Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

EUROLAICISMO

Il Papa scuote l'Europa: ma è forse ingerenza questa?

A qualcuno non è piaciuto il forte richiamo all'Europa fatto da Papa Francesco all'europarlamento di Strasburgo. I sei deputati spagnoli della Sinistra Unita sono usciti dall’Aula durante l’intervento. «Basta ingerenze. L’emiciclo non è fatto per i sermoni religiosi». Ma di sermoni, il Papa proprio non ne ha fatti.

Ecclesia 28_11_2014
Papa Francesco al Parlamento di Strasburgo

In un pezzo di Antonietta Demurtas del 25 novembre scorso apparso su Lettera43 (clicca qui), si parla della protesta dei deputati spagnoli relativamente all’apparizione lampo di Papa Francesco a Strasburgo in Parlamento. In particolare si tratta di sei deputati della Sinistra Unita (una vera “rivolta popolare”) che si alzano ed escono dall’Aula durante l’intervento del Santo Padre. «Basta ingerenze. L’emiciclo non è fatto per i sermoni religiosi», dichiara Marina Albiol Guzmàn. «Vogliamo una chiara separazione tra la ChiMa sesa cattolica e qualsiasi altra religione e le istituzioni pubbliche». Strano, pensavo, perché esiste da tempo (forse da sempre?) una chiara “separazione” tra la Chiesa cattolica e le istituzioni pubbliche e certamente si vede da tante cose. Strano, perché ultimamente, da quello che accade proprio nel mondo educativo, delle donne e delle battaglie Lgbt, come “denuncia” la stessa Guzmàn, non sembra per nulla che la Chiesa riesca a porre ingerenze tali per cui cercare addirittura di impedire al Santo Padre di fare il suo intervento.

«Questo spazio non è fatto per parlare di fede e questioni religiose, ma per trovare soluzioni per i cittadini europei», conclude Albiol Guzmàn nel pezzo della Demurtas. E Infatti, di tutto ha parlato il Santo Padre tranne che di “questioni religiose”. «Tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea», ha detto Papa Francesco nel suo intervento, «i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente». Questa è una delle “ingerenze” poste dal Santo Padre. In effetti, la Guzmàn ha preferito la divisione, ovvero non ha di certo favorito la pace.

E che dire di quando ha toccato i temi della sacralità della vita, dei valori non negoziabili, della cultura dello scarto e della famiglia “fertile e indissolubile”? “Ingerenze” anche queste? O piuttosto osservazioni da evitare per non risvegliare le coscienze? Ascoltiamo il Papa: «Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici. Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è, infatti, oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade”, sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze». Questa è un’altra delle “ingerenze” poste dal Santo Padre. Forse, anche in questo caso, la Guzmàn avrebbe potuto ricredersi delle sue considerazioni.

A Strasburgo, il Papa ricorda anche che l’uomo ha l’innata capacità di distinguere il bene dal male e che non è un assoluto, ma un essere relazionale, oggi ammalato di solitudine. Parla dell’uomo come bene di consumo e di scambio e dell’equivoco che sorge quando si tende all’assolutizzazione della tecnica che finisce per generare confusione tra fini e mezzi (risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”, continua il Santo Padre). Nulla di tutto questo ha a che fare con il ruolo delle istituzioni pubbliche e con ciò di cui dovrebbe occuparsi anche l’Europa? Verrebbe da chiedere alla Guzmàn, anche perché diversamente non si capisce cos’è e cosa fa un’istituzione se ciò di cui si occupa non ha a che fare con il bene dell’uomo. Custodi e non padroni della natura, ci definisce il Papa, in favore dell’amore e del rispetto, contro la superbia, il possesso, la manipolazione e lo sfruttamento. È “un’ingerenza” anche questa? E se non fosse venuto a dirlo lui chi l’avrebbe detto? Non c’era bisogno di dirlo? Strano, dall’Europa che abbiamo sotto gli occhi non si direbbe.

Di nuovo Papa Francesco: «Cari eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il suo futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda, difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!»

Certo che con tutte queste “ingerenze” si rischia di diventare migliori, di crescere insieme per il bene comune di tutti, di andare d’accordo e di recuperare una speranza per un futuro a “misura di infinito”. Capisco la Guzmàn, dunque: limitarsi agli interessi e al male di pochi è certamente meno impegnativo e più conveniente. Del resto, si sa, «i sermoni religiosi» rischiano di dire le cose come stanno: meglio Zelig. Sui milioni di euro che la Chiesa cattolica riceverebbe dalle imposte pagate dai cittadini, invece, mi ricorderò di dirlo a un caro amico, ateo e spagnolo, che da Roma è tornato a vivere in Spagna proprio qualche giorno fa, soprattutto sostenendo che, «per fortuna, in Spagna il peso del Vaticano è inesistente. In tutti i sensi».