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VISITA IN BAVIERA

Il Papa: «La fede è il segreto della gioia»

Benedetto XVI parla della sua «terra benedicta» dove «gli uomini sono stati toccati dalla fede, dalla bellezza del creato e dalla bontà del Creatore».

Attualità 02_08_2011
Papa

Sabato 30 luglio «Castel Gandolfo è diventato un villaggio bavarese». Lo ha detto Benedetto XVI ricevendo una delegazione del comune di Traunstein, in Baviera, dove nel 1951 celebrò la sua prima Messa, in un discorso di cui la Sala Stampa vaticana ha ora diffuso la traduzione italiana.

La visita è una prova del legame di Benedetto XVI con la Baviera, «la nostra patria» come l’ha chiamata, con allusione al fatto che i bavaresi, cittadini di un regno indipendente fino al 1871 e di una monarchia autonoma all’interno dell’impero tedesco fino al 1918, oggi legati alla Germania dal patto federale, considerano la loro non una regione ma una vera e propria nazione. In un momento in cui anche in Germania, partendo dalla questione dei preti pedofili, la Chiesa e il Papa sono vittime di attacchi eccessivi e ingiusti, per Benedetto XVI è stata, ha detto, «una grande gioia il fatto che questo anello d’onore [il tradizionale riconoscimento bavarese] mi sia stato consegnato all’unanimità, al di là di ogni appartenenza partitica, di ogni differenza che – giustamente – esistono. Per me è un segno che da voi sono davvero “a casa”, che ci accogliamo vicendevolmente e che continuo a fare parte di voi». «Probabilmente – ha ammesso il Papa – l’anello d’onore non sarà visibile nella mia mano, ma sarà sistemato in maniera tale che io l’abbia sempre davanti agli occhi ed esso mi possa ricordare quello che comunque so nel profondo del mio cuore: là sono a casa, nel Chiemgau [la regione collinare dell’Alta Baviera], nel Rupertiwinkel [una contrada montuosa ai confini con l’Austria], nei luoghi della mia giovinezza».

Il Papa ne ha tratto occasione per evocare «la bellezza e la gioiosità della cultura bavarese»: un’immagine – possiamo aggiungere – ben nota anche in Italia che va dalla pittura ai telefilm, come ci ricorda ancora in questi giorni Un ciclone in convento (Um Himmels Willen), riproposto nell’orario impossibile di metà mattinata dalla RAI e popolarissimo in Germania dove continua da dieci stagioni. Non privo di occasionali cadute di tono, il telefilm – incentrato sulla vita di un gruppo di suore in un convento bavarese – riesce comunque a trasmettere la tradizionale atmosfera scanzonata ma profondamente cattolica di cui rimane ancora qualcosa nella Baviera delle piccole città.

Tra l’altro, una parte di Un ciclone in convento è girato nel paese di Benediktbeuern, uno dei tanti che nel toponimo in Baviera prendono il nome da san Benedetto (480-547) e dai benedettini. Come ha ricordato il Papa, la Baviera è detta da secoli «“Terra benedicta”», e «benedetta» «lo è davvero, grazie al Creatore: ci ha dato le montagne, i laghi, le valli, i boschi. Dobbiamo essergli riconoscenti perché ci ha affidato una parte così preziosa della terra».

«Ma la nostra terra – ha aggiunto il Papa – è pienamente “Terra benedicta” sostanzialmente perché gli uomini sono stati toccati nella fede dalla bellezza del creato e dalla bontà del Creatore e, toccati da Lui, hanno saputo dare alla nostra Terra pieno splendore e capacità di rifletterlo». L’appellativo «benedicta» nasce infatti originariamente dai benedettini, «i monaci che hanno sviluppato tra di noi questa cultura della gioia», così che la scelta del nome «Benedetto XVI» ha anche qualcosa a che fare con la terra natale del Pontefice. «Lì sono di casa – ha detto il Papa –, da lì provengo e di quella terra continuo a fare parte».

La Baviera non sarebbe quello che è senza la scelta di resistere alla Riforma protestante e di rimanere cattolica. Contro una certa iconoclastia e rigidità protestante, la Baviera cattolica dopo il Concilio di Trento fece fiorire una grande e ricca arte barocca e accentuò, anche nella musica, le sue caratteristiche gioiose, che contrastano con l’austerità di altre regioni tedesche.  «Cosa sarebbe la Baviera – ha detto Benedetto XVI – senza le torri con le cupole a cipolla delle nostre chiese, senza lo splendido barocco e la gioiosità dei redenti che in esse si espande? Senza la nostra musica, quella sacra – che ti fa direttamente guardare dentro al Paradiso – e quella profana?». «Senza le chiese, le croci delle strade, le cappelline […] la Baviera non sarebbe Baviera; senza la sua musica, la sua poesia, l’affabilità e la cordialità e la gioiosità».

Ma tutto questo non può diventare uno stereotipo. «Gioiosità, cordialità, bontà crescono però soltanto se il cielo sopra di noi è aperto. Non tutti i giorni c’è il sole […]; a volte dobbiamo attraversare vallate buie». Ed è nel momento delle difficoltà che la gioia superficiale svanisce, mentre non viene meno la gioia vera che viene da Dio. Le prove si superano «rimanendo gioiosi ed umani – se il cielo è aperto per noi, se siamo stati sfiorati dalla certezza che Lui ci ama in tutto, che Dio è buono e che per questo è bene essere uomo».

Il segreto della gioia bavarese è la fede: e una fede cattolica cioè, nel senso etimologico del termine, aperta al mondo, affezionata al suo orizzonte regionale ma non chiusa tra le sue montagne. «La Baviera è diventata quella che è partendo da questa certezza, e noi tutti preghiamo e speriamo che così rimanga. Affinché possa restare così e continuare ad essere sempre bella e le persone possano continuare a dire di sì alla vita, al futuro, è importante che non perdiamo lo splendore della fede, che rimaniamo credenti, cristiani, cattolici laddove cattolico significa anche sempre essere “aperti al mondo”, amare il mondo e credere insieme; significa essere tolleranti ed aperti gli uni agli altri alla cordiale fraternità nei riguardi di coloro che sanno di appartenere all’unico Padre e che sanno di essere amati dall’unico Signore».

Questa apertura cattolica, naturalmente, ha un rovescio di medaglia. I problemi del mondo e della Germania si riflettono anche in Baviera. Questa non è una ragione per snaturare le proprie caratteristiche segnate dalla gioia: ma è una ragione per difenderle, radicando sempre di più la gioia nella fede. Dunque, ha concluso il Pontefice, «lasciamoci sfiorare dalla fede, lasciamoci guidare dalla fede affinché lo splendore del cielo possa giungere fino a noi e possa illuminare il mondo nelle sue miserie, rendendolo bello e splendente».