
Ieri, 1 febbraio, la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea), l’ente governativo britannico che disciplina le tecniche di fecondazione artificiale e di ricerca sugli embrioni, ha dato semaforo verde al Francis Crick Institute di Londra per svolgere sperimentazioni simili a quelle cinesi. I ricercatori di Sua Maestà si occuperanno di una trentina di embrioni e di circa 120 geni difettosi da disattivare. Gli scienziati londinesi tranquillizzano tutti: useranno solo embrioni non destinati alla nascita (e quindi destinati a morire per mano dell’uomo) e a fin di bene per capire quali patologie genetiche si sviluppano nei primissimi giorni dopo il concepimento, patologie che spesso provocano aborti spontanei.
Insomma, Keep calm and kill the embryo. «Possiamo veramente capire quali geni sono necessari perché l'embrione umano si sviluppi in un bambino sano», ha detto alla Bbc la ricercatrice Kathy Niakan. «È importante perché i problemi di infertilità e gli aborti naturali sono molto diffusi, ma non si capisce bene perché». Poi ha aggiunto che tale ricerca «può portare a miglioramenti nella fecondazione assistita». Ci pareva strano che dietro non ci fosse un tornaconto dato dal business della fecondazione in provetta.
Qualche riflessione di carattere morale su questa tecnica. In prima battuta è bene ricordare che il metodo qui in esame distrugge gli embrioni una volta che sono terminati gli esperimenti. Appare dunque paradossale che si uccidano bambini per salvarne altri dall’aborto spontaneo. Ma – e qui veniamo a un altro punto interessante – una tecnica che guarisse l’embrione intervenendo sul suo corredo cromosomico sarebbe da rifiutare? No, ma a patto di rispettare queste condizioni. In primo luogo l’embrione non potrebbe essere prodotto artificialmente: ergo si potrebbe intervenire solo su quelli concepiti in modo naturale. In secondo luogo, si potrebbe intervenire nella modifica del suo Dna se la finalità terapeutica andasse a vantaggio dell’embrione stesso.
Altrimenti ciò significherebbe che verrebbe usato come cavia da laboratorio e un embrione non può prestare consenso informato per sottoporsi a sperimentazione clinica come fanno gli adulti. In terzo luogo, il gioco dovrebbe valere la candela. In altre parole – principio di uso comune in medicina – se il rischio di attentare alla vita dell’embrione fosse elevato rispetto alla probabilità d’efficacia delle terapie genetiche, allora il rischio sarebbe sproporzionato e dunque sarebbe doveroso desistere dall’intento. I casi cinese e inglese non soddisfano nessuna di queste tre condizioni.
Inoltre la tecnica Crispr/Cas9 presenta altre tre censure di natura etica. Innanzitutto si interviene per editare il genoma di un individuo, cioè quel progetto identitario di noi che poi prenderà forma nel corso di tutta l’esistenza di una persona. Questo tipo di intervento di ingegneria genetica non solo va a modificare eventualmente le parti erronee del genoma, ma rischia di incidere sulla stessa identità genetica della persona, sulla sua linea germinale cioè sulla struttura intima ed irripetibile di quell’essere umano. Ma questo non è lecito farlo. Bene raddrizzare ciò che è storto, male invece sostituire un profilo identitario genetico di una persona con un altro.
Secondo problema: al fine di intervenire sul gene malato, si producono appositamente in laboratorio – come si fa con i topolini – embrioni malati con la speranza di curarli. Quindi volutamente si concepiscono in vitro bambini con il gene difettoso e questo – al di là dell’immoralità della fecondazione artificiale in sé – non è lecito volerlo. Terzo problema: non solo non è sicuro che si riesca a curare il gene malato, non solo c’è la possibilità che si cambi l’identità genetica dell’embrione, ma c’è anche il rischio di danneggiare altri geni, ingenerando a cascata una serie di altre patologie cromosomiche.
Torna quindi di attualità l’appello di “Alleanza per una medicina rigenerativa”, che rappresenta circa duecento aziende impegnate nella ricerca genetica, che l’anno scorso, quando scoppiò il caso cinese, aveva così ammonito gli scienziati di tutto il mondo: «Date le implicazioni relative alla sicurezza e all'etica nel modificare il Dna delle cellule riproduttive, questa ricerca è ampiamente prematura. É inaccettabile continuare questo tipo di ricerca ora. Facciamo appello per una moratoria globale mondiale su questo tipo di ricerca, per consentire discussioni legali rigorose e trasparenti, discussioni politiche e un dibattito pubblico che riguardi la scienza, la sicurezza e l'etica delle modifiche all'embrione umano». Appello simile fu pubblicato nello stesso periodo anche dalla rivista Nature. Il timore era ed è anche quello che dalle finalità terapeutiche si approdi poi all’eugenetica con finalità estetiche: programmarsi il figlio con gli occhi blu e i capelli biondi. Perché l’ogm umano di domani non solo dovrà essere sano e forte, ma anche bello come mammà.